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C’È PONTE E PONTE

Enormemente ingombrante, con i suoi 22 metri di larghezza per i 190 di lunghezza, il ponte pedonale detto della Musica che troneggia sul Tevere è una struttura massiccia posta a collegamento tra piazza Gentile da Fabriano (Flaminio) e il lungotevere Maresciallo Cadorna (Foro Italico) all’altezza dei campi da tennis senza dei veri passaggi pedonali protetti e delle fermate di mezzi pubblici corrispondenti.

L’affluenza non giustifica la grandiosità di un ponte, ma forse i progettisti hanno trovato ispirazione nei versi danteschi [come i Roman per l’esercito molto, / l’anno del giubileo, su per lo ponte] (Inferno, XVIII, 25-33), l’impressione che Dante ebbe della folla di pellegrini intenti a passare sul ponte Sant’Angelo nel Giubileo del 1300. Forse l’opera è stata realizzata per facilitare il dilagare dello scontento dei post partita nel quartiere Flaminio o per le ottimistiche prospettive di un’affluenza turistica sulle due rive del Tevere che tanta architettura potrebbe richiamare.

Non siamo in una zona centrale e i trionfi architettonici del Foro Italico, scaturito dal genio di Moretti e di Del Debbio per un palcoscenico per Severini, non sono prospettati come possibili mete turistiche, come anche la diversificazione edilizia del centenario quartiere Flaminio, l’eclettismo della Basilica di Santa Croce (1913) in via Guido Reni affianco ai volumi protettivi dell’imponente MAXXI ne sono un esempio, non gode di alcuna promozione. La sua maestosità potrebbe essere giustificata solo con il volere far pendant con gli elementi architettonici del restyling dello stadio Olimpico. Altrettanta solennità, senza alcuna apparente giustificazione, è stata offerta al ponte di tre corsie per ogni senso di marcia che nel quartiere Ostiense è stato realizzato per superare i binari della metropolitana e della ferrovia per Ostia. Un eccessivo sviluppo verticale che non trova motivi statici dei suoi 125 metri di asfalto per così scarsa viabilità.

Anche senza quella cresta si sarebbe notato così vicino all’ex complesso dei Mercati Generali, così piatto ed esteso, che lentamente prosegue nella sua conversione al centro del commercio “culturale”.

Due realizzazioni che neanche la grandeur parigina sarebbe riuscita a concepire per collegare le due rive della Senna, come dimostrano i diversi ponti pedonali, discreti e più lunghi, realizzati in minor tempo come quello flessuoso dedicato a Simone-de-Beauvoir (2004-2006), con i suoi 304 m di lunghezza e 12 m di larghezza. Anche il Léopold-Sédar-Senghor (1997-1999) è stato realizzato senza piloni, tiranti e creste tubolari. Un’eccezione è quello di Debilly, ma ha l’attenuante di essere stato realizzato tra il 1899 e il 1900 per offrire uno spettacolo di luci nelle notti parigine.

Più bravi i britannici con il ponte londinese dedicato al Millennium (1999-2000), lungo 325 m e largo 4 m, che  collega la riva di St. Paul con quella della Tate Modern e non è sospeso ma poggia su due piloni.

Ora si attende il completamento del secondo passaggio pedonale sul Tevere, detto delle Scienze, per collegare il lungotevere del teatro India con il lungotevere dei “pompieri”, visto che va a sbattere nell’ex complesso industriale destinato dal Ministero degli Interni ai Vigili del Fuoco e sulla cui realizzazione i giudizi sono contraddittori – contrastanti – sulla sua effettiva necessità nella carenza d’infrastrutture del quartiere.

Sulla riva Marconi non è ancora stato reso disponibile il palazzo di vetro da destinare alla Casa dello Studente, mentre dal lato Ostiense è ancora in alto mare la sistemazione dell’area dell’archeologia industriale. La Casa dello Studente giustificherebbe il collegamento con Ostiense per raggiungere le diverse sedi dell’Università di Roma Tre e l’assetto dell’area industriale permetterebbe il transito pedonale e ciclabile fuori dai contesti di degrado nei quali versano entrambe le sponde e le aree limitrofe.

Prosegue urbicidio di Roma.

 

AVANTI C’È POSTO!

Molte persone ormai con i capelli grigi, molto grigi, ricordano con una punta di nostalgia i trenini della STEFER, resi celebri dai film con Fabrizi e Ave Ninchi, che portavano al Lido di Ostia decine di migliaia di persone o quelli della Roma-Nord o dei Castelli con le loro vetture azzurre.
Potremo parlare di queste linee e dei loro mezzi iniziando come nelle favole: c’era una volta una città che divenne capitale di un regno e dove si faceva urgente il problema di assicurare il servizio di trasporto ad una popolazione sempre più numerosa; si crearono linee di omnibus trainati da cavalli e nel 1895 apparve il primo tranvai urbano giungendo ai primi del ‘900 ad avere undici linnee ad alimentazione con cavo elettrico.
Il 29 novembre 1899 fu fondata la STFER, Società Tranvie e Ferrovie Elettriche di Roma, poi STEFER, per la gestione della linea per i Castelli con estensione sempre maggiore negli anni. Il trasporto pubblico non si rivelò un affare lucroso e nel 1928 il Governatorato di Roma acquistò la STFER e successivamente altre aziende finché il 1 agosto 1941 fu costituita la STEFER che gestiva la Roma-Lido, la Roma-Frosinone, la Roma-Castelli ed era pronta ad assumere la concessione per la metropolitana per l’E42 prevista dal Piano regolatore. La guerra danneggiò linee e materiale ma la STEFER riprese i servizi anche se già dagli anni ’50, e fino ai ’70, cominciarono ad essere soppresse molte linee per i Castelli. Il 9 febbraio 1955 entrò in servizio la linea di metropolitana ora “B” e nel 1980 la linea “A”. Nel 1976 fu costituita l’ACOTRAL che gestiva le linee già STEFER e Roma-Nord mentre vennero cedute all’ATAC le linee classificate urbane. Nel 1993 l’ACOTRAL è divenuta COTRAL e nel 2000 si è avuto un nuovo assetto basato su due società, la LINEE LAZIALI S.p.A. per il traffico su ruota e la METROFERRO S.p.A. per quello su rotaia. E’ passato un secolo, c’è stato uno sviluppo economico incredibile, due guerre mondiali, una dittatura ventennale, una lunga guerra fredda,un mutamento di costume e di vita inimmaginabili eppure i convogli della Roma-Ostia continuano a portare al mare i bagnanti della domenica. In tanti mutamenti una cosa è rimasta pressoché ferma, una linea tranviaria che è nel cuore di molti romani ma che attira anche tante maledizioni perché non si può dire, specie in certi orari, che ci si viaggi in maniera confortevole. Nel corso dei decenni il materiale ha subito molti cambiamenti e le vetture originarie sono state demolite ma qualcuna si è salvata. Nella vecchia stazione di Porta San Paolo, costruita su progetto di Piacentini durante la Grande Guerra dai prigionieri austriaci, è stato allestito un parco che espone alcuni dei vecchi modelli che, in molti casi per decenni, hanno accompagnato la vita dei romani. Sono mezzi raccolti e restaurati con amore dal personale dell’attuale MET.RO e ricordano alcune linee storiche. C’è un locomotore Breda del 1915 della Roma-Fiuggi, un’elettromotrice del 1931 della Roma-Nord, un Tram dei Castelli del 1912 in esercizio fino al 1980, un Tram della linea urbana per Cinecittà, alcuni mezzi tecnici per lavori sulla linea ed infine il celebre locomotore beige della Roma-Ostia costruito nel 1925, rimaneggiato varie volte e rimasto in esercizio fino ai primi anni ’90. Le vetture sono posizionate in un giardino che le inquadra in maniera suggestiva ed ha per sfondo la Piramide di Caio Cestio. Nell’antica biglietteria estiva è allestita una raccolta di fotografie storiche ed una piccola mostra di oggetti relativi all’esercizio e alle dotazioni del personale. Un viaggio nella memoria della città che potrà creare curiosità nei giovani e tanta nostalgia nei visitatori “datati”.

Roberto Filippi

 

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Il Parco Museo di Metro.Ro.
Stazione di Porta San Paolo

Aperto a richiesta

Telefonare al 06/57532504 dalle 9 alle 12
http://www.mondotram.it/

http://www.mondotram.it/filobustiere/

RICORDO DI MARIO MARTINI

Nei primi mesi del 2007 è scomparso Mario Martini. L’ultimo pittore della generazione di via Margutta degli anni ‘50? L’ultimo pittore bohemiénne? O addirittura l’ultimo pittore di strada? Perché erano quelle quattro strade del centro la sua vera casa, nel suo “studio” ci andava solo a dipingere in fretta tele da svendere subito. Sì, anche dopo le consacrazioni critiche importanti (Montanarini, Avenali), dopo le prime esposizioni “vere”, Mario continuava a svendere all’incanto i suoi dipinti per strada, o in qualche trattoria, o negli studi degli amici. Lo conobbi così, quando avevo lo studio a via Gesù e Maria: scendeva da noi (eravamo in cantina) un giorno sì e uno no a proporci tele freschissime, appena allestite, in cambio di 20-30 mila lire. Era un ex finanziere come si dice ammalatosi di “testa” e messo a riposo in anticipo. Coltivava buffe originalità, in giro col suo giaccotto orlato di pelliccia, feltro in testa e bastone col pomo, come a darsi un quarto di nobiltà, come a far capire che era ormai un pittore vero. Quelle sue quattro strade al centro sono ancora piene delle sue frasi sgrammaticate, sconce, graffite a carboncino: una specie di matto, ingenuo Pasquino, a redarguire politici, scandali, corruzioni. Sì, dipingeva troppo in fretta, e non aveva tempo per raffinati impasti; correva sulla tela con la foga delirante e furibonda del vero espressionista, con i colori presi dal tubetto, così com’erano. Ma le sue distorte, ondeggianti piazze romane, gremite di grotteschi angeli svolazzanti, avevano nella loro irruente ingenuità tutta la forza creativa e visionaria di un uomo che sognava ad occhi aperti: cupole, colonne e puttane nel vortice di un giocoso dinamismo che molto fa pensare alla Roma di Scipione, o agli omini e alle case piegati dal vento di un Soutine meno livido, meno angoscioso. Ultimo pittore di strada? Ma anche ultimo erede di un far pittura ostinatamente ribelle alla “professionalità” concettuale, allo striminzito aforisma che pensa di essere elegante nel suo dir poco o nulla. No, Mario Martini tracimava, allagava di colore, nuvolette, uomini e angeli le sue tele ancor fresche, proposte al cliente occasionale con brevissima contrattazione. Molti hanno amato Martini, oltre me, e quando da qui a non molto si organizzerà la sua sacrosanta retrospettiva salteranno fuori, altre le cose dipinte per ragioni “alimentari”, quadri più intensi, forti, meditati, comprati un giorno per pochi soldi e domani, forse, da ammirare in un museo. Esagero? Ne riparleremo fra qualche annetto….

DIALOGO PER INTERPOSTI MARMI

Ormai è entrata nella storia la loquacità dei romani e allora come possono le statue essere mute a Roma? Anche le statue parlano, si esprimono con scritti e non con i vocalizzi.
La più famosa delle statue parlanti è quella dl Pasquino.
Un torso mutilo, appartenente a un gruppo marmoreo del III sec. a.C. che prese il nome di Pasquino, pare, da un sarto romano del XVI sec. famoso per «tagliare i panni addosso alla gente». La sua fama è dovuta al foglietti satirici, talora feroci, dette pasquinate, contro il potere papale e i signorotti dell’epoca. Notte tempo mani ignote affiggevano al torso o al piedistallo di una delle più famose «statue parlanti» i foglietti satirici.
Oltre a Pasquino altre sono le statue che a Roma venivano usate per collocarvi tavolette con scritti di satira politica.
Poco lontano da piazza Pasquino, piazza Vidoni, stretta tra il Palazzo Vidoni e la chiesa di S. Andrea della Valle e, nell’angolo dl sinistra non molto visibile, la statua di Abate Luigi: figura di antico oratore tardo romano con un epitaffio apposto sul piedistallo che ricorda la sua appartenenza alle «statue parlanti».
Anche il gruppo marmoreo del Bernini a piazza Navona, la fontana dei Fiumi, può essere annoverato tra le statue che non sanno tacere e per il pettegolezzo popolare che vuol dare ad ogni singolo gesto del gruppo un significato, tutto nato per una animosa rivalità tra il Borromini e il Bernini.
La statua che raffigura Rio della Plata, con un gesto della mano, si difende dalla possibile caduta di Sant’Agnese (la chiesa del Borromini); il Nilo, con il volto velato, evita di guardare la «bruttezza» che la chiesa rappresenta.
Vicino a piazza del Collegio Romano, in via Lata, la fontana del Facchino raffigura un giovane in costume cinquecentesco dell’Università degli Acqualoli, scolpita alla fine del 1500.
In piazza S. Marco, di fronte alla fontana della Pigna, nell’angolo del Palazzetto Venezia, il simulacro detto di Madama Lucreazia, resto di una grande statua dedicata alla divinità egizia, Iside, che forse, raffigura Faustina, moglie di Antonino, a cui fu dedicato un tempio nel Foro Romano.
Salendo la scalinata del Campidoglio si arriva al musei Capitolini dove dal 1594 ha trovato stabile dimora il Marforio, imponente scultura del I secolo dell’Impero che rappresenta una divinità fluviale, anche se alcuni la chiamano Oceano, e su questa giacente statua venivano attaccate le risposte alle satire di Pasquino.
Un dialogo per Interposti marmi.
Ultima, e poco conosciuta tra le «statue parlanti» è il Babuino dell’omonima fontana.
Qualche anno fa c’era un promettente e giovane disegnatore, tale Dino Manetta, che rispolverò, con successo, l’uso di Pasquino per la satira. Con mano furtiva, di notte, collocava sulla statua le sue mordaci vignette, ora i suoi disegni appaiono su alcuni quotidiani di Roma.

ITINERARI
Le statue parlanti
da Il manifesto di domenica 11/ lunedì 13 ottobre 1986

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Una casata

Cristoggesummaria, cc’antro accidente!
Sete una gran famijja de bbruttoni.
E nnun méttete in pena ch’io cojjoni,
perché pparleno tutti istessamente.

Dar grugno de tu’ padre a li meloni,
cuelli mosini, nun ce curre ggnente:
e ar vedé mmamma tua, strilla la ggente:
“Monaccallà, ssò ffatti li bbottoni?”.

Tu, senza naso, pari er Babbuino:
tu’ fratello è er ritratto de Marforio,
e cquell’antro è un po’ ppeggio de Pasquino.

Tu e Mmadama Lugrezzia, a sti prodiggi,
v’amanca de fà cchirico Grigorio,
pe mmette ar mucchio l’Abbate Luiggi.

G.G.Belli

TANTO MINESTRONE PIÙ CHE ZUPPE

La responsabilità individuale non può essere richiesta e applicata ai soli medici e magistrati, ma anche agli avvocati, ai politici e a tutte quelle professioni che prevedono di operare per il bene di un cliente o di un paziente della comunità e dell’elettorato. Una richiesta di serietà nell’amministrare il patrimonio comune rendendone conto per evitare di affidare il nostro futuro a persone incapaci di gestire un bilancio in quanto, come solitamente avviene nelle famiglie, non ci si può impegnare in una spesa se non si hanno i fondi necessari. Rendere conto alla comunità di spese insulse dovrebbe essere una  normalità e non un premio con stipendi e pensioni ben lontani dalla comprensione della maggioranza dei cittadini.

Sono diciotto mesi che l’Italia è guidata da personalità non rappresentative dell’elettorato ed è forse per questo che, nel bene e nel male, si è potuto intraprendere la strada dei cambiamenti e recuperare credibilità nel contesto europeo e internazionale, ma in questo caotico panorama politico non si sono ancora snidati i nuovi qualunquismi sotto le mentite spoglie di personaggi impegnati.

Dare l’esempio di governare con chiarezza, per quanto è possibile in Italia, non sembra essere servito ai politici per chiarire i loro pensieri e i loro schieramenti, tanto che sono in molti a pensare di continuare a delegare la guida dell’Italia a degli non eletti per essere liberi di criticare le scelte che di volta in volta si fanno.

Questo Governo di tecnici o professori o quel che sia dovrebbe essere un’ispirazione ai politici di professione o improvvisati nel coniugare il dialogo e la diplomazia con l’autorevolezza nelle scelte.

Politici che non si sentono più maturi nel riprendersi le responsabilità di Governo rendendo così attuale il Manifesto per la soppressione dei partiti politici di Simone Weil pubblicato negli anni ’50 e nello stimolare ogni singolo cittadino nel praticare la politica.

L’attuale politica manca di carattere ed è per questo che più o meno apertamente confida in un proseguimento della cura Monti tenendo a dovuta distanza i lavoratori e senza nuocere alle ricchezze di chi specula sulla “macelleria sociale”. Monti come unica soluzione ad ogni male e per questo capace di assorbire gran parte dell’attenzione dei politici e dell’informazione nel suo rimanere anche dopo le elezioni del 2013 in politica.

La cura del rigore e dell’austerità adottata dai professori colpisce le fasce più deboli rischiando di prolungarne la crisi. Un impegno messo in discussione dal premio Nobel dell’Economia Paul Krugman e da Richard Layard, direttore di un centro studi della London School of Economics, con la pubblicazione di un manifesto in cui consiglia di stimolare la crescita dell’economia dopo aver studiato 173 casi di tagli di bilancio mostrando che spesso l’effetto generato è la contrazione economica,

È possibile che l’1 o il 10% che possa essere degli abitanti della terra con le loro ricchezze sia così potente ad non essere coinvolto nei sacrifici delle singole nazioni?

Gli italiani sono causa dei loro mali se continuano a permettere che una vittoria calcistica li narcotizzi e rimangano inebetiti da una sconfitta, mentre si contratta per centinaia di milioni in euro sulla proprietà di calciatori poco differenti dal resto degli abitanti del Pianeta fantasticando sui loro compensi milionari. Basti pensare a Thiago Silva e Ibrahimovic per poter digerire la precarietà della vita e gli stipendi da mille euro.

Ogni schieramento se non addirittura ogni partito presente in Parlamento è un esempio di micro cosmo che racchiude tutte le componenti politiche negli ultimi sessant’anni. Cattolici di varie sfumature e socialisti atei, reminiscenze fasciste con liberali repubblicani, comunisti pentiti e quelli che ritengono ancora possibile smascherare l’egoistica devianza del Capitalismo. Personaggi di destra acclamati dalla sinistra e altri che schiamazzano a sinistra lusingati dalle file di destra e su tutti l’anomalia perseguita dal Partito democratico con il suo avvilente corteggiamento dei centristi, voltando le spalle ai naturali alleati mettono in discussione il riconoscimento dei diritti in egual modo a ogni cittadino.

Come si può far convivere le crociate con il dialogo, la freddezza delle cifre con la compassione, l’individualismo possesso di uno scranno parlamentare con l’essere al servizio dell’elettore?

Quelli che si dicono cristiani e perseguono la via della discriminazione tra cittadini e sessi trovano aperture laiche e libertarie in esponenti collocati nel centro destra.

È un indigesto minestrone quello che si è formato con il bipartitismo e fomentato dalla primordiale ingordigia di un’umanità corrotta protesa verso il potere e le allettanti proposte di uno schieramento piuttosto che di un altro.

PierLuigi Bersani è stato un buon amministratore e lodevole ministro, ma non ha il polso per guidare un partito erede dell’utopia socialista che si è coniugato con quell’area facilmente definibile come cristiano sociale, ma non può neanche instaurare alleanze con i bigotti. I falsi puritani avranno problemi nel definire una posizione unitaria con la parte laica del “Terzo Polo” nell’ambito della ricerca scientifica e nel riconoscimento delle coppie di fatto.

Tanti minestroni che non si armonizzano, ogni sapore è facilmente distinguibile dall’altro, non è solo riuscire ad individuare il peperoncino o la coccia di parmigiano, ma ogni singola verdura.

È una infinita distesa di tonalità grigie nel tentativo di farle apparire tutti uguali, ma ogni persona è un’identità ben definita anche nella sua  confusione mentale e  con le sue caratteristiche.

Alla metà degli anni ‘80 Hollywood contribuiva con la commedia Soul Man al superamento delle differenze pigmentose, semplificato nell’affermazione che non esistono bianchi, neri e rossi, ma delle differenti tonalità di grigio; così il Parlamento visto dalla Luna appare un’unica distesa di grigio, ma più ci si avvicina e più appare come tanti pixel di vario colore che non riescono a formare una chiara immagine.

Una Destra repubblichina e sociale che, dopo numerose scissioni e fughe, mendica un padrone per apparire nel panorama populista camminando in precario equilibrio sul filo delle protezioni clericali mentalmente deviate da una lettura personalizzata dei Vangeli.

Il massimo dell’interesse espresso dalla politica e dall’informazione sembra concentrato sulla presenza di professori e tecnici oltre i primi mesi del 2013 invece di preoccuparsi di educare una nuova classe di politici capaci a governare. Tutti vogliono e non vogliono arruolare questa brigata di non politici per dare lustro al blasone sbiadito del proprio partito, ma senza offuscarne le personalità parlamentari.

La politica italiana non vuol chiudere con i saltimbanchi cercando di copiare compiti fatti da altri senza comprenderne il contesto sino ad arrivare a confondere la libertà economica con il liberismo. Un’azione tentata in varie occasioni, ma con questo Governo Monti le porte si stanno spalancando ai liberalisti entusiasti del manifesto Fermare il declino proposto da persone come: Michele Boldrin, Sandro Brusco, Alessandro De Nicola, Oscar Giannino, Andrea Moro, Carlo Stagnaro, Luigi Zingales. Un movimento che Oscar Giannino tende a farlo coincide con una “Sedizione Liberale” per reagire dopo la nuova discesa in campo di Berlusconi.

Così anche nei movimenti come nei partiti prevale il minestrone più che la zuppa trovando personalità che migrano da una convinzione ad un’altra cercando di coniugare lo Stato con un liberalismo che lo vuole svuotare di controlli, scopi e servizi, mentre si riscoprono teorie marxiste.

Il panorama politico si arricchisce di un’arguta analisi sul ruolo del traditore, come esplica Giulio Giorello nel suo Il tradimento (Longanesi), nel superare ogni stallo governativo con il venir meno agli impegni presi.

Rendere dinamica la politica venendo meno a un patto di coerenza degli amministratori pubblici è evidenziata da Marco Boschini con il suo “Viaggio nell’Italia della buona politica” (Einaudi). Un libro per viaggiare tra i piccoli comuni virtuosi tra migliaia di cittadini che quotidianamente contribuiscono alla realizzazione di una buona politica, senza auto blu e rifiuti zero, con una mobilità sostenibile e il risparmio energetico, promuovendo nuovi stili di vita, riponendo nei comuni virtuosi delle prospettive ottimistiche per un’Italia da non svendere come viene descritta nel libro Outlet Italia di Aldo Cazzullo (Mondadori).

Gran parte dei politici ha una traumatica carenza affettiva ed è per questo che sono disperatamente alla ricerca dell’amore dei loro elettori. Una debolezza sconosciuta a questi tecnici.