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Medio Oriente: Apprendisti stregoni

Ricordate Fantasia, il film di Walt Disney dove c’era anche Topolino apprendista stregone? Ebbene, i suoi discepoli oggi sono tanti, tragicamente pasticcioni e incapaci di frenare gli sviluppi delle reazioni a catena che hanno incautamente provocato.

Ma passiamo ai fatti. L’Isis o Califfato che dir si voglia, ha effettivamente spiazzato gli analisti. Una volta raggiunta la massa critica, un movimento politico esplode in tutta la sua dinamica aggressività, è normale. Ma perché nessuno se ne era accorto prima? Evidentemente erano stati sottovalutati i segnali, oppure i protagonisti sono stati capaci di dissimulare le loro azioni. Oppure ancora, era difficile mandare giornalisti in zona. Ma esiste un’altra, inquietante interpretazione: gli apprendisti stregoni hanno perso il controllo della loro creatura. Andiamo per ordine.

Quando i sovietici occuparono l’Afghanistan negli anni ’80 del secolo scorso, gli Statunitensi finanziarono Bin Laden e i suoi, armandoli anche con micidiali missili Stinger che poi avrebbero ricomprato a caro prezzo. In seguito, l’Iran finanziò gli Hezbollah per far sloggiare gli Israeliani dal sud del Libano, mentre gli Alleati invadevano l’Iraq senza pensare che la guerra vera sarebbe iniziata una volta entrati a Baghdad e – quello che è più grave – senza avere un piano preciso per il dopoguerra. Dunque, sono proprio gli Statunitensi ad aver addestrato e armato i Talebani per combattere i Sovietici in Afghanistan. Risultato: una volta andati via i Sovietici, il paese presto crolla e viene conquistato proprio dai Talebani, i peggiori invasori che quel paese potesse avere e soprattutto i peggiori nemici per le forze alleate che cercano da più di dieci anni di ricostruire il paese e modernizzarlo. Noi italiani ne siamo usciti ora, ma dopo 13 anni e 53 militari caduti ancora non sappiamo chi ha vinto: nessuno ce lo ha saputo o voluto spiegare.

Andiamo avanti. Recentemente il governo iraniano ha pubblicamente detto all’Onu che il terrorismo islamico è un pericolo per l’umanità. Niente male per chi ha inventato gli Hezbollah ed ora, nel generale rovesciamento delle alleanze, si trova ad essere un fedele alleato degli Statunitensi nella lotta contro i Sunniti del Califfato. Neanche a dire che è stata proprio la miopia settaria dello sciita Al-Maliki a contribuire allo smembramento dell’Iraq, anche se prima di lui Ali Moussa Sadr era andato contro gli alleati senza avere un piano di lungo termine. Ma se pensiamo che in fondo gli Sciiti e i filosciiti sono da sempre iraniani o filo iraniani, non è difficile vedere in questo conflitto l’antica insofferenza dei Persiani verso gli Arabi, musulmani ma disprezzati da una cultura superiore.

Passiamo ora ai Francesi guidati da Sarkozy, i quali nel 2011 s’intromettono d’iniziativa nella guerra civile libica e ci spingono dentro anche gli altri. Berlusconi è amico personale di Gheddafi, ma in quel momento è troppo debole per resistere alle pressioni degli Statunitensi, i quali inventano persino un nuovo concetto giuridico: la guerra umanitaria preventiva. Alla fine Gheddafi viene eliminato, col risultato di creare un vuoto di potere, di espandere a sud la guerra per bande, di far dilagare l’esodo dei migranti verso l’Europa e spaccare il paese in due parti più o meno strutturate, Tripolitania e Cirenaica – una delle quali tendenzialmente islamista – più un enorme deserto crocevia di traffici di ogni genere. Attualmente, in mancanza di un vero procedimento democratico, ci limitiamo ad appoggiare i signori della guerra meno islamizzati o più affidabili, concetto relativo in una nazione gestita tradizionalmente da una quindicina di clan tribali. Il guaio è che noi italiani le coste libiche le abbiamo proprio davanti. La famosa quarta sponda per ora porterà solo guai.

Ma torniamo allo sciita Al-Maliki, presidente dell’Iraq, che riesce a scontentare e dividere il paese sbilanciando il potere a favore della maggioranza sciita e provocando l’unione dei Sunniti a parte del Califfato, realtà stranamente emersa dal nulla ma subito divenuta potente protagonista sulla nuova scena storica. Erano stati spesi dagli Statunitensi 25 miliardi di dollari per ricostruire l’esercito iracheno, che si è decomposto in pochi giorni, facendo finire armi ed equipaggiamenti moderni in mano nemica. Tanto valeva dividere subito l’Iraq in tre stati: sunnita, sciita e curdo.

Due parole anche per Israele, che in anni recenti ha indebolito l’OLP solo per vedere una protesta palestinese sempre più radicalizzata e la frontiera con il Libano gestita dagli Hezbollah. Ne valeva la pena? Erano queste le aspettative della pur esperta e scaltra diplomazia israeliana? Sicuramente in israele contano molto gli equilibri politici interni, ma tutto ha un prezzo.

In ordine di tempo, seguono i Turchi, la cui politica neo-ottomana ha finora appoggiato l’ISIS in funzione antisiriana, sperando che si eliminassero anche i Curdi presenti in loco. Ora il governo di Erdogan lascia passare i guerrieri nati in Europa che vanno ad arruolarsi nelle file dell’ISIS. Ufficialmente la Turchia è un fedele alleato dell’Occidente nella lotta al terrorismo, ma non quando si tratta di dar fastidio ai vicini. Miglior figura fanno i Curdi, che in effetti riescono a contenere l’offensiva dell’ISIS sia a Kobane che nel Kurdistan iracheno. E soprattutto, difendono sé stessi.
Sempre in Siria, riecco gli Statunitensi che, dopo aver finanziato l’opposizione moderata al regime di Assad, scoprono che questa si è unita all’ISIS in alleanza tattica contro il comune nemico, col risultato di eliminare qualsiasi opposizione se non moderata, almeno civile.

Nel frattempo i separatisti ucraini filorussi sono stati armati sottobanco dai Russi, anche se questi negano. Come in Crimea, i miliziani hanno stranamente tutti lo stesso fucile e le stesse giubbe, anche se prive di distintivi. Finora ha funzionato, ma non è detto che il controllo su di loro sia eterno ed efficace.

Infine, Arabia Saudita ed emirati vari, i quali prima finanziano i movimenti islamisti più fondamentalisti e poi temono che la loro espansione minacci la base del proprio potere. E’ curioso vedere l’Arabia Saudita o l’Oman da entrambe le parti del conflitto: come finanziatori di moschee wahabite e come alleati degli Statunitensi contro il terrorismo dell’ISIS. Curioso perché in casa loro quei regimi portano avanti idee molto simili a quelle dei loro nemici. Nemici del loro potere.

Quello che quasi diverte poi è la faccia tosta con cui i presidenti di Turchia e Niger partecipano alla grande manifestazione a Parigi in favore di Charlie Hebdo e della libertà di espressione e poi vietano la diffusione del giornale o delle sue vignette nei loro paesi, non prima però di aver scattato la foto ricordo con i grandi della Terra.

Islamia #NotInMyName La campagna Non in nome mio lanciata da musulmani 6a43421b-2e23-41e8-80f3-6ac33815d973

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Qualcosa di più:
Medio Oriente: Un Buco Nero dell’islamismo

L’islamia: preda e predatrice

Siria: Il miraggio della Pace

Siria: Dopo le Minacce Volano i buoni propositi

00 OlO Islamia Quale Occidente è l'obbiettivo Magazine Charlie Hebdo Parigi era una guerra 3-faces-of-islamophobiaSiria: Continuano i raid aerei per fare altri morti

Siria: Vittime Minori

Siria: continuano a volare minacce

Ue divisa sulla Siria: interessi di conflitto

La guerra in Siria vista con gli occhi di Sahl

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La Relatività della Felicità

La ricerca della Felicità, come recita la Dichiarazione di indipendenza degli Stati Uniti d’America, è uno dei diritti inalienabili, insieme alla Vita e alla Libertà che tutte le persone ambiscono a raggiungere, ma già Dante Alighieri in De monarchia introduce il tema della Felicità, sostenendo, nel primo libro, della necessità storica e filosofica della monarchia universale come garante della felicità terrena e celeste dell’uomo.

Il primo passo di questa ambiziosa ricerca è “Appattare” (dalla coloritura palermitana connettere) non solo il cuore con la testa, come Natascha Lusenti ha introdotto nella puntata dedicata alla Felicità di Ovunque6 su Radio2, condotta con Francesca Fornaro, ma anche con la fisicità del vivere: la pancia.

La Felicità trova un suo concretizzarsi oltre il filosofico, rivolgendo lo sguardo verso il prossimo, come consiglia Action for Happines con 10 “azioni” per vivere felici:
1. Giving (Dare). Fare qualcosa per gli altri.
2. Relating (Relazionarsi). Relazionare con le persone
3. Exercising (Esercitarsi). Prendersi cura del proprio corpo.
4. Appreciating (Apprezzare). Apprezzare il mondo che ci circonda.
5. Trying out (Provare). Imparare sempre cose nuove.
6. Direction (Obiettivo). Avere obiettivi da raggiungere
7. Resilience (Resilienza). Trovare le risorse utili per fronteggiare le avversità.
8. Emotion (Emozione). Avere un atteggiamento positivo
9. Acceptance (Accettarsi). Accettarci per come siamo
10. Meaning (Dare senso). Essere parte di qualcosa di più grande.

L’astrazione della Felicità non può trovarsi in un’umanità che si accartoccia su se stessa, in un esasperato individualismo, ma si può scoprire palpabile e intera, nella corrispondenza con nostro prossimo, accettandolo nel suo essere differente da noi e magari complementare. Una Felicità non solo interiore, ma soprattutto aperta verso al Mondo, per essere utilizzata come unità che misura il benessere di una comunità, il Fil (Felicità interna lorda), pari del Pil (Prodotto interno lordo), come da alcuni anni viene utilizzato nello stato himalaiano del Bhutan, trovando in alcuni economisti dei discepoli.

Nel 2008 il presidente Nicholas Sarkozy volle istituire una Commissione con il coordinata dai premi Nobel come Joseph Stiglitz e Jean-Paul Fitoussi per analizzare le misure che determinano il progresso sociale. La conclusione della Commissione ha determinato la necessità di spostare l’attenzione dall’economia al benessere delle persone non solo per il reddito, ma anche per la salute e istruzione, individuando nelle relazioni sociali e nell’ambiente alcuni coefficienti della Felicità.

Poi nel 2010 il Fil ha trovato in Cameron uno strano sostenitore con il suo il timido approccio con la distribuzione tra i cittadini di sua maestà un questionario. I cittadini vennero invitati, per determinare la Felicità nel contesto britannico, ha rispondere a delle domande come: Siete soddisfatti della vostra vita? Siete soddisfatti di vostra moglie (o di vostro marito)? Come giudicate la vostra salute fisica e mentale? Avete un lavoro e ne siete soddisfatti? Siete contenti di vivere nel vostro quartiere e avete paura del crimine? Siete soddisfatti del vostro salario? Avete ricevuto una buona istruzione? Vi fidate dei politici nazionali e locali?

La rilevazione, intitolata What matters to you? (Ciò che conta per te?), coinvolse 200 mila persone, promossa dall’Ufficio nazionale di statistica, per essere raccolte nel British Household Panel Survey, per elaborare l’indice di General well-being. Mentre l’OCSE  (Organizzazione per la Cooperazione e per lo Sviluppo Economico) nel 2012 sviluppò il SIGI http://genderindex.org/ (Social Institutions and Gender Index) per misura il livello di discriminazione delle donne in più di cento Paesi.

Guido Rossi, nell’intervista di Carla Ravaioli su Il Manifesto del 31/10/2010, afferma che il Pil non tiene conto della qualità della vita, obbligando ad una crescita smodata, causando anche delle guerre che non hanno senso.

L’Italia non poteva essere da meno e nel 2013 il Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro (CNEL) e l’Istituto Nazionale di Statistica (ISTAT) hanno pubblicato il rapporto Bes (Benessere Equo e Sostenibile). Un rapporto che doveva definire l’insieme di fattori che condizionano il progresso nel paese. Uno strumento d’avanguardia per monitorare le condizioni economiche.

Rapporti e iniziative che impegnano personale e fondi, ma che sembro dover rimanere tra le buone intenzioni dei politici incapaci di far tesoro di tali indicazioni per influire in modo positivo nella vita di tutti i giorni.

Il tema della Felicità è anche un Festival che nel primo fine settimana di dicembre ha ravvivato Catania.

Il concetto della Felicità può essere puramente personale, così quello che rende felice il sadico soddisfa il masochista, chi trova soddisfazione nel salato e chi nel dolce, c’è anche chi trova appagamento nel rendersi disponibili verso il prossimo e chi nel prossimo vede la sola origine di ogni fastidio o ancor peggio come fonte che prosciuga ogni vitalità.

Se è facile quantificare la ricchezza non è altrettanto semplice misurare la Felicità, come sostiene Martha Nussbaum dell’Università di Chicago, e si va incontro a quello che i filosofi chiamano «preferenze adattive».

L’economista e filosofo indiano Amartya Kumar Sen, Premio Nobel per l’economia nel 1998, riscontra nell’utilitarismo come fine in se stesso del piacere la capacitò ad adattarsi alle situazioni esterne. La Felicità in condizioni di estrema povertà si adegua al ribasso, così le persone saranno soddisfatti di pochissimo. Una forma di Resilienza nella sopravvivenza quotidiana che va oltre alla capacità di far fronte agli eventi traumatici e riorganizzare la propria vita dinanzi alle difficoltà.

Difficoltà che possono essere affrontate anche con la Gentilezza altrui, come tende a dimostra annualmente (13 novembre) con l’omonima Giornata Mondiale (World Kindness Day), trovando una sua continuità con il Movimento Italiano per la Gentilezza, in fin dei conti la gentilezza è spontanea e disinteressata, non è formale come la cortesia, salutare una persona che si incontra per strada può, se non felici, renderci sereni e uscire dalle turbe individualiste per affrontare la giornata.

Una gentilezza contagiosa migliora la società e sicuramente viene facilitata da un ambiente gradevole in una delle città che l’Annuale rapporto del Sole 24 Ore definisce tra le migliori in servizi e in Qualità della vita.

Anche il cinema d’animazione si è recentemente adoperato nella ricerca della Felicità con il film d’animazione, premiato ai European Film Awards, L’Arte della Felicità di Alessandro Rak.

Indicazioni per intraprendere il percorso nel raggiungimento della Felicità è anche il tema di un sito che apre un dialogo tra scienza e religione, tra filosofia e spiritualità che non si limita a convegni o conferenze, ma piuttosto al confronto.

Nel 2005 l’economista Richard Layard esplicava nel libro Felicità. La nuova scienza del benessere comune come la crescita economica degli ultimi decenni non ha reso le persone più felici, anzi si sono diffuse vere malattie sociali come l’ansia e la depressione. Un benessere economico circoscritto, con una crescita dell’infelicità diffusa, direttamente proporzionale al divario tra ricchi e poveri, dovuta all’egoismo e dalla logica dell’apparenza.

Il settimanale britannico The Economist, nell’ultimo numero del 2014, mette in dubbio, con l’articolo What Ebenezer Scrooge and Tiny Tim can tell us about economics (Cosa Ebenezer Scrooge e Tiny Tim possono dirci di economia), che la Felicità è direttamente proporzionale ai beni posseduti, prendendo ad esempio il personaggio dickensiano di Ebenezer Scrooge che, nonostante la sua ricchezza, è in A Christmas Carol (Canto di Natale) l’incarnazione della tristezza.

La Felicità non può essere circoscritta al semplice contesto materiale, al possesso delle cose come dimostra l’infelicità di Scrooge dovuta alla paranoia di perdere il denaro, considerando la ricchezza come un fine a se stesso, difatti le persone in dieci paesi più ricchi del mondo hanno una speranza di vita 25 anni superiore a quello di persone nei dieci più poveri. Sono le persone con più soldi, se lo Stato non fornisce i servizi, che può permettersi una migliore istruzione, più varie attività ricreative e di alimenti più sani, i quali migliorare la qualità della vita.

La copiosità del denaro posseduto da Ebenezer Scrooge non lo rende felice, come dimostra il personaggio disneyano Paperon de’ Paperoni, non viene solo accumulato e non utilizzato, ma tutto cambia quando viene condiviso per aiutare Tiny Tim.

Sono gli indigenti, più che i ricchi, ad offrire un esempio di altruismo, come ha potuto constatare il blogger statunitense Josh Paler Lin nel donare 100 dollari al senzatetto Thomas, tutto documentato in un video, per vedere che la sua prima necessità è stato l’acquisto di cibo per sé e altri clochard. Niente alcolici come si sarebbe aspettato il blogger, ma alimenti da condividere con gli altri senza fissa dimora.

Josh Paler Lin non ha cambiato la vita di chi vive della generosità altrui, con il donare 100 dollari, ma ha cambiato il suo approccio alla povertà, aprendo un crowdfunding che ha raccolto oltre 120mila dollari per aiutare Thomas a rifarsi una vita e trovare un lavoro.

Roberto Benigni nella seconda serata dedicata alla esegesi su I Dieci Comandamenti offre un punto di vista sulla Felicità: “La vita è un mistero, cercate la felicità che avete nascosto da qualche parte”.

Ma sarà sempre più difficile convivere con la felicità individuale se in questo Mondo l’infanzia diventa un obbiettivo dei conflitti, l’infanzia vittima di odio di chi è tanto vigliacco da non riuscire a colpire i padri e con una povertà che l’Onu si propone di sconfiggere entro il 2015 con la campagna End Poverty 2015, ma forse saranno necessari altri 15 anni come afferma Banca Mondiale?

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2015: Senza Guerre e Schiavitù

Mentre Papa Francesco per il 2015, in occasione della Giornata Mondiale della Pace, augura  che non ci siano più guerre, le spese militari in Italia non subiranno tagli, anzi si prevede 5 miliardi per nuovi armamenti.
Il 2015 non solo un Anno di Pace ma anche senza schiavitù, perché la Guerra rende Schiavi e non Fratelli.

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Pace 11873-1La Repubblica
Gli auguri del Papa: “Mai più guerre, sia un anno di pace”

Il Sole 24 Ore
Il Papa: «La pace è sempre possibile»

Il Fatto Qutidiano
Spese militari, nel 2015 niente tagli alla Difesa. E 5 miliardi per nuovi armamenti

Per la Pace
Schiavi o fratelli? E’ tempo di scegliere

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 Papa Francesco angelus3752a3e294eb_44586608_300

 

Ebola: il Virus nella cultura di massa

È dal 1976 che si conosceva l’Ebola e che si poteva fermare sul nascere, prima che la paura arrivasse all’Occidente, ma essendo un virus che si fece riconoscere in nazioni povere dell’Africa non aveva alcun interesse economico e sanitario.

Il virus, prima di sbarcare nell’Occidente e diventare un business, era stato, come ogni situazione apocalittica, una generosa fonte d’ispirazione per romanzieri e cinematografari. Una fonte magnanima, tanto più se è un virus con le implicazioni dell’Ebola rimasto circoscritto per decenni in un’area ben determinata dell’Africa, che ha trovato libero sfogo nella cultura di massa e nella narrativa di genere, per poi cominciare ad insinuarsi nell’Occidente industrializzato.

Nel cinema Virus letale (Outbreak), del 1995, con Dustin Hoffman, Rene Russo, Kevin Spacey, Morgan Freeman, Cuba Gooding Jr., Donald Sutherland e diretto da Wolfgang Petersen e Resident Evil del 2002, interpretato da Milla Jovovich, per la regia di Paul W. S. Anderson, sono l’esempio di due differenti modi di affrontare il pericolo invisibile. Nel primo è Dustin Hoffman che cerca di sconfiggere, negli anni ’90, il virus dall’Africa agli Stati uniti, mentre nel secondo è un virus modificato, nello scenario di un prossimo futuro, a mietere vittime e generando un’altra progenie.

Anche i videogiochi si sono nutriti di epidemie, traducendo Resident Evil in un video game e generando giochi sempre più complessi sulle malattie e sulle armi biologiche.

Anche nel videogioco Trauma Team si manifesta un’epidemia di un virus chiamato “Rosalia”, i cui effetti sono molto simili a quelli del virus ebola.

Nelle trame romanzesche l’Ebola e i suoi derivati sono utilizzati come una possibile arma con intento criminale come in Contagio di Robin Cook o Nel Bianco di Ken Follett e in Potere esecutivo e Rainbow Six di Tom Clancy.

Nel 2014 il virus fa un salto di qualità nelle paure dell’Occidente e nell’ambito commerciale con la messa in produzione di peluche dalle sembianze dell’Ebola. Una commercializzazione effettuata dalla Giant Microbes, azienda statunitense specializzata in morbidi microbi e virus, ma che non riesce a soddisfare addirittura le richieste.

Richieste che non si limitano ai peluche, ma anche alle magliette, in una sorta di esorcizzazione di ogni paura, ma l’unica azione che può mettere al momentaneo riparo è sostenere chi lavora sul campo per fermare questa malattia e salvare vite. Emergency ha realizzato due centri in Sierra Leone (Freetown) per fronteggiare l’Ebola, altre organizzazioni non governative come Medici senza frontiere sono impegnate a colmare i ritardi dei benestanti Paesi dell’Occidente che solo ora si rendono conto dei rischi di contagio in Europa e Usa. Gli Stati uniti, oltre a stanziare mld di dollari per la ricerca di un siero, hanno inviato i suoi marine per allestire ospedali e tenerli in sicurezza.

Anche per il singolo abitante di questa Terra è giunto il momento di partecipare attivamente collegandosi alla pagina Facebook.

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Lettori spiati, Scrittori addio

Mi hanno incuriosito due notizie, che cercherò di collegare secondo una logica. La prima è che esiste un controllo capillare degli e-book che leggiamo, il quale è utilizzato dai grandi editori. L’altra notizia riguarda lo sviluppo di due tipi di algoritmi: il primo per capire o addirittura prevedere il successo di un libro, il secondo per costruire e formalizzare testi tecnici.

La prima notizia è inquietante: il gruppo Adobe spia i lettori digitali attraverso l’app *Digital Editions 4* e i dati viaggiano in chiaro. I grandi gruppi editoriali americani controllano dunque non solo le vendite o la lettura in linea degli e-book e l’eventuale pirateria, ma anche il titolo del libro, l’autore, la data di acquisto, la durata della lettura, la percentuale letta, quali pagine sono state lette, l’identificativo univoco dell’utente, del dispositivo di lettura e l’indirizzo IP. E’ una violazione del privato che va ben oltre la gestione commerciale. Sapere che qualcuno controlla i titoli dei libri che leggo e persino i capitoli letti può darmi fastidio, ma se fossi un dissidente cinese o uno studente islamico mi preoccuperei : chi mi assicura che quei dati saranno gestiti esclusivamente da Amazon o Google Books e non passati piuttosto a un’agenzia di stato per la sicurezza? La fantasia di George Orwell oggi è superata dalla realtà.

La seconda notizia riguarda lo sviluppo di una serie di algoritmi. Per algoritmo s’intende un procedimento formale che risolve un determinato problema attraverso un numero finito di passaggi semplici. Col supporto dell’informatica, oggi il settore si è molto sviluppato. Nel primo applicativo – capire i motivi del successo di un libro – si analizzano gli elementi lessicali e sintattici più ricorrenti nei libri più venduti, più la serie degli argomenti e dei motivi che caratterizzano l’opera. I risultati sono curiosi: sono più popolari i romanzi che descrivono più sentimenti che azioni, quelli dove le descrizioni di ambiente sono messe nel punto giusto, mentre la sintassi preferita è quella coordinata invece che subordinata. Anche la lunghezza del periodo conta molto, esattamente come la scelta degli aggettivi, che non devono mai mancare. Che dire? Balzac o i Dumas ci arrivavano col genio e l’esperienza, mentre gli onesti e duttili professionisti della penna tanto diffusi nel mondo anglosassone e francese hanno comunque sviluppato nel tempo buone capacità se non creative, almeno redazionali. Capire cosa vuol leggere la gente e saper mettere l’imprevisto o la descrizione d’ambiente nel punto giusto è parte del mestiere, come lo è preparare per bene il momento in cui i due amanti finiranno a letto. E se gli scrittori italiani fossero meno aristocratici, avremmo anche noi una buona letteratura di consumo, pur senza arrivare agli eccessi di Harmony, una serie che sembra veramente scritta da una macchina. Ora, proprio le macchine vengono in aiuto dello scrittore e dell’editore, assicurando dunque il successo di un futuro best seller. Detto così è stupendo ma forse troppo ottimistico. Intanto diciamo subito che il genio è un’altra cosa. Gli algoritmi in questione sicuramente hanno senso per forme letterarie industrializzate, che vanno dal best-seller agli sceneggiati televisivi, ma i gusti del pubblico sono anche aleatori: magari il mercato è saturo di storie d’amore tutte uguali e la gente è attratta dalle biografie dei terroristi. Oppure entra in scena uno scrittore che ha il coraggio di proporre un’idea originale senza curarsi dei sondaggi, anche se è più facile che lo ascolti un piccolo editore piuttosto che un colosso della letteratura commerciale. E come nella vita reale, spesso la trasgressione paga più del conformismo. Il limite di questi algoritmi è che, pur aiutando gli editori a strutturare meglio i loro prodotti, non possono stabilire in anticipo e con approssimazione matematica il successo di un libro. Ma se dalla creazione letteraria passiamo alla compilazione di testi scientifici destinati a un mercato professionale definito, le cose cambiano.

Passiamo dunque alla seconda serie di algoritmi, un sistema brevettato nel 2007 da Philip M. Parker, professore di marketing alla INSEAD Business School. Nel sito c’è anche un video che mostra il procedimento passo per passo. Consiglio di studiarlo e di rivederlo più volte. In sostanza, si sceglie un argomento, si setacciano tutti i siti dove questo è trattato e si infilano in una specie di tritacarne informatico che spunta i doppioni, organizza e impagina il materiale, struttura intestazioni principali e secondarie, numera le note e compila gli indici analitici, decide corpo e formato e dei caratteri. Alla fine esce un libro vero, impaginato e stampabile. Con questo sistema l’agenzia che ha sviluppato l’algoritmo afferma di aver prodotto più di 800.000 opere a minimo costo e di venderle su Amazon. Sono prodotti di nicchia a tiratura programmata, basta vedere i titoli: lo studio di malattie rare, l’analisi del fatturato del commercio della gomma per la produzione di preservativi. Nelle opere di mera compilazione va messo in conto almeno un redattore, mentre in questo modo i costi sono azzerati e il prezzo di listino non è assurdamente alto come per le riviste del gruppo Elsevier o di Serra editore. Ma cerchiamo ora di analizzare meglio la fattura di queste opere. Intanto per la compilazione del testo finale si macina materiale già scritto in inglese secondo uno standard fissato dagli editori di genere, con regole redazionali precise, su cui si scontrano quei ricercatori italiani costretti a rinunciare alle loro barocche elucubrazioni. Buffo è che potremmo scrivere in automatico anche un fantasioso libro su un argomento assurdo, purché documentato in una quindicina di siti pseudoscientifici. In ogni caso, le operazioni di base non le ha inventate Parker: un motore di ricerca accademico seleziona gli argomenti in base anche alla semantica, mentre con Word un redattore sa strutturare titoli, grassetto, corsivi, capoversi, note numerate e indici, mentre con XPress chiunque può impaginare il testo e farne un libro. Sorprende casomai la capacità automatica di condensare e strutturare coerentemente in un testo unico fonti diverse, operazione semantica e non solo formale. Anche decidere cosa vada inserito nel testo principale piuttosto che in nota è un problema logico che va ben oltre l’impaginazione, in quanto entriamo nella strutturazione gerarchica del sapere. Sicuramente dall’uso di questi algoritmi possono trar vantaggio i redattori di relazioni aziendali e i giornalisti specializzati in economia e finanza, costretti a impaginare continuamente grafici, tabelle e dati statistici in strutture formalizzate ripetitive. L’importante è che l’editore non pensi di fare a meno dei giornalisti.

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