Tutti gli articoli di Luigi M. Bruno

Birdman, l’uomo—uccello vola su Broadway

Trionfa sui nostri schermi, come enfaticamente proclamavano i “provini” di una volta (leggi “trailers”), Birdman di Alejandro González Iñárritu, che stravince l’Oscar di miglior film dell’anno. Lo stile è molto, molto “americano”: agitato, convulso, drammatizzato agli ultrasuoni, sudato e frenetico.
È l’eterna temperatura dei drammoni teatrali di questo ancor giovane paese, da O’Neill a Tennessee Williams a Arthur Miller fino all’ultimo commediante, tutto è rigorosamente sopra le righe ed eccessivo e tutto sommato abbastanza ingenuo, come può esserlo la visione drammatica di una civiltà che vive senza mezze misure e sfumature i suoi abissi sentimentali. Da noi, in Europa, è tutt’altra storia: troppi secoli e troppa strada si è fatta per giungere ad altre raffinatezze, altre caute introspezioni; Cecov o Pirandello sarebbero impensabili nello stile Broadway! Infatti Birdman è molto “all— Broadway”: si tratta in breve delle angustie; miserie, ripicche, litigi e passioni intorno alla tormentata messa in scena di un dramma. Tranne alcuni esterni dove l’uomo—uccello torna a volare o inscena una corsa in mutande sotto la pioggia, i giochi sono tutti teatrali, chiusi nelle quinte anguste ed elettrizzate di un teatro newyorchese. Birdman è l’eroe, anzi il supereroe che ha avuto soldi e celebrità col suo costume alato, ma adesso vuole diventare attore vero e protagonista di una nuova scena, misurarsi fuori dai set hollywoodiani di serie B per dimostrare (soprattutto a sé stesso) che l’uomo vale anche senza penne da volatile.
Nel tortuoso percorso verso il sofferto successo, anzi verso la resurrezione dell’uomo—Fenice, non ci viene risparmiato proprio nulla delle tipiche maschere e dei luoghi comuni del teatro americano: l’attore impulsivo tutto genio, sesso e sregolatezza che violenta le convenzioni del teatro borghese, l’attrice fragile e frustrata, la figlia sputasentenze e incattivita dal solito padre “assente”, la moglie paziente e assennata, financo l’eterno nume—critico teatrale che dall’alto dei suoi corsivi attesi come oracoli dispensa vita o morte… Inoltre c’è la mitologia “yankee” dei supereroi e dei mostri fumettari (del resto noi abbiamo, di più antica data, Teseo e il suo Minotauro) e infine la folla isterica e plaudente alle follie dei protagonisti. Il tutto infine in salsa appunto agitata e frenetica come una maionese impazzita di andirivieni e alterchi senza riposo. Ma questa è l’America, con l’irrompere del suo genio ingenuamente corrosivo nell’attesa dell’inevitabile lieto fine e della nuova aurora in cui il protagonista dalle buie cantine e botole teatrali torna a librarsi sulle nuvole… A proposito, i superpoteri di Birdman sono realtà o sogno dell’attore? Ma forse poco importa.
A suo modo Birdman è un capolavoro, sincero fino all’eccesso, amaro e divertito coi suoi feticci e i suoi eroi immortalati dal “Web”.

Luigi M. Bruno

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Birdman

Un film di Alejandro González Iñárritu
Con Michael Keaton, Zach Galifianakis, Edward Norton, Andrea Riseborough, Amy Ryan, Emma Stone, Naomi Watts, Lindsay Duncan, Merritt Wever, Jeremy Shamos, Bill Camp, Damian Young, Natalie Gold, Joel Garland, Clark Middleton, Anna Hardwick, Dusan Dukic, Carrie Ormond, Kelly Southerland
Commedia, Ratings: Kids+13
USA 2014
durata 119 min.
20th Century Fox

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I “fantasmi” di Marco Stefanucci

Marco Stefanucci pittore o pittoscultore come lui stesso ama definirsi, in effetti elabora una spazialità e una dimensione originale nella quale i suoi monocromi vibrano insofferenti della loro bidimensionalità in cerca di una resa plastica realizzata attraverso l’elaborazione di supporti cartacei o di tessuti che si distendono, si piegano, ondeggiano, con trasparenze misteriose su figure che ora si concretizzano ora si diluiscono nell’apparenza di una fisionomia, uno sguardo, che sa di affascinanti ectoplasmi. Sono figure che o sono esplicite rielaborazioni da dipinti antichi o apparenze, spesso ambigue e sfuggenti proprio come le evocazioni di un medium, assumendo attraverso gli strati materici e le colature bituminose sostanza e qualità di arcaici richiami, rimandi ad antiche memorie.
In effetti l’artista, con una raffinata e sperimentata tecnica di velature, sovrapposizioni, nella resa di uno sfumato di prestigiosa qualità, assomma e risolve una concentrazione espressiva che fa di un ritratto qualcosa di più di una semplice resa fisionomica.
E’ amore per una assenza, o meglio per una presenza sfuggente, indefinita, che ora ” buca” il buio della tela, ora scompare in un “notturno” atemporale.
Sì, è amore per chi non ha più voce ma con dolorosa e languente effusione riaffiora e cattura una nuova vita che ha pur del transitorio, del momentaneo. E’ questa la magia dell’artista, la magia della materia fatta carne e respiro, anzi spirito ed essenza di un “qui e adesso” eppure di un ieri, un tempo trascorso che nella necessaria indeterminatezza trova il “momento” che la fissa, sogno e sostanza del nostro immaginare.

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MARCO STEFANUCCI
Rubedo
Dal 20 febbraio al 7 marzo 2015

Roma
Galleria Lombardi
via di Monte Giordano, 40
Tel. 333.2307817 – 338.9430546

Orario:
dal martedì al sabato
dalle 11.00 alle 19.00
il venerdì dalle 11.00 alle 23.00

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Da Roma a L’Aquila per sempre

Alessandro Piccinini, artista aquilano, con l’evento “Aquila Forever”, orchestrato col valido aiuto del critico Laura Turco Liveri, ha inteso ricondurre all’iniziativa degli artisti e della loro creatività un’importante “pro memoria” sul dramma dell’antica e nobile città e del suo tragico terremoto nel ricordare le sue vittime e nel riaffermare la necessità storica e culturale di salvare un patrimonio insostituibile, inalienabile eredità del nostro paese e dell’intero mondo civile.
Purtroppo il tempo è trascorso, troppo, da quella notte terribile e troppi ritardi, inadempienze e dimenticanze colpevoli lasciano ancora l’Aquila con le sue visibili e crudeli ferite. “Aquila Forever”.
È un grido d’allarme di tanti, tanti artisti italiani e non, sull’urgenza di salvare, ora e per sempre, questo prezioso patrimonio che ancora giace tra le macerie; grido che è una generosa gara per amore dell’arte e della tradizione che lega tantissime personalità in uno straordinario mosaico pittorico, piccole tessere che compongono una voce all’unisono, una denuncia per chi, oggi e ancora, dimentica o ha dimenticato l’Aquila che rischia di diventare una città fantasma.
Artisti di diversissime tendenze e provenienze sono accorsi a comporre questo mosaico-manifesto che è un coro di allarme e di accusa.
I nomi di chi ha aderito sono tanti, impossibile elencarli tutti: il già citato Piccinini, Calabria, Andùjar, Dorazio, Mongelli, Bruno, Paluzzi, Falasca, Mingardi, Sabene, Ochoa ecc.ecc.
La manifestazione, corredata dalla preziosa documentazione fotografica del terremoto e da vari interventi critici oltre che poetici e musicali, si è spostata dal centro culturale “Gabriella Ferri” al centro culturale “Aldo Fabrizi” e ancora in seguito presso il museo “Venanzo Crocetti”, sempre qui a Roma, riscontrando ovunque successo e risonanza particolari.
Infine dal 21 al 31 marzo si concluderà al palazzo dei Nobili all’Aquila dove l’opera mosaico resterà definitivamente, nella Casa dello Studente, proprio laddove più terribile per vittime e distruzione è rimasta più ampia la ferita che è impossibile dimenticare.

 

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00 Mostre L’Aquila Forever 2015_03_aquila_fForeverL’AQUILA FOREVER
Dal 18 ottobre 2014 al 31 marzo 2015

Roma
Centro Culturale Gabriella Ferri e altre sedi

L’Aquila
Palazzo dei Nobili
Dal 21 al 31 marzo 2015

Informazioni:
tel. 06/4391575
Sito web

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Gli artisti partecipanti all’evento provengono da diverse parti del mondo, tra cui Argentina, Austria, Belgio, Brasile, Croazia, Francia, Germania, Iran, Italia, Libano, Romania, Spagna.

Artisti partecipanti
E. Accoto, S. Agostini, G. Aiolo, S. Alessi, A. Allocca, E. Andújar, F. Antonelli, M. Bagordo, A. Baldissera, S. Barbagallo, R. Bartolozzi, L. Bergamini, A. Bilotta, F. M. Bonifazi, A. Boschi, R. Brandi, G. Brizzio, N. Caito, E. Calabria, N. Cannizzaro, J. Capilla Fernandez, C. Capuano, S. Carletti, C. Carratalà, A. Catini, M. Cosimelli, F. Crisarà, G. Cuocolo, M. De Angelis, S. De Angelis, G. Di Bernardini, F. Di Cicco, P. Di Sciullo, F. Di Stefano, M. Di Tonno, F. Dodi, F. Durelli, E. Echeoni, M. Emanuele, D. Falasca, P. Falcone, F. Fedele, L. Ferranti, F. Ferrari, S. Gagliano, A. Gentile, S. Giugno, S. Giunta, M. Glorioso, E. Guerra, C. Guiducci, R. Gulotta, S. Herler, H. Tchoukatcheva Petrana, A. Iaccarino, M. Ionascu, B. Jandolo, D. Lihor, L. Lombardi, M. Loro, P. Maccioni, L. Manciati, C. Marcelli, C. Mariani, A. Massinissa, R. Mele, V. Milici, J. Millán, D. Mingardi, V. Miroballli, S. Mirra, A. Mongelli, Monil, A. A. Moussa, T. Musilli, I. Nurigiani, M. C. Ochoa, J. Pace, G. Paluzzi, L. Paratore, M. Parentela, A. Passa, P. Pastore, A. Piccinini, T. Pollidori, V. Pucci, R. Quintini, M. Ramazzotti, G. Reffo, R. Restante, Rezakhan, R. Ricci, A. Risuleo, R. Rodriguez, M. Ruiz Ruiz, S. Ruocco, C. Sabellico, O. Sabene, N. Santarelli, L. Santoro, S. Savini, A. Scappaticci, E. Scardamaglia, G. Sciannella, M. Serri, I. Seta, S. Sfodera, G. Soldi, K. Thomas, L. Tocci, G. Tranchida, I. Tufano, Valdor, P. Veneziani, A. Vespaziani, C. Vigevani, P. Votinariu, O. Zampieri.

Curatori A. Piccinini, L. Turco Liveri

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Naufraghi in città

Hae Lee Yun, regista coreano (classe 1973), nel 2009 praticamente esordisce con il suo lungometraggio “Castaway in the Moon” (Naufrago sulla luna), uno straordinario “pamphlet” o se volete una denuncia seppur ironica, tra il grottesco e il poetico, di una condizione umana contemporanea stravolta dall’escalation super tecnologizzata che ci aliena ogni giorno di più dalla sostanza e dal nodo essenziale della nostra sacrosanta umanità.
Attraverso il maldestro tentativo di suicidio del giovane protagonista che invece di annegare approda su un deserto isolotto in mezzo alla città dove resterà incredibilmente prigioniero, novello Robinson Crusoe, nonostante sia a un tiro di schioppo dalla metropoli che lo ignora, ci si spiega in termini brutali e paradossali come ognuno di noi viva perso e naufrago nel marasma di un mondo pur vicinissimo ma in realtà estraneo la condizione di una miserevole ed umiliata umanità. Così la lingua sabbiosa e la città diventano e sono per metafora e in concreto landa lunare e desolata in cui si svela totale la propria solitudine.
La favola, grottesca e crudele, ci racconta quindi che il ridicolo naufrago in mezzo ai detriti della città si spoglia ogni giorno di più dalla sua scorza di superficiale civiltà per sopravvivere riutilizzando con l’acume talvolta geniale della necessità i rifiuti che la marea gli depone ai piedi. Così l’uomo con l’essenzialità del suo necessario adattarsi riacquista le capacità elementari perdute nei meandri illusivi di una matrigna irrealtà tecnologica: ridiventa per forza cacciatore, pescatore, agricoltore, costruttore, edificando giorno per giorno una nicchia di sopravvivenza dove il poco o quasi niente ridiventa l’indispensabile.
Ma non basta; l’autore lancia un’altra geniale esca: una stralunata ragazzina, auto reclusa alla sommità di un grattacielo, circondata da ogni ben di Dio tecnologico scruta il mondo esterno pur rifiutandolo (la madre le passa i pasti sotto la porta e lei esce per le necessità corporali solo quando in casa rimane sola!).
Siamo agli estremi di una condizione addirittura comica nella sua mostruosità, ma l’assurdo si traduce poi nel poetico di una vita faticosamente riacquistata alla bellezza degli umani, imprescindibili sentimenti.
La fanciulla, anche lei “marziana” e straniera in mezzo alla città, anche lei naufraga nel suo isolotto di plastica e metallo, scopre dalla cima della sua torre col suo superteleobiettivo il buffo ometto ormai felicemente inselvatichito. È il “gancio” attraverso un singolare e improvviso innamoramento per vincere la sua paura del mondo: ha scoperto qualcun altro in mezzo alla luna, mentre lui coltiva pazientemente i suoi chicchi di grano e lei di notte fugge dalla sua prigione per lanciargli i suoi messaggi in bottiglia. Fino a quando l’incredibile naufrago, recuperato finalmente, riapproda malvolentieri sulla riva della “civiltà” e lei ritrova il coraggio per evadere definitivamente dalla sua prigione. Così Robinson e la sua leggiadra Venerdì, reduci entrambi dall’avventurosa follia di un mondo assurdo e straniante, fatalmente si incontrano e si riconoscono.
La tessitura dell’apologo, a tratti geniale, ci ammaestra e ci ammonisce pur con la leggerezza di un satirico poeta sui tratti essenziali di questa parabola curiosamente impietosa.
Un doppio naufragio stavolta a buon fine.

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00 Cinema Castaway on the Moon locandinaCastaway on the Moon
Titolo Italiano
Naufrago sulla luna
Registi: Hae Lee Yun
Anno: 2009
Sceneggiatore: Hae-jun Lee
Fotografia: Kim Byung-seo
Musica: Hong-jip Kim
Nazione: Corea del Sud
Durata: 116 minuti
Produzione: KIM Moo-ryoung – Banzakbanzak Film Production
Distribuzione Internazionale: CJ Entertainment Inc.
Cast
Jung Ryeo-won
Park Yeong-seo
Yang Mi-kyung
Min Kyoung-jin
Jang Nam-yeol
Yi Sang-hun
Jang So-yeon

Trailer

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Bottega del Misantropo: Catastrofi, che passione!

00 AdN Bottega del Misantropo_logo_1Se comete-killer o asteroidi impazziti non faranno scempio di noi come bersagli da luna-park, se non arrostiremo in un immane “barbecue” da megaeruzioni solari o annientati da interstellari raggi-gamma, se non ghiacceremo inglobati nei nevai di prossime glaciazioni… bé, forse ci toccherà morire di noia tramortiti dalla serie infinita (prevalentemente di produzione americana) degli immancabili film-catastrofe! Pare che negli “States” il genere sia richiestissimo, magari iettatorio e di malaugurio nel resto del mondo, ma invece laggiù, nella felice terra della democrazia e delle opportunità il cittadino medio soffre i piaceri e i dolori di una autocastrazione da futuro incerto e tenebroso.
Ebbene, è così: nella terra dell’ottimismo a tutti i costi, degli inevitabili “Happy end”, degli ingenui e zuccherosi idealisti, dei don Chisciotte in jeans lancia in resta contro i cattivi e dai solidi bilanci comunque in attivo, proprio laggiù, per imperscrutabili labirinti di autopunizione e di indecifrabili paure chissà da quanto sopite, il felice popolo dei liberatori, dei rudi e leali cow-boys, dei coraggiosi astronauti, è diventato un popolo di annichiliti spettatori che si crogiola e si fustiga nell’attesa del fatale, apocalittico sterminio! La serie dei film è praticamente infinita, un esercito di sadici sceneggiatori ogni giorno ne sfornano uno per l’orgia spettacolare di un ormai imbarazzante masochismo: se non è il pianeta che sbrocca da sé è un dannato asteroide che ci punta, se non è un’invasione di crudelissimi alieni è un nuovo diluvio universale o magari una schifosa epidemia incontrollabile…
Ma da chi o da che cosa questo ex-felice paese vuole punirsi? Perché invoca continuamente quasi con lascivia la terribile scimitarra divina?… Forse per antiche sopraffazioni e ingiustizie perpetrate sempre in nome dell’equivoca libertà? Forse pr delitti e oscure trame nascosti sotto il tappeto? O non è una specie di catastrofica liberazione invocata dalla corrotta metropoli-gomorra dove di tutto si fa merce in nome del fondamentale profitto?… E se fosse ormai un incubo ricorrente per esorcizzare l’orrore di un indimenticabile 11 Settembre? Certe ferite sono indelebili e lasciano strascichi che è difficile superare. Penso ai reduci dei campi di sterminio che non riuscirono a dimenticare e a ritornare a una vita serena (qualcuno si è suicidato), penso agli incubi dei giapponesi dopo Hiroshima e alla loro filmografia postbellica popolata di mostri orrendi. Penso anche ai disadattati reduci del Vietnam coi loro fantasmi e i loro rimorsi.
Ogni ferita lascia una cicatrice più o meno dolorosa… Ma l’alluvione, l’onda anomala dei film-catastrofe è ormai nell’ordine della quotidianità, della routine, quasi una frenesia compulsiva, irrefrenabile.
Francamente, senza voler rubare il mestiere e le necessarie diagnosi agli agguerriti psicologi, noialtri della vecchia Europa (ahimé…quanto carichi di ferite e rimorsi secolari!) ci rifiutiamo decisamente alla guercia e iettatoria manìa di chi ci perseguita con l’implacabile: “Ricordati fratello che devi morire”. Sì, lo sappiamo bene, ed è per questo che amiamo tenacemente la vita, magari non ricambiati, nonostante tutto, senza volerla inquinare con tetre e punitive autoinquisizioni, abbiamo imparato ad amarla giorno per giorno, fino all’ultimo respiro!