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Me li ricordo tutti i miei bambini

 

“Salve io sono Mario e faccio il maestro da 25 anni, qualcuno pensa che sia un lavoro come un altro e lo fa con questo spirito, sono quelli i maestri da cui i vostri figli la mattina non vogliono tornare, allora fanno le storie, si impuntano e li dovete tirare per il braccio per farli entrare in classe.

I miei bambini no, loro vengono volentieri tutte le mattine o quasi e io altrettanto volentieri tutte le mattine li accolgo, perché dopo il primo giorno di scuola, mi scopro ad amare quei bambini, imparo a volergli bene.

A qualcuno, è vero, ne ho voluto più che ad altri, non perché fosse migliore o più bravo, anzi, sono quelli più difficili che ti costringono a fare uno sforzo maggiore per farti capire, per fargli capire, sono loro che ti restano più in testa, perché devi costruire un ponte con loro, devi entrare nel loro mondo e farti bambino con loro.

Quando ho avuto il mio primo incarico nella scuola pubblica  era tutto molto diverso, noi maestri eravamo diversi, c’era la scia dei grandi cambiamenti degli anni 70 ed 80, si avvicinava la riforma degli anni 90 ed era tutto un fermento di nuovi progetti, nuove idee, c’era slancio e partecipazione, c’era interesse e solidarietà, avevamo messo al centro della scuola i bambini, i ragazzi, la scuola dell’infanzia stava uscendo dall’idea comune che era solo un parcheggio per i bambini e nelle superiori i ragazzi ormai davano per scontato la loro partecipazione alle decisioni che li riguardavano.

Quanto rimpianto provo a riguardare quei tempi, e quanta rabbia sento dentro per quello che si è perso negli ultimi anni soprattutto.

Perché guardate che a noi maestri quello che colpisce di più, non è il dover comprare il cartoncino o le matite, la carta colorata e tutte le altre cose con cui abituiamo i bambini a lavorare e a svegliare la testa, quello che ci ferisce è la crisi culturale che ormai ha pervaso questa società e ci ha relegato ad un ruolo di burocrati che per tutti  lavorano poche ore al giorno ed in condizioni di favore.

Ma voi che pensate questo, avete mai provato a parlare con un bimbo di 9 anni che non riesce a fare una riga dritta con la matita ed il righello? Avete mai provato a spiegare il mare ad un bambino che non l’ha mai visto? Avete mai visto lo sguardo di un bimbo che va al cinema per la prima volta? Perché forse non lo avete mai saputo, ma la scuola è anche questo, è una miniera di opportunità per tutti, è la scoperta del mondo dei grandi per bambini che magari con i grandi non parlano mai, perché i loro genitori devono fare altre cose o tornano troppo stanchi per parlare con loro. Non pensate che esageri, potrei farvi nomi e cognomi, raccontarvi dei luoghi e dei giorni in cui questo è successo.

Potrei raccontarvi della gioia nei loro occhi quando riescono a ricordare tutte le battute per la recita di fine anno o le lacrime perché i genitori non erano potuti venire e lì c’ero io a consolarli, a rincuorarli. Lo so la vita di tanti genitori è difficile, è dura, la crisi morde forte e non c’è spazio per essere teneri, ma io quei piccoli adulti li guardo tutte le mattine, ci parlo, scopro quello che provano e quello che pensano, insegno loro a capire i sentimenti ed a raccontarli, così oltre al maestro faccio lo psicologo, il confessore, l’amico e ormai anche il falegname, l’elettricista e il pittore nella mia classe.

Perché lo stato ha deciso da un sacco di tempo che sulla scuola si può risparmiare, si può tagliare, si possono concentrare più bambini nello stesso spazio, togliere le compresenza e ora ci faranno stare altre sei ore in classe, come se fare il maestro fosse solo insegnare.

Così avremo più bambini per tutti e meno tempo per ognuno di loro, che significa meno attenzione, meno aiuto, meno possibilità, perché se il nostro lavoro aumenta in ore, diminuisce in qualità e saranno i vostri figli a soffrirne, saranno loro ad avere qualcosa in meno, non noi maestri.”

Il nome è inventato, tutto il resto semplicemente vero.

 

Sergio Spera

 

 

VEDERE ROMA

Roma bella m’appare

materiale semilavorato per una politica culturale contemporanea

di Sandro Medici

Una sessantina di pagine che lo stesso Medici, attualmente presidente del Decimo Municipio, definisce «materiale semilavorato per una politica culturale contemporanea» e che, a ben guardare, ha molto a che fare con la sua decisione di entrare, pacatamente ma non in punta di piedi, nella prossima tornata elettorale per l’elezione del sindaco di Roma

 Sandro Medici-Roma-bella-mappare

Maccarese, meno campi più mondezza.

A nord di Roma, appena fuori il GRA, l’Aurelia sale pigramente in mezzo ad un territorio sgombro da case ed insediamenti industriali, ricco di terreni agricoli e di pascoli ancora verdi.

È il territorio a nord del comune di Fiumicino, quello compreso tra la bonifica di Maccarese e l’agro romano di Pizzo del Prete, già colonizzato e reso importante dai numerosi insediamenti Etruschi che da Castel Campanile proseguono fino verso Cerveteri ed oltre, per giungere in Toscana.

È un territorio stretto d’assedio dall’aeroporto Leonardo da Vinci, con la costante minaccia del suo raddoppio, pura operazione speculativa, che vede i Benetton della Maccarese spa vendere ai Benetton di Aeroporti di Roma terreni agricoli fertili e ancora oggi densamente coltivati.

Un territorio ricco di storia e di cultura, con una vocazione agricola che affonda le sue radici nella bonifica compiuta sotto il regime fascista per liberare la zona dalle acque che ristagnavano, ma che era già conosciuto e sfruttato fin dal VI secolo dopo Cristo quando i Longobardi, niente di meno, vi introdussero le vacche di origine maremmana ed i bufali.

Oggi questa antica tradizione sopravvive con la residua attività agricola della Maccarese spa e della sua mandria di circa 3500 capi, ma anche grazie  alle decine di aziende che praticano una agricoltura con sistemi tradizionale, non intensiva, con le aziende del biologico e con le fattorie didattiche , metà di scolaresche del territorio e della Capitale che con pochi minuti di viaggio ritrovano gli antichi gesti per la produzione del latte, del burro, del miele.

Ora questa lunga premessa serve in realtà a dimostrare che se si hanno a disposizione migliaia di ettari di terreno fertile, non è detto che ci si debba per forza coltivare carote, patate, ortaggi o foraggio, ma si può facilmente pensare di realizzare un bel biodigestore anaerobico con produzione di energia elettrica da  biogas. Questo nome così complicato nasconde in realtà la realizzazione di un impianto industriale che ricevendo la frazione umida della mondezza raccolta a Roma, lo trasformi mediante un processo di digestione ad opera di batteri, in metano e in un residuo ormai inerte che può essere usato come ammendate per le colture.

Il sistema in se è un mezzo e come tutti i mezzi non è ne buono ne cattivo, il pericolo viene dalle dimensioni del progetto, nel territorio infatti sono già presenti 2 impianti  molto più piccoli, nell’ordine del megawatt di energia prodotta e funzionano con i liquami dei capi d’allevamento presenti nella zona.

Ma l’impianto progettato dall’AMA, che andrebbe a coprire una superficie di parecchi ettari per riuscire a digerire 100.000 tonnellate l’anno di mondezza, si verrebbe a trovare proprio nel mezzo della Riserva Statale del Litorale Laziale, che giornalmente sarebbe attraversata da centinaia di camion dell’AMA per portare la mondezza di Roma al digestore. Questo traffico, unito a tutti i rischi di inquinamento dell’aria e dell’acqua che un impianto di queste dimensioni comporta, oltre al rischio, anche questo serio, che l’agricoltura della zona potrebbe essere portata a coltivare mais da raccogliere e vendere per far digerire nell’impianto, invece che prodotti destinati all’alimentazione umana, tutto questo solleva più di qualche dubbio sulla validità del progetto, sulla sua sostenibilità e sul fatto che i cittadini del territorio potranno accettare,senza battere ciglio questa realizzazione.

Viene da pensare che ancora una volta si sia scelta la strada del facile guadagno piuttosto che quella della valorizzazione delle tradizioni di una comunità e del suo sviluppo nel solco che i fondatori di quella comunità hanno tracciato.

 

Sergio Spera

FRANCO GENTILI, PITTORE

Per parlare di Franco Gentili devo ricadere un po’ nel “personale”. Perché? Perché lo incontro tranquillamente seduto al suo stand in mezzo al mercatino domenicale di ponte Milvio. La solita infilata di oggetti e vecchiumi in vendita, manifesti d’annata, lampade e teiere, sciarpe, pupazzi e qualche pittore. Pittore? Diciamo croste e crosticine recenti o del tempo che fu, i soliti “papponi” cromatici e varie insalate russe pseudoastratte, pesudoimpressioniste e pseudotutto. Ed ecco in discreta esposizione i lavori di questo signore, naturalmente ignorati dagli svagati passanti attratti solo dai vertiginosi colori finto “fauve” di chi usa il pennello come un piccone. Piccole dimensioni, foglietti quasi, elaborati con mano e gusto sicuri, stratificazioni tonali raffinate, preziose, poco colore calibratissimo, un segno intenso, ora tagliente ora morbido, profondità e prospettive di gran pregio.

Che ci fa questo signore in mezzo ai rivenduglioli della domenica? Ci parlo. Franco Gentili ha lunga e meditata esperienza pittorica; è stato in dimestichezza con gente come Manzù e Omiccioli.

Mi parla dell’influenza picassiana, ma non concordo. Non c’è niente di brutale e drastico tipico della controversa genialità dello spagnolo. Piuttosto le filtrate ed eleganti tonalità di un Afro, qualche “graffio” dolente del primo Vespignani, qualche umore crepuscolare di Scipione. Scuola romana insomma, e comunque una cifra tutta sua, originale, risultato di complesse elaborazioni tonali. Gentili ama la tecnica mista, sopratutto grafica con attenti inserimenti cromatici.

Matita, pastello, carboncino, inchiostri, e sopratutto manipolazione chimica della carta. Ne risulta una specie di “palinsesto”, di graffito denso di spessori, un distillato ricco di sapori e di umori ora malinconici ora grotteschi, solo per chi abbia occhi attenti a coglierne le sfumature. Ma questa non è “merce” per chi passeggia a quest’ora in attesa dell’aperitivo! Ha un catalogo fotografico dei suoi lavori Gentili? No, neanche una piccola pubblicazione. Solo uno striminzito dépliant dove leggo che i suoi lavori sono sparsi un po’ dappertutto in Italia e all’estero. Ha un “sito” di riferimento? Nemmeno a parlarne. E dire che l’ultimo dei dilettanti ti sciorina siti e cataloghi organizzatissimi, magari con biglietti da visita dove si abusa di paroloni come “artista”, “maestro”, “performance”. Ahimè! Non posso che stringergli la mano augurandogli miglior fortuna e attenzione da parte degli addetti ai lavori (ma quale critico oggi si spreca a promuovere un artista di settantasei anni? Gentili è nato a Roma nel ‘36). Prometto di andarlo a trovare (abita a Fiano Romano) dove conto di fotografare qualche sua opera.

Un saluto quasi commosso, un sorriso: una piccola gratificazione per chi incontra chi sa riconoscerci per quel che si vale. So di che parlo. Vive anche di questo un artista.

 

 

IL PALAZZO APRE AL GIARDINAGGIO

Il giardino storico di Palazzo Venezia è un’isola di verde nel centro di Roma, forse tra le meno conosciute, che ripropone con rigore quasi filologico armonie e geometrie rinascimentali.

In questo contesto che Andreina Draghi, Direttore del Museo Nazionale del Palazzo di Venezia, ha ideato questa inedita iniziativa per un corso di giardinaggio, articolandolo in una serie di conferenze sulle tecniche di coltivazione, cenni di botanica e storia dei giardini.

Gli incontri si svolgeranno negli ambienti del Museo Nazionale di Palazzo Venezia e dei suoi giardini storici. Il corso è organizzato per un minimo di trenta persone – massimo sessanta e sarà articolato in tredici conferenze. Le lezioni si svolgeranno il lunedì nel primo pomeriggio: a queste si aggiungeranno i due incontri, previsti per il sabato mattina, con visite guidate ai giardini.

Il corso si svolge con la collaborazione di Cesare Fabio Greco, Responsabile del Servizio Giardini della Soprintendenza, che svolgerà due visite guidate ai giardini storici di Palazzo Venezia e di Palazzo Barberini. Le conferenze saranno tenute da Massimo De Vico Fallani, autorevole studioso di parchi e giardini storici e da Stefano Marzullo, Flavia Calò ed Elisabetta Aloisi Masella, esperti tecnici in servizio presso l’Orto Botanico di Roma.

LA FRESCURA RIEMPIE I CAMPI E I MONTI
Dal 24 settembre al 17 dicembre 2012

Roma
Palazzo Venezia

http://poloromano.beniculturali.it

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