Archivi categoria: ALTRI DI NOI

Berkeley e Cancel Culture

La notizia della “damnatio memoriae” del filosofo George Berkeley (1685-1753), al quale era dal 1967 intitolata una prestigiosa biblioteca universitaria del Trinity College di Dublino, ha colto di sorpresa la stampa italiana. Il filosofo nato in Irlanda di quella istituzione era stato anche un bibliotecario, quindi perché cancellarlo? Per noi italiani diplomati di liceo, Berkeley è noto insieme a Hume per essere stato un esponente della filosofia dell’empirismo inglese, ma non andiamo oltre. A questo punto consultiamo una fonte affidabile: The Irish Times. Scopriamo così che il nostro filosofo era anche un teologo e vescovo anglicano (sui manuali scolastici non ricordo di averlo mai letto) e che nel 1729 comprò una tenuta agricola nel Rode Island, oggi uno degli Stati Uniti ma all’epoca colonia britannica, facendo uso di schiavi e anche giustificandone in alcuni dei suoi scritti l’utilità e la fondatezza ideologica. Quindi un razzista schiavista. All’inizio si è mossa la Trinity’s Students’ Union per sottoporre l’iniziativa al Trinity Legacies Review Working Group e la relazione ufficiale è reperibile in rete (1). In base a questa il gruppo di lavoro (93 fra prof, studenti ed esperti) ha cassato il nome del filosofo. Più precisamente: 16 a favore del nome, 23 per un nuovo nome, 47 per la cancellazione della memoria del filosofo schiavista.

E negli Stati Uniti, patria della Cancel Culture, come l’hanno presa? L’Università di Berkeley è dal 1868 la più importante della California e prende il nome dal vicino abitato di Berkeley oltre che dal filosofo. Ebbene, il New York Times ci rassicura: la prestigiosa università americana non cambierà nome. Questo in sintesi il comunicato ufficiale: sappiamo che i fondatori di questa università hanno chiamato il centro abitato e il campus col nome di un individuo discutibile, tuttavia oggi Berkeley incarna e rappresenta prospettive e valori molto diversi (“Berkeley’ has come to embody and represent very different values and perspectives.”).

Ma il paradosso è che entrambe le idee sono coerenti proprio con la filosofia di George Berkeley: era il teorico dell’esse est percipi. L’essere significa essere percepito, le idee non esistono se non vengono percepite e la realtà esiste solo per il concetto che ce ne facciamo. Negando il nome di Berkeley, il filosofo non esiste più.

NOTE

  1. Working Paper on Berkeley’s Legacies at Trinity. Dr Mobeen Hussain, Dr Ciaran O’Neill and Dr Patrick Walsh | March 2023. In formato PDF.
https://www.tcd.ie/seniordean/legacies/berkeleyTLRWGworkingpaper.pdf

****************************

Ladri di anime virtuali

Il mese scorso alcuni profili su Twitter e Telegram hanno pubblicato documenti classificati relativi alla strategia degli Stati Uniti e della Nato per preparare le Forze armate ucraine all’invasione russa, ma anche nel mio piccolo le acque si sono agitate: da qualche giorno sto cercando di rassicurare mia moglie, senza grandi risultati. Le hanno hackerato il suo profilo Instagram e le sue amiche ricevono da ieri strani messaggi: “aiutami a diventare ambasciatore di influenza” (influencer? fa la coppia con “carriere alias”) oppure propone speculazioni in bitcoin. La prima ad avvisarla è stata un’amica: “ma perché mi chiedi il telefono se lo sai da anni”? Da qui la scoperta: mia moglie aveva incautamente risposto – per stanchezza – a un contatto farlocco. Il classico phishing, ne mandi 3.000 e uno abbocca. Ci ho messo un po’ per spiegarle che non le avevano rubato soldi o svuotato la carta di credito, per cui al massimo sarebbero partiti un po’ di messaggi fasulli. Mentre facevo la denuncia online alla polizia postale, lei si attaccava al telefono e a whattsap per avvertire tutti i contatti, quando non erano le amiche a chiamarla per dirle che di certo non credevano a quei messaggi improbabili. Le chiedo se aveva pubblicato foto intime, pur sapendo che certe cose non le farebbe mai. Le dico che di questi tentativi in mail ne ho visti ed evitati centinaia (belle ragazze russe, una ex che mi scrive, pacchi in giacenza, azioni Amazon, buoni Ikea, bitcoin, banche di cui mai sono stato correntista) e che l’unica volta che mi hanno clonato una carta di credito (con poco contante, per fortuna) avevo scomodato due banche e un commissariato e tagliato la carta, ma dopo due giorni avevano arrestato due loschi figuri vicino lo sportello bancomat manomesso. Nulla da fare: voleva per forza rientrare nel suo account, ma senza password (dimenticata) non era possibile. Tanti siti ti dicono come fare, ma alla fine non è vero. A quel punto proviamo col centro assistenza Instagram, ma è tempo perso: il modulo segue impostazioni troppo rigide. Ma a questo punto cerchiamo di recuperare la password: viene mandato un codice a una mail che tengo di riserva. Inserito il codice, la scena diventa surreale: ti chiedono di inquadrare col telefonino il suo volto. Per fortuna mia moglie ha un bell’ovale ed entra bene nell’inquadratura. Deve anche voltarsi lentamente… dopo un quarto d’ora non succede niente. Proviamo facendoci mandare il codice via sms. Lo mandano a un numero con prefisso 234. Controllo: è il prefisso della Nigeria! Nel frattempo mia moglie è in ansia e teme chissà cosa, ma in realtà con la denuncia cautelativa sta a posto. Passiamo al security control via mail. Chiedono di mandare prima un video che dimostri che non è un robot. Poi ci riprovano chiedendo una foto di lei che tiene in mano l’ID, la carta d’identità, mentre le amiche continuano a ricevere messaggi improbabili. Telefono a un mio amico informatico, il quale mi dice che sono lenti nelle risposte ed è tutto basato su algoritmi. Dopo due giorni l’account è sospeso. Fine della storia. Per ora.

Finlandesi curiosi a Roma

Una mia amica finlandese mi ha chiesto di aiutarla a organizzare il soggiorno romano di un gruppo di italianisti suoi connazionali. Elina e suo marito Martti sono fondatori e titolari della casa editrice finlandese ARTEMISIA, che ha una doppia missione: tradurre autori italiani in finnico e autori finlandesi in italiano. Per fortuna entrambi i paesi prevedono modesti contributi per le traduzioni da una lingua all’altra, specie quando si tratta di lingue con diffusione limitata. I nordici in genere sono demograficamente pochi, ma lettori forti, quindi c’è mercato e dopo Pasolini e Umberto Eco ora impazza Elena Ferrante. In più, tanti adulti vogliono imparare l’italiano sia per viaggiare, sia perché amanti della letteratura, del cinema e dell’Opera. Eccomi dunque a organizzare la settimana romana di quindici attempati finlandesi, uomini e donne comunque già inseriti nell’editoria o in istituzioni culturali, tutti o quasi capaci di capire l’italiano. Avrebbero dormito dalle Brigidine a piazza Farnese, fondato da santa Brigida (Birgitte) nel 1300 e da sempre ostello riservato ai pellegrini e viaggiatori scandinavi e questo era il programma: SCRITTORI A ROMA. Un viaggio letterario nel passato e presente romano 3-9 marzo 2023. Programma ricco, visto che prevedeva la visita alle case-museo di Moravia e della Bellonci, la presenza di una scrittrice italiana, un giro alla libreria Fahrenheit di Campo di fiori, la visita a un editore romano e alla Casa delle Letterature, più un paio di serate al ristorante, uno dei quali – al Cardello – frequentato all’epoca da una poetessa finlandese.
Tutto questo non è stato facile da organizzare: poco tempo e continui cambi di programma dovuti alle diverse disponibilità dei vari attori; questo lo vedo rivedendo ora il fitto scambio di mail e telefonate. I musei Moravia e Bellonci avevano giorni di apertura programmati, Simona Cives (responsabile della Casa delle Letterature) quel giorno era impegnata in una riunione, mentre alcuni editori romani non erano disponibili: Gangemi aveva un fitto calendario di presentazioni, Palombi l’avevo avvisato troppo tardi. Alla fine ci ha ricevuto con tutti gli onori L’Erma di Bretschneider , specializzata in archeologia e arte antica. La Casa delle Letterature ci ha comunque ospitato il giorno dopo in una sala riservata ai convegni, e lì ho illustrato la struttura e le attività delle biblioteche di Roma, dove avevo comunque lavorato e che non sapevo fossero diventate un caso di studio per il comune di Helsinki. Ma l’incontro più stimolante è stato con Claudia Bellocchi, la quale ha presentato il suo libro di esordio (già recensito su queste pagine), Non chiedermi chi sono. Luogo d’elezione, un salotto Ottocento interno all’ostello-convento delle Brigidine. Un pomeriggio interessante per tutti: curiosi e ben informati i finlandesi, brillante come al solito la Bellocchi, capace di esprimersi anche in arti visive e teatrali. Spero realmente in una maggiore collaborazione fra Artemisia e RomaCultura.

Latino per ragionare

“Il latino ti fa ragionare”. E perché non l’ungherese? Strutturalmente diverso, ha comunque una sua logica interna: le lingue servono per comunicare, quindi sono macchine logiche. Più una lingua è complessa, più sottopone l’altro a uno sforzo intellettivo, ma non esistono lingue incoerenti. Questo per sfatare uno dei luoghi comuni con cui si difende il liceo classico, che in questo momento non polarizza le scelte delle famiglie. Né mi sorprende: frequentare un liceo significa dover andare all’università, mentre un istituto tecnico garantisce un ingresso più rapido nel mondo del lavoro. O dovrebbe, vista la mancanza degli adeguati istituti tecnici superiori che sono invece l’ossatura della Germania, in stretto coordinamento con le imprese industriali. Inoltre il rapido sviluppo della tecnologia ha portato in tutto il mondo al potere una classe di tecnocrati digiuni di cultura umanistica, le cui decisioni sull’ordinamento scolastico rispecchiano la loro mentalità di elettricisti. Col termine intendo un tecnico che sa far funzionare un impianto ma ne ignora le implicazioni filosofiche, con i risultati sociali e politici che sappiamo. So che in Finlandia l’attuale governo sta riducendo i fondi per le facoltà umanistiche a favore di quelle tecniche, e lo stesso fa il governo polacco (tra l’altro è stata chiusa l’Accademia polacca delle Scienze di Roma), mentre negli Stati Uniti c’è una ripresa degli studi umanistici, anche se il mondo classico deve fare i conti con la cancel culture e la valorizzazione delle minoranze etniche. Se si passasse da un eurocentrismo a un policentrismo andrebbe anche bene, ma le censure puritane inquinano la razionalità in nome di astratti principi ideologici. In realtà la cultura classica è sempre stata elitaria e non immediatamente spendibile sul mercato, ma aveva il suo prestigio, mentre è intuibile che da noi greco e latino saranno prima o poi sostituiti da spagnolo (più facile) e mediazione culturale (alla moda) in quello che mi piace chiamare Liceo Statale Semplificato (LSS). Ma già Berlusconi propugnava le tre “I” (informatica, inglese, impresa) omettendo la quarta: Italiano, mentre la sua ineffabile Gelmini ministra dell’Istruzione provvedeva a lanciare la peggior riforma della scuola italiana mai vista prima, senza risolvere peraltro il problema della formazione e selezione degli insegnanti, incoerente già dai tempi della mia laurea.

Proviamo allora ad affrontare il problema da un altro punto di vista. Una lingua si può studiare non solo perché è utile – come l’inglese o il russo – ma perché è legata a una cultura superiore di cui noi siamo gli eredi, meglio ancora se viviamo a Roma. La storia e la cultura greco-romana si sviluppano in un arco temporale e geografico che vede ascesa e declino o trasformazione di economie, istituzioni, poteri, flussi demografici e assetti geopolitici da cui possiamo ancora imparare qualcosa, per non parlare di una letteratura che comunque ha tuttora il suo peso e ha comunque prodotto in seguito secoli di classicismo nelle varie arti. Studiare una cultura attraverso la lingua in cui si esprime ti fa entrare in un mondo diverso da quello della letteratura filtrata da una cultura esterna, allo stesso modo in cui studiare Kant ed Hegel in tedesco ha un senso diverso. Ma lo stesso si può dire del Corano, che nelle traduzioni italiane non è sempre facile da comprendere per la presenza di termini tradotti secondo il filtro della nostra filosofia idealistica. E’ chiaro che il prestigio di una lingua la danno anche la ricchezza dei commerci, la potenza degli eserciti o la forza di una religione e non solo la letteratura o la storia romana. Nel corso del tempo l’inglese ha scalzato il francese, ma questo si deve allo sviluppo della ricerca e della tecnologia e al peso del commercio internazionale. Mai giudicare una lingua senza una analisi del mondo a cui è legata. Sicuramente il cinese sarà la lingua del futuro.

Ma oggi il peggior nemico del Latino non è lo stato-nazione tecnocrate, ma il Vaticano.  A parte la costosa babele derivata dall’abbandono del latino come lingua dei documenti ufficiali, l’accanimento di papa Francesco e dei vescovi contro la messa in latino e il canto gregoriano è quasi patologico, visto che la Chiesa accetta in tutto il mondo almeno una ventina di liturgie diverse. Giustamente papa Ratzinger si è addolorato, ma per il resto stiamo parlando di un clero che si è formato esclusivamente a seguito del Concilio Vaticano II ed è quindi ossessionato dalla sua realizzazione integrale. Ma prendersela contro un settore minoritario della comunità cattolica e tutto sommato di retroguardia ricorda la protervia esercitata contro i profughi istriani: astiosa, gratuita e fuori tempo. La Russia di Putin ci ha fatto capire che la politica non è purtroppo legata esclusivamente a fattori razionali. Ma diciamolo apertamente: i fantasmi cattolici sono ben altri e meglio sarebbe risparmiare energie per affrontarli, piuttosto che perder tempo con le messe in latino.

Tik-Tok War

La guerra fra Russia e Ucraina dura da un anno e ha cambiato il nostro modo di vedere la realtà. Intanto, nessuno aveva previsto che a distanza di ottanta anni dalla seconda Guerra Mondiale e a trenta dalla fine della Guerra Fredda fosse possibile e conveniente una terza guerra in Europa. Cultura, commercio, conoscenza tra i popoli avrebbero dovuto sviluppare una nuova coscienza politica in un mondo globalizzato. La stessa interconnessione fra economie diverse – basti pensare al gas russo – avrebbe dovuto garantire stabilità, mentre l’interscambio culturale e il benessere sarebbero stati lo stimolo per maggiori riforme democratiche e servizi sociali. Ebbene, questi argomenti erano correnti anche nel 1914, come leggo ne La grande storia della prima Guerra Mondiale dello storico inglese Martin Gilbert (Mondadori, 1998). Se nella dinamica delle guerre in Europa entrano in gioco parametri diversi dalla quelli della razionalità, quali sono? Sicuramente la componente primordiale del potere assoluto e la pretesa di considerare i vicini una proprietà privata, ma anche la scarsa capacità di gestire le minoranze o di non saper condurre l’azione politica con mezzi adeguati. La guerra è un’espressione della politica, lo dice Karl von Clausewitz nel suo testo Della Guerra che è la bibbia delle scuole militari. Solo che lui scriveva al tempo di Napoleone, quando la guerra ancora costava meno di quello che potevi ricavarne. Oggi, a distanza di un anno dall’Operazione speciale di Putin il fronte sembra quello della prima Guerra Mondiale: invece del movimento si vedono solo trincee nelle quali mio nonno non si troverebbe troppo spaesato.

Ma un aspetto nuovo c’è, a parte la tecnologia dei droni o delle armi ipersoniche o la migliore copertura delle comunicazioni. Parlo della visione del conflitto attraverso non tanto i media, quanto l’elettronica di consumo. Le guerre recenti le abbiamo viste quasi in diretta attraverso reportage giornalistici o riprese fatte dagli eserciti stessi, ma finora non s’era vista la continua proiezione di micro sequenze che rimbalza ogni giorno su Facebook, Tik-tok e altri social. Anche il soldato semplice o il partigiano possono usare mezzi che ancora pochi anni fa erano costosi e ingombranti mentre ora sono tutti miniaturizzati, né sembra esista un forte controllo su immagini che se condivise possono però anche dare informazioni al nemico, ed è successo. Queste immagini c’è chi se le studia per capire le operazioni sul terreno – parlo dei militari – ma la maggior parte dell’utenza è composta da gente normale, in genere giovani o giovanissimi, per i quali la guerra è un’astrazione o un videogame, e non per niente alla maggior parte di questi brevi filmati viene unita una musica rock o da effetti speciali, aumentando il senso di straniamento in chi la segue. Ma c’è di più: se le riprese documentarie sono presentate come in un videogame, i veri videogame si possono scambiare per riprese reali, specie se uno vede tutto nello schermo di un Iphone. Alludo a un videogame chiamato Arma3. In realtà è la versione ridotta e commerciale di un sistema di simulazione militare prodotto per le scuole militari e venduto solo in quel mercato. Si possono scegliere mezzi, terreni e tattiche a volontà e il realismo è massimo e il sistema si compra per 30 euro; posso dire che, vista la sua destinazione originaria, il prodotto è realistico, non è il solito sparatutto. Se posso distinguere il filmato vero dal videogame è perché nella versione commerciale restano dei limiti inavvertibili da chi ne fa un uso ludico. Faccio un esempio: se mi apposto con un’arma controcarro aspettando la colonna dei mezzi nemici, una volta colpito il primo carro e forse il secondo io prendo e scappo, mentre nel videogame continuo a sparare sempre dalla stessa posizione, il che è assurdo. Ma giuro che è difficile distinguere la ricognizione delle trincee russe fatte da un drone da cento euro dalle sequenze di un videogame ad alta definizione come Arma3. La differenza è che i soldati non si rialzano più.