Tutti gli articoli di Claudia Bellocchi

Neoliberismo Democratico o Democrazia paternalistica

È difficile leggere il nuovo assetto politico di alcuni paesi dell’America Latina, impegnati a confutare il modello economico occidentale, sottoposti prima al colonialismo e sino a qualche anno fa a una sorta d’imperialismo economico.

Un Continente che non accetta di essere ritenuto il cortile statunitense e per decenni trattato con sufficienza, vuol mettere in crisi il neoliberismo democratico.

Per comprendere questi cambiamenti è anzitutto necessario lasciare da parte modelli macroeconomici obsoleti, generati da un’ideologia politica utopistica; utilizzando una metafora artistica in politica e in economia è auspicabile abbandonare una visione surrealista per dirigersi verso lidi iperrealisti!

Per il politologo americano Francis Fukuyama della Stanford University in California, come chiarisce durante un’intervista su L’Espresso di fine giugno 2012, “occorre riportare l’equilibrio fra il mercato e lo Stato, equilibrio turbato dagli ultimi 25 anni di dominio assoluto del neoliberismo…” occorre cioè “..riabilitare l’idea di bene pubblico. Bisogna rendersi conto che non si tratta di un insieme di beni individuali e che la società non ne costituisce la somma, ma che è un concetto collettivo. Abbiamo bisogno di un nuovo progetto riformista, più credibile della socialdemocrazia e del Welfare tradizionali. È necessario reinventare lo Stato”.

Chantal Mouffe, politologa belga in forze all’università di Westminster del Regno Unito, provocatoriamente afferma che “c’è da latinoamericanizzare l’Europa” nell’intervista sul quotidiano argentino Pagina|12.

La Mouffe che ha partecipato a Buenos Aires insieme a Ernesto Laclau ad un intenso ciclo di “Confronti e scontri” con altri politologi intervenuti nel paese sostiene che “in un mondo multipolare, la democrazia non può essere un unico modello esportato dall’Europa e dal Nord America al resto del mondo. C’è da comprendere che si verranno a formare distinte forme di democrazia, che prendono origine nei distinti contesti storici. Non c’è un’unica modernità ma molte traiettorie verso ciò che può essere chiamato modernità e nella misura in cui si possono accettare l’esistenza di differenti modernità alternative, siamo in grado di accettare e di comprendere anche forme multiple di democrazia. Non è legittimo pretendere che questo modello occidentale sia accettato dal resto del mondo. Nell’esperienza delle nuove democrazie del Sudamerica non c’è un rifiuto della tradizione liberale, però c’è un’articolazione distinta tra la tradizione liberale e la democrazia. In Europa l’elemento liberale è diventato assolutamente dominante mentre l’elemento democratico è stato subordinato o in alcuni casi eliminato.”

Viceversa nell’America Latina la democrazia intesa nell’accezione di redistribuzione della ricchezza e della sovranità popolare ha il predominio sulla concezione liberale dell’economia.

E’ chiaro che sono da considerare pericolose, prosegue la Mouffe, le situazioni in cui un progetto paese dipende da una sola figura politica, non per questo però devono essere in assoluto condannate e demonizzate le rielezioni dello stesso presidente nel momento in cui il paese prevede che possa essere rieletto.

“Analizziamo il caso Cileno, dove il presidente ha un solo mandato. Michelle Bachelet è stata un personaggio molto popolare e avrebbe potuto essere rieletta ma la normativa non l’ha permesso: questo si, che è stato un forte ostacolo al potere popolare. Anche la rielezione può essere una maniera di lottare contro il predominio del liberismo sulla democrazia. Chiaramente ciò non vuole dire che si debbano abbandonare in assoluto i limiti liberali”.

Ben diverso è il caso venezuelano con il quarto mandato di Hugo Chávez, riconfermato presidente grazie al referendum del 2009 che ha cancellato i limiti alla rieleggibilità del presidente.

Qual è il punto allora?

Il Clarin denuncia: “De república de leyes a una democracia de emperadores”. L’articolo è una riflessione generale sull’assetto dell’America Latina anche se poi è preso ad esempio il fenomeno Chavez. Termini come “paternalismo smisurato quasi grottesco” o “autoritarismo con personalismo estremo quasi faraonico” se non considerati tendenziosi, certamente interpellano profondamente sulla ricerca di una interpretazione il più possibile veritiera dei fatti.

La soluzione forse è lontana ma una direzione possibile ci è indicata dalla Mouffe:

“In politica esiste sempre un noi e poi gli altri. …Nella società saranno sempre presenti settori opposti. Il conflitto ha sempre a che fare con relazioni di potere e di egemonia. L’obiettivo della democrazia dunque, non è trovare il cammino per mettere tutti d’accordo giacché impossibile, ma quello di trovare il modo per gestire il conflitto. Non è possibile organizzare una società democratica su un piano amico-nemico cioè su un antagonismo nel quale non si riconosce la legittimità dell’opponente per cui non rimane che eliminarlo. Diverso il discorso se la dimensione per affrontare il conflitto si pone in una base agonistica per cui si sviluppa una “relazione” tra avversari. Ci sarà comunque una lotta per l’egemonia, ma che sarà subordinata ad atteggiamenti e procedimenti democratici. Il compito fondamentale della politica democratica è creare istituzioni e procedimenti che possano permettere ai conflitti di manifestarsi in una maniera agonistica e non antagonistica”.

LA RISCOSSA CHÁVEZ

Il quarto mandato di Hugo Chávez riconfermato presidente in Venezuela, non può non far riflettere sulla costanza del segnale manifestato alcuni paesi dell’America Latina come il Venezuela appunto, la Bolivia, il Brasile o l’Argentina nell’assetto politico ed economico mondiale.

Riflessione che per essere realmente costruttiva deve abbandonare la lente deformante dei preconcetti e delle fonti d’informazione di un’ideologia dominante come quella Europea e Nord Americana. Sforzo arduo, soprattutto per Sud America in quanto il grado di distorsione nel quale ci vengono propinate le notizie è totale. Oliver Stone ha dedicato a questo fenomeno un interessante film documentario: South of the Border premiato nel2009 a Venezia ma sparito troppo velocemente dalle sale.

Parlando d’informazione c’è chi sottolinea che la rielezione di Chavez è avvenuta grazie al 54,2 per cento dei voti favorevoli e cioè con quasi nove punti percentuali in meno rispetto ai voti ottenuti nelle precedenti elezioni (2006) mentre sembra interessare meno il fatto che l’affluenza alle urne sia aumentata del 6% rispetto a quella passata. Fenomeno in controtendenza a ciò che si registra invece nella maggior parte dei paesi Europei.

Il programma di Hugo Chávez segue coerentemente le politiche cominciate all’inizio del suo mandato: la rivoluzione socialista bolivariana.

Come afferma il Vicepresidente Elías Jaua, il Governo Bolivariano stringerà la vite per blindare il modello socialista finanziando con i dollari derivanti dall’esportazione del petrolio la possibilità per tutti i venezuelani di aver accesso all’istruzione, alla salute e a un’abitazione.

Per ottenere questo dovranno essere rinforzati i controlli su elementi strategici come l’energia, gli alimenti, e l’edilizia.

Da quando ha assunto il potere, Chávez ha aumentato l’ingerenza dello Stato sull’economia del paese non solo con le nazionalizzazioni, ma anche con il controllo dei prezzi e del tasso di cambio. Finora ha trascorso 14 anni di mandato ignorando il consenso Nord Americano che infatti appoggiò i suoi avversari nel un golpe del 2002 fallito poi miseramente: Hugo Chávez fu reinsediato pochi giorni dopo per acclamazione popolare.

Con posizioni e percorsi differenti e con continuità variabile Brasile, Bolivia e Argentina stanno anch’essi portando avanti una strategia similare di posizionamento rispetto al dominio Nord Americano e alle politiche economiche neoliberiste, applicando norme per poter riaffermare lo Stato come strumento di sviluppo politico economico.

All’interno di questo panorama la creazione del Mercosur (Mercato comune del Sud America) con la sua radio, ampliato poi nell’UNASUR (Unione delle Nazioni Sudamericane) ed il Consiglio di Difesa Sudamericano hanno avuto un ruolo importante, anche nelle contrapposizioni di principio come il concedere da parte dell’Ecuador l’asilo al cofondatore di Wikileaks Julian Assange.

Ma leggendo i giornali è spontaneo chiederci:

«Stiamo parlando di populismo demagogico con l’unico scopo di rafforzare l’autoritarismo del potere o di un nuovo modello di governo coerente con l’evoluzione e l’emancipazione propria di ciascun paese?»

Questo è il dilemma su cui si scontrano detrattori e sostenitori di una via LatinoAmericana all’economia di mercato.

 

BUENOS AIRES E I VARI COLORI DEL DOLLARO

 

Nella “City” porteña il dollaro si va tingendo di vari colori.

Non sto parlando di arte o moda ma delle strade colorate che più o meno legalmente vengono percorse dagli argentini per l’acquisizione del dollaro.

Nonostante la politica kirchneriana abbia cercato di rendere sempre più indipendente l’Argentina dall’egemonia economico-finanziaria americana, utilizzando misure protezionistiche e accordi economici con paesi latinoamericani come il Brasile, gli argentini ora più che mai vanno alla ricerca del bigliettone verde.

Le restrizioni scoraggiano l’acquisizione della divisa con carte di credito (chiamato dollaro celeste) i cui acquisti ora verranno caricati di una tassa del 15%, e stanno imponendo i pagamenti degli immobili in pesos e non più in dollari.

Ma la domanda degli argentini si fa ancora più insistente, in quanto il dollaro appare l’unico ancoraggio contro la perdita di potere del peso e l’annullamento dei propri risparmi; quindi accanto al cambio ufficiale della Banca centrale ormai abbiamo il dollaro blu scambiato a mercato nero con un valore più alto di almeno un 20%-30%.

Ormai la pratica per le strade alternative si sta consolidando: è più vantaggiosa di quella ufficiale sia in termini economici che pratici (elusivi dai controlli); ciò comporterà che il divario tra il cambio ufficiale e quello blu continuerà ad ampliarsi.

E mentre sull’interpretazione dello scenario macroeconomico opinionisti e specialisti si scontrano sul futuro dell’economia argentina in un duello all’ultimo sangue, il povero turista ignaro scambia la propria divisa all’aeroporto nelle case di cambio, dove il dollaro viene valutato ad un tasso del 20 % più basso di quello ufficiale e quindi 40%-50% più basso rispetto a quello blu!