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Renato: nato felice

Renato: nato felice
uomo fortunato.
Perché felici si nasce
oltre ciò che accadrà poi …
mentre il serpente si morde la coda.
Renato… scherzoso ottimista,
tra impegno e voglia di gioco,
ogni giorno…architettavi una vita
splendidamente comunista.
Hai progettato e realizzato sogni
sempre, anche in finale di partita.
E in tempo di tragedie cosmiche…
mentre l’Uomo, curioso di Marte,
scatena l’ira di abissi che ingoiano stelle,
mentre si sgretola la Cittadella di Aleppo
fiore dell’architettura musulmana
stanca di guerre,
e nell’urlo di “Taranto assassinata”
anche tu sei scomparso Renato
scherzando ancora con quell’ironia…
che celava in giocoso ottimismo
un lieve azzurro di malinconia.
Ultima tua fortuna:
volare via danzando in eleganza
come meteora
ancora bello e scapigliato
senza conoscere l’età più buia
di una stagione estrema che tutto disfa…in vita.
A presto Renato.
Sarina

Sabato 11 agosto Isola Tiberina nell’ora del tramonto.

Il 2 novembre 1975: l’estate era finita da un pezzo. Quella notte, l’ipocrisia
perbenista, distruggendo fisicamente il Poeta, pensò di uccidere la Poesia,
cancellandola per sempre dalla lotta. Sbagliava.
Erano passati quasi sei anni dalla strage di Piazza Fontana. Non si è creduto,
nemmeno per un attimo, alla versione ufficiale del tuo assassinio, come non
si era creduto, che le bombe esplose alla Banca dell’Agricoltura di Milano
fossero anarchiche. La tua vita fu un’opera d’arte rubata, incompiuto
notturno dei tempi che correvano. E correvano davvero quei tempi, come
branchi di cavalli silenziosi scatenati nel deserto. Per questo accadevano
prodigi. Si occupavano conventi nella gloria del Teatro per “Ricamare col
tamburo” e si cantavano canzoni di protesta, si scoprivano poeti
palestinesi, si inventavano manifestazioni-spettacolo colorate come feste e
nascevano opere d’arte grandiose come quelle di Tonino. Si lavorava con
passione e si faceva l’amore sempre, con gioia, come fosse la prima volta e
l’ultima. Ma gioia e amore terrorizzano i mostri e i mostri scatenano le
stragi. Eppure ogni male porta in sé strumenti per combatterlo e fu proprio
nell’anno più buio del decennio, che Renato, giocoso cantore dell’Effimero,
puntando sulla bellezza, riuscì ad esorcizzare la paura. Accendendo i
riflettori su Roma  partendo dallo splendore della Basilica Civile di
Massenzio, diede vita, nel 1977, all’Estate Romana.
E fu nella Gloria di Massenzio, potente evocazione di giustizia, che tutta
la gente, tornando a camminare la città, si riprese golosamente la vita, la
notte e la voglia di sognare.

*Il brano è tratto da “Tradurre la luna in ciliegia e mangiarla” di Sarina Aletta
(Pubblicato in volume con altri 14 racconti finalisti.) Concorso – Roma da scrivere –
II ediz. “L’estate romana”, 2007 Edilet-Letteratura – Comune di Roma.

UN NUOVO PICCOLO MUSEO

Dalla fine del giugno scorso è stato aperto presso il convento dei Cappuccini a via Vittorio Veneto un piccolo museo che ospita un certo numero di opere d’arte di varie epoche e presenta ai visitatori la storia e la spiritualità dell’Ordine che è una branca della più grande famiglia Francescana. Il convento attuale, costruito ottanta anni fa, è una modesta imitazione del grande complesso che fu edificato alla fine degli anni venti del ‘600 per iniziativa di Antonio Barberini, frate cappuccino e fratello del Papa regnante Urbano VIII. L’originario convento si trovava in via della Dataria e dovette essere demolito per l’ampliamento degli edifici di servizio del Palazzo del Quirinale, la chiesa esiste ancora in via dei Lucchesi con il nome di Santa Croce e San Bonaventura. I frati si trasferirono nel 1631 portando con loro un gran numero di corpi di confratelli deceduti con i quali un secolo dopo costruirono il celebre e macabro Cimitero dei Cappuccini. La nuova chiesa intitolata a Santa Maria della Concezione contiene numerose opere d’arte tra cui spiccano “San Michele” di Guido Reni, la “Natività” di Giovanni Lanfranco, “San Francesco riceve le stimmate” del Domenichino, “Sant’Antonio” di Andrea Sacchi; la grande qualità dell’ornato della chiesa fu dovuta al mecenatismo dei Barberini il cui palazzo era vicinissimo al complesso conventuale. Questo sorgeva in un contesto quasi agreste confinando con l’estesa e bellissima Villa Ludovisi ed avendo nelle vicinanze la berniniana fontana del Tritone e poche case intorno alle chiese di San Nicola da Tolentino e di San Basilio; sulla piazza davanti alla chiesa erano stati piantati numerosi alberi di olmo noti come “ l’olmata dei Cappuccini”. Lo sviluppo edilizio di fine ‘800 condannò alla lottizzazione la Villa Ludovisi ed anche il convento fu distrutto per far posto sia a case di abitazione sia all’allora Ministero delle Corporazioni, ora dello Sviluppo Economico, opera di Marcello Piacentini. Il museo è ospitato in otto stanze ognuna delle quali mostra opere d’arte ed espone la vita  ed il pensiero spirituale dell’Ordine. La Provincia Romana dei Cappuccini ed il Fondo Edifici del Culto, proprietario del complesso, hanno raccolto nelle sale ritratti di Santi e Cappuccini celebri, oggetti liturgici e d’uso comune, vasellame da farmacia, crocefissi, reliquie. In una sala sono raccolti quadri e ricordi di Cappuccini del passato: San Crispino da Viterbo, San Giuseppe da Leonessa, San Felice da Cantalice, San Lorenzo da Brindisi, in un’altra memorie più recenti di San Pio da Pietrelcina e del Venerabile Padre Mariano da Torino. Le due ultime sale forniscono dati relativi allo sviluppo dell’Ordine in Italia e nel mondo. In una stanza è ospitata l’opera più famosa del museo, un piccolo olio su tela “San Francesco in meditazione” dipinto per lungo tempo attribuito al Caravaggio ma ora, pur se con contrasti, ritenuto copia, forse dello stesso artista, di un originale un tempo in un convento a Carpineto Romano e ora al museo di Palazzo Barberini. L’opera con fondo scuro mostra il Santo che contempla un teschio che spicca bianco contrastando con il volto emaciato e segnato di Francesco mentre una croce punta diagonalmente verso lo spettatore il tutto con valori simbolici all’epoca molto comprensibili. La visita al museo termina nel Cimitero che raccoglie le ossa di 3.700 corpi, per lo più di Cappuccini, Non si sa chi ideò il macabro arredamento del corridoio di una trentina di metri e delle sei cappelle che costituiscono il Cimitero; ossa di ogni genere e alcuni corpi mummificati rivestono volte e pareti delle cappelle con festoni, lampadari e decorazioni caratteristiche che ribadiscono il continuo pensiero dell’ineluttabilità della morte e la necessità di essere sempre pronti e liberi dal peccato. L’allestimento del museo è moderno e molto scenografico con molti cartelli esplicativi e un paio di video.

 

Roberto Filippi

Roma

Museo dei Cappuccini

via Vittorio Veneto 27

Orario:

tutti i giorni

dalle 9.00 alle 19.00

ultimo ingresso 30 minuti prima

Ingresso:

€ 6,00 intero – € 4,00 ridotto

Informazioni:

tel. 06/42014995

Catalogo:

Editore Gangemi

 

 

 

UN SAHEL DI GUERRA E FAME

A sud dell’Egitto il Sahel periodicamente minacciato dalla carestia, in un Sudan in piena crisi economica dovuta anche dall’indipendenza del Sud Sudan e dalla conseguente perdita dei pozzi petroliferi, il governo sudanese lo affronta con tagli e austerità, ricetta politica riconosciuta in tutto il Mondo. Trovarsi all’improvviso con tre quarti della produzione di petrolio in meno e la conseguente perdita di entrate in valuta straniera rende gli equilibri interni di ogni stato precari e non fa eccezione il Sudan portando la popolazione a manifestare contro l’aumento dei prezzi dei generi alimentari e la progressiva perdita del potere d’acquisto.

Un’ondata di proteste che non tende ad assopirsi e continuamente affrontata con la solita esuberanza dei governi autoritari, com’era già successo l’anno scorso in occasione del “risveglio” arabo, rende la presidenza di Omar al-Bashir una tra le più amate nella galassia araba.

Mentre il Sudan non ha soldi per vivere e il Sud Sudan non ha acqua per dissetarsi i funzionari corrotti della giovane nazione rubano una cifra stimata in 4 miliardi di dollari. Non è il petrolio a fare ricco un paese, ma la pacifica convivenza, ciò che manca al vicino Mali, che sconvolto dal colpo di stato di marzo sembra non esistere più. I militari del Comitato Nazionale per il Recupero della Democrazia e la Restaurazione dello Stato (CNRDR) sembrano incapaci di affrontare gli indipendentisti Tuareg che, alleandosi con gli islamisti in cerca di una jihad, hanno colto l’occasione per decretare lo stato dello Azawad nel settentrione del Mali.

Ora il Movimento Nazionale per la Liberazione di Azawad (MNLA) dei Tuareg sembra essere vittima della mortale stretta dei salafiti dell’Ansar Dine.

Della Timbuctu di Bruce Chatwin, raccontata in L’anatomia dell’irrequietezza, resterà solo un lontano ricordo con le attuali scorribande di bande armate impegnate a demolire antiche vestigia, trasformata in un’enorme prigione a cielo aperto per quella popolazione che non è riuscita a fuggire e tutto in nome di un islam “purificato” dalle contaminazioni ancestrali e dal turismo occidentale, come era già successo in Afghanistan con la distruzione dei Buddha di Bamiyan, nel 2001 per opera dei Taliban, sei mesi prima dell’11 settembre.

Della Timbuctu, mitica città uscita da una favola, un miraggio nel mezzo del deserto con l’imperante presenza jihadista dedita alla distruzione di sepolcri e portali inseriti dall’Unesco nella lista dei patrimoni dell’umanità rimarrà poco.

La crescente influenza del gruppo Ansar Dine, da poche centinaia di militanti in tutto il Sahel di poche settimane ora si sono moltiplicati sino a centinaia di armati solo nel Mali, mette in discussione l’edizione del 2013 del Festival au Désert che ogni anno sin dal 2001 si svolge a Essakane, a 65 chilometri da Timbuctu, per festeggiare internazionalmente la musica, le danze e i giochi legati alla tradizione tuareg già pubblicizzato sul sito ufficiale.

Le notizie da quei luoghi sono frammentarie, ma a quanto riferiste il quotidiano britannico Guardian le popolazioni mal sopportano la presenza dei ribelli islamisti distruttori e fustigatori dei costumi nativi, soprattutto perché provenienti da paesi come Algeria o Pakistan, una rabbia che ha portato numerosi giovani in piazza e centinaia di volontari si preparano ad affrontarli con le armi.

Un’instabilità politica che prosegue anche nella Libia post elettorale e nel Mali continua a non permettere di monitorare lo sciamare delle locuste per mancanza di piogge nel Sahel e nell’Africa occidentale, senza poter intervenire efficacemente per salvaguardare le colture dell’area.

Una situazione di conflitto che apre la strada agli altri tre Cavalieri dell’Apocalisse: Carestia, Pestilenza e Morte.

Gruppi integralisti affiliati ad Al Qaida au Maghreb islamique (Aqmi), milizie tribali e la proclamazione dei tuareg dello Stato indipendente dell’Azawad, sono fattori d’insicurezza che coinvolgono anche la frontiera libico-algerina suscitando nostalgie del passato nei governi occidentali per la stabilità garantita dai regimi autoritari e nelle popolazioni che preferiscono essere tutelate da un solo dispotico piuttosto che essere spettatori della libertà di tanti prepotenti. E nulla sarà come prima.

 

Gianleonardo Latini