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Piani di Guerra

“Un piano funziona finché non viene applicato alla realtà” (Erwin Rommel)

A cent’anni dall’inizio della Grande Guerra si stanno naturalmente moltiplicando gli studi storici e questo libro del col. Filippo Cappellano, (Ufficio storico SME) esplora un campo finora poco esplorato: i piani di guerra del nostro Stato Maggiore. Si parte dal lontano 1861 per finire al 1915, coprendo un arco di oltre mezzo secolo, durante i quali si mantiene un’impostazione difensiva, per poi elaborare piani di attacco che poi non funzioneranno, come del resto non funzionarono quelli tedeschi, né quelli degli altri eserciti. Il pregio del libro, oltre a quello di una precisa documentazione d’archivio, consiste nell’inquadrare il problema geopolitico, per poi collegarlo alle oscillazioni della politica estera italiana.
Cominciamo appunto dalla geografia e dal modo in cui essa condiziona la politica. L’Italia è in fondo un paese fortunato: il mare da tre lati e l’arco alpino sono confini naturali che la Polonia si sogna. Se le coste sono vulnerabili – ma cent’anni fa non esistevano i mezzi da sbarco usati vent’anni dopo dagli Americani nel Pacifico e in Normandia – l’esercito può facilmente difendere la frontiera alpina, e non per niente abbiamo creato gli Alpini. Il problema strategico è identificare il nemico, e qui emerge il limite strutturale della politica estera italiana: la sua discontinuità. Il giovane Regno d’Italia si è dovuto confrontare con l’egemonia francese nel Mediterraneo e con l’Impero Austro-Ungarico per i 600 km che vanno dal Trentino fino a Trieste, arrivando a firmare con quest’ultimo e con la Germania la Triplice Alleanza nel 1882, ma senza mai sentirsi con le spalle coperte, una mancanza di fiducia peraltro ricambiata dall’inizio alla fine dagli Austriaci. In realtà la strategia militare italiana fu impostata quasi sempre sulla difensiva: lo consigliavano le dure esperienze precedenti e la debolezza strutturale italiana. Gli Austriaci combattevano da mille anni ed erano superiori per risorse militari, economiche e demografiche, mentre il giovane Regno d’Italia, anche se militarista, era carente sul piano industriale e ancora poco coeso su quello sociale. Niente di strano dunque che i piani di guerra fossero impostati sulla difensiva e sulla controffensiva, anche se – secondo la situazione politica – poteva cambiare il settore di arco alpino da difendere. Alla fine del 1914, però, col ribaltamento delle alleanze, lo Stato Maggiore dell’Esercito aggiornò la pianificazione operativa in senso offensivo. Il gen. Luigi Cadorna progettò così un ambizioso piano offensivo, mirato all’invasione della Duplice Monarchia che si fondava sulla cooperazione delle forze russe e serbe, nel frattempo entrate in guerra. Si scartò l’invasione del Trentino perché troppo difeso (il nostro esercito difettava di artiglieria e di munizioni adeguate) per concentrarsi sul Cadore e su Gorizia, trascurando il Tarvisio (da cui si penetra a Klagenfurt e poi a Graz) e finendo invece per incunearsi nella lunga valle dell’Isonzo, in modo da puntare su Lubiana e poi ricongiungersi alle truppe russe e serbe. Così descritto un piano del genere sembra quasi realistico, mentre invece era pura follia.
Intanto, se era giusto pensare alla cooperazione con altri eserciti, nel 1915 Russi e Serbi erano già stati fatti a pezzi. Secondo, se le Alpi sono per noi una barriera difensiva, lo sono anche per gli Austriaci. Per chi non avesse chiara la geografia, diciamo che in Austria si può penetrare da pochi valichi: da ovest a est, rispettivamente dal Brennero o la Val Pusteria; dal Cadore via Cortina; dal Tarvisio venendo da Udine, oppure si può risalire la valle del Tagliamento da Tolmino via Caporetto sino a Lubiana. Più facile a dirsi che a farsi: la guerra sul fronte alpino fu qualcosa di unico nella storia militare per l’impegno richiesto a cinque milioni di soldati italiani mandati a vivere e combattere sulle montagne, ma soprattutto fu uno spreco di risorse. Il piano di Cadorna era affrettato e l’autore lo dimostra dati alla mano. Il rovesciamento delle alleanze sorprese dunque anche i militari, abituati da cinquant’anni a una strategia difensiva. Ma nessuno aveva mandato ufficiali osservatori a studiare la guerra sul fronte francese, così la fanteria andava all’attacco con tattiche superate e armi inadeguate, mentre il nemico sbarrava gli accessi alle vallate strategiche. In realtà nessun piano elaborato dagli Stati Maggiori dei grandi eserciti europei funzionò, a cominciare dal collaudato piano Schlieffen dei Tedeschi per invadere la Francia. Si trattava di elucubrazioni di generali nati tutti nell’Ottocento e incapaci di adeguare il loro cervello alla tecnologia del Novecento, fatta di mitragliatrici, cannoni, gas, radio, aerei, camion e mezzi meccanici. Il piano di Cadorna era nel migliore dei casi molto ottimistico, ma in fondo i suoi colleghi europei non erano migliori di lui e quelli che furono all’epoca celebrati come grandi generali, oggi sarebbero rimossi dall’incarico entro un mese. Ma a cento anni di distanza dalla Grande Guerra ancora non abbiamo imparato due lezioni fondamentali: che una guerra costa più di quanto ottiene, e che una guerra nuova non somiglia mai a quella precedente.

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Libri Piani di guerra 001Autore: Filippo Cappellano
Titolo: PIANI DI GUERRA dello Stato Maggiore Italiano contro l’Austria-Ungheria (1861-1915)
Editore: Rossato, 2014
Pagine: 168

Prezzo: € 19.00
Isbn 978-88-8130-127-0
Fotografie, cartine e illustrazioni: 71

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quel reale che vive parallelo a ciò che noi definiamo: il vero

Ambiziosa e ardua, oltre l’apparenza,
è spesso una composizione “a quattro mani”.
In questo caso si tratta di una inedita sfida costruttiva
tra il giornalista performatore: Daniele Barbieri
e il pedagogo formatore d’insegnanti: Raffaele Mantegazza.
Una coppia affiatata e singolare che si realizza ricercando:
– tracce pedagogiche nella fantascienza – con saggia premessa:
“Pensando l’educazione come sfida utopica
per mettere al mondo esseri umani che provino a cambiare il mondo,
questo testo interroga il genere letterario di Asimov,
Dick, Le Guin, Simak e tanti altri proprio nelle sue declinazioni
più prossime alla politica e all’utopia.”
Già la breve presentazione della collana intitolata:
– Controeducazione – diretta da Paolo Mottana,
incuriosisce, attrae e lascia ben sperare.
Inoltre ci colpisce e ci piace l’idea di questa nuova ricerca
affrontata con passione e competenza nella certezza
ché i nuovi umani possano crescere, imparare e nutrirsi piacevolmente
nei pascoli di storie avveniristiche
comunemente dette: di FANTASCIENZA.
Inseguendo questa giovane parola ultracentenaria,
che evoca climi di chiaroveggenza intuitiva,
non solo scientifica ma storica e geografica,
le 124 pagine del libro volano dilettevoli rendendoci ottimisti.
Chissà che procedendo su tracce “realmente avveniristiche”
non accada di trovare, tra nuove idee, anche il senso positivo
di un’altra espressione centenaria come – geopolitica –
parola forse prematura, tuttora tragicamente svisata
sperduta e “incompresa” nel vocabolario dell’umano barbaro linguaggio.
Sapendo bene come ideali, fantasie e sogni,
siano quel reale che vive parallelo a ciò che noi definiamo: il vero,
possiamo credere che queste “tracce pedagogiche”
saranno realmente illuminanti verso una nuova direzione di vita.
Una vita finalmente lontana da questo mondo assurdo,
dove la donna, malgrado tutto, continua a voler creare,
mentre il maschio preferibilmente distrugge e uccide.

 

Libri Quando c'era il futuro

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Titolo: Quando c’era il futuro. Tracce pedagogiche nella fantascienza
Autore: Daniele Barbieri – Raffaele Mantegazza
Editore: Franco Angeli (collana Controeducazione), 2013
Prezzo: € 16,50
Pagine: 128

ISBN: 9788820450885

Grafica della copertina: Elena Pellegrini

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Il Cronenberg scrittore

Dopo quasi dieci anni di gestazione (o almeno così si dice) ha visto finalmente la luce il primo romanzo del regista David Cronenberg, il maestro di quel cinema definito “body horror”, che per non smentirsi neppure come scrittore ha ben riproposto le sue tematiche preferite in quest’opera intitolata “Divorati”.
A beneficio di coloro che poco conoscono i lavori cinematografici del regista e quindi i temi da lui trattati c’è una parola utile per avere un approccio più semplice alla lettura e questa parola è “estremo”. Estremo è il rapporto che i suoi protagonisti hanno talvolta con il proprio corpo piuttosto che con la propria mente, così come estreme arrivano ad essere le relazioni che si instaurano tra i vari personaggi nati dalla sua fantasia, relazioni che includono la violenza e il sesso nelle loro visioni più crude e, appunto, estreme.

Fatta questa breve delucidazione è giunta l’ora di parlare meglio di questo romanzo che ha per protagonisti una coppia di foto-giornalisti free-lance di nome Naomi e Nathan, coppia sentimentalmente e, di rado, professionalmente. Di rado perchè come in questo caso a loro insaputa i loro rispettivi reportage finiranno per intrecciarsi. Mentre infatti Nathan vola a Toronto per incontrare il Dott. Roiphe, nientemeno che lo scopritore della malattia ai genitali che il giornalista ha “casualmente” contratto, Naomi va prima a Parigi poi a Tokyo per cercare informazioni più precise sul “Succoso caso di omicidio-suicidio sessual-cannibal-filosofico francese” come lo chiama lei, fino a che scavando più a fondo entrambi troveranno del materiale che si rivelerà utile l’uno per l’altra. Ma non sarà forse che questa coincidenza non sia casualità e che i due foto-reporter siano stati trascinati in un intrigo ben più misterioso?
Qui inizia la vera complessità del romanzo o forse è meglio dire che è qui che iniziano a mostrarsi i primi veri segni della mano di Cronenberg.
Il sospetto omicidio-suicidio su cui è concentrata Naomi è quello che ha per vittima la nota filosofa francese Cèlestine Arosteguy che, secondo le indagini e le immagini pubblicate dalla polizia, è stata trovata un po’ qua e un po’ là nel suo appartamento di Parigi, brutalmente smembrata e sembra anche parzialmente cannibalizzata. C’entra forse il marito, anch’egli noto filosofo di nome Aristide Arosteguy? Potrebbe, visto che di lui si son perse le tracce, perse ma non per tutti perchè tramite alcune conoscenze Naomi riesce a rintracciarlo nella capitale Nipponica dove i due si incontreranno. E Nathan? Beh lui scoprirà invece che nella casa del dottore o, meglio, nella figlia del dottore si nascondono segreti molto ma molto scottanti.

A questo punto avviene la massima esplosione di tutte le caratteristiche che accomunano le opere di Cronenberg: si comincia con gli estremismi sessuali dei rapporti che i due filosofi avevano tra loro e con i loro studenti, per passare poi alle immagini piuttosto crude e talvolta disturbanti di come il regista è solito trattare il corpo umano fino ad inoltrarsi nelle menti complesse dei protagonisti, indubbiamente affetti da disturbi psichici tra i quali l’apotemnofilia, da voltastomaco.
Ma… può forse mancare un intrigo politico di qualche particolare paese come ad esempio… la Corea del Nord? Ovviamente no. Come non possono mancare le radici cinematografiche dell’autore tra le cause scatenanti della follia di alcuni personaggi. Per essere più completi bisognerebbe aprire un paragrafo molto lungo e articolato su Cèlestine e Aristide Arosteguy ma, dal momento che i veri protagonisti alla fine sono loro, basta giusto lanciare il seme dell’interesse per quei lettori che poi vorranno farlo germogliare.
Limitarsi insomma a queste piccole anticipazioni è talmente riduttivo che rimarreste senza dubbio sorpresi nello scoprire cosa contiene questo romanzo tutto sommato abbastanza contenuto nel suo numero di pagine. Per farla breve, qui c’è tutto il meglio (e il peggio per gli stomaci deboli) del cinema di Cronenberg,
Un ultimo dettaglio per coloro ai quali potesse interessare è che nel libro è presente un campionario completo dei più bei modelli di macchine fotografiche digitali, dipositivi audio, video, notebook, tablet, smartphone e quant’altro di tecnologico può tornare utile ai due giornalisti, sembra una banalità presentarlo così ma c’è da rimanere a bocca aperta per quello che l’autore mette in campo…

Non è dunque necessario essere fan di David Cronenberg per leggere questo romanzo, basta semplicemente essere aperti alle visioni estreme ma talvolta affascinanti dell’autore, che egli è in grado di esporre in modo così semplice e naturale. Non è escluso però che ai più nostalgici venga voglia di rispolverare le vhs dei cari vecchi Videodrome e Crash o i dvd dei più recenti a History of Violence e A Dangerous Method, come non è escluso che chi non li hai mai visti decida, a lettura conclusa, di regalarsi un week-end cronenberghiano. Le sue opere fanno quest’effetto.

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Titolo: Divorati
Titolo originale: Consumed
Autore: David Cronenberg
Traduttore: Prosperi C.
Editrice: Bompiani(Collana Narratori Stranieri), 2014
Pagine: 343
Disponibile anche in ebook

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Regista, sceneggiatore, attore, produttore scrittore e quant’altro, tutto questo è David Cronenberg, e siccome è tutto questo quale modo bigliore di un booktrailer più esplicito che mai per accompagnare l’uscita del romanzo? Cliccare per credere.

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Leopardiana

Abbiamo visto il film di Martone e ne abbiamo ammirato il rigore formale, la studiata ricostruzione d’ambiente, la dicotomia tra sublime poetico e miseria fisica, tra l’isolamento del natìo borgo selvaggio e la frenetica corrispondenza con l’Accademia. Un film ambientato per quadri in quattro luoghi diversi: Recanati, Firenze, Roma e infine Napoli, dove il regista gioca in casa e cerca di interpretare l’impatto del poeta con una città per lui diversa e affascinante, in una specie di vertigine che spazia dal magma umano a quello della lava vesuviana. Ebbene, nel 2007 era apparso un piccolo libro di appena 45 pagine edito da Scepsi & Mattana, un piccolo ma coraggioso editore di Cagliari: La luce nel fosso. Tre racconti su Leopardi a Napoli, scritto da Gigi Monello, peraltro autore di altre piccole, preziose opere pubblicate dallo stesso editore (1). Curiosa opera, articolata in tre racconti: Il segreto del cielo di giorno, La strana notte del poeta, Un americano nel golfo. Più che più che nei Canti si pesca nelle Operette morali, nello Zibaldone e persino nel Discorso sopra lo stato presente dei costumi degli Italiani, in una curiosa, manieristica sintesi. Nel primo parla il medico personale del conte Leopardi. Il suo paziente è indisciplinato: mangia in modo sregolato, dorme troppo ed esce poco. Il medico dunque lo convince a fare con lui una passeggiata al sole in carrozza e questa è l’occasione per discutere sulla vita e la morte. Aleggia la minaccia del cholera, di cui neanche il medico conosce la vera natura, mentre il popolo festoso e lazzarone sembra non curarsene, intento a mangiare con avidità qualsiasi cibo. In realtà è una reazione istintiva alla morte e alla precarietà dell’esistenza, e di questo infatti discettano i nostri. Come si concilia il sole del Mediterraneo con l’incombente epidemia, che magari sarà sostituita da un’altra in futuro? Napoli ha vissuto il colera persino nel 1973 e sempre per gli stessi motivi. Per il conte Giacomo l’unica spiegazione è in un Creatore crudele che illude un’umanità, la quale preferisce vivere alla giornata, per incoscienza o consapevolezza. Non sapendo come rispondere, il medico suggerisce un curioso rimedio all’angoscia: il collezionismo. E qui vien introdotto un personaggio forse anche esistito: Beniamino ‘o mortale, un giovane bello e ricco che, una volta vecchio e solo, colleziona funerali, più preciso e sistematico di un necroforo. Di ognuno voleva sapere il modo in cui era morto, ma lui morì in un modo diverso da tutti gli altri. Commento del poeta: “ … in verità viviamo in un universo spalancato, un freddo dirupo sfondato; e chi vuole sognare, sogni pure … Tanto la notte tornerà, e il cielo ci sembrerà di nuovo una domanda, e il mondo la maschera di ciò che non sappiamo.”
La strana notte del poeta ci porta invece nell’atmosfera descritta anche da Saverio Martone, ma senza scadere nel presepe napoletano. La voce narrante è quella di un anonimo corrispondente di un giornale italiano, estraneo alla città, che scopre quasi per caso dove è morto Leopardi. In città è anche lui è uno straniero, per cui si dà da fare e vien dunque condotto dal Professore, memoria storica del quartiere. Come non pensare a Eduardo ne L’oro di Napoli? Il nostro è incuriosito dalle voci sulle strane abitudini del conte Leopardi, il quale amava effettivamente infilarsi di notte nel ventre molle della città – qui sappiamo che pagava anche un guardaspalle – per quanto di giorno poco amava i solari intellettuali partenopei con cui polemizzava ai tavolini dei caffè. Già, ma cosa cercava Leopardi? Non i bordelli – troppo facile – né emozioni forti come certi borghesi; il suo è più un viaggio dantesco in un mondo che oggi è riuscito a rendere visibile solo il fotografo Salgado: carnalità, impasto di riti del cibo e devozione ai santi, bordelli e tabernacoli; luogo ove tutto s’incrocia: mare, malattia, camorra, sudiciume, leggi; grumo denso e insondabile; pulsare misterioso. Ma non c’è la repulsione di Conrad in Tifone, dove il magma umano dei braccianti cinesi ammassati nella stiva fa solo paura. Qui l’incontro tra il poeta e Napoli è un incontro fatale e paradossale, ambiguo e necessario. Dopo Leopardi, solo Guglielmo Marconi ha capito che per comunicare con l’etere non basta un’antenna, ma bisogna anche fissare una buona presa di terra. Ma resta il distacco dell’osservatore, l’ambigua partita tra festosità ignara della plebe e lucido argomentare del filosofo; intenta, l’una, a vivere la vita, l’altro a mostrare come essa danzi insensata sull’orlo di un fosso, di cui la luce ci oscura la vertigine. E il Professore cosa dice? “Ateo o materialista? Peggio ancora, era scettico”.
L’ultimo racconto ci porta a ridosso della seconda Guerra Mondiale, dove l’interlocutore di turno è Burt, un biologo marino americano incuriosito da Leopardi e ben presto suo entusiasta ammiratore. Sono divertenti pagine piene di domande che quest’atletico ragazzone pone al suo collega napoletano: per lui Leopardi è un genio, anche se poco ne capisce della sua filosofia. Ama però i contrasti, di cui l’Italia è comunque piena. Ma la conversazione trova il suo fulcro a bordo di un battello, dove un anziano marinaio trasporta i nostri scienziati in zona. Monumenti per i morti? A che servono? Quel fondo marino è pieno di camorristi fatti sparire nelle guerre tra bande. Sapremo solo alla fine che uno di loro – don Vito – lo ha ucciso proprio il barcaiolo per vendicare un’offesa. Da quel momento l’equilibrio nervoso dell’americano s’incrina, appena corretto dall’alcool. Viviamo in un mondo senza regole oppure esistono e non le conosciamo tutte? La domanda rimane inevasa: la voce narrante ci informa che Burt è morto nel 1945 nella guerra del Pacifico.

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Titolo: La luce nel fosso. Tre racconti su Leopardi e Napoli
Autore: Gigi Monello
Editore: Scepsi & Mattana Editori, Cagliari, 2007
Pagine: 45
Prezzo: € 6,00
ISBN 978-88-902371-3-3

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Note:
(1) Accadde a Famagosta: l’assedio turco ad una fortezza veneziana ed il suo sconvolgente finale (2006); Voci e viaggi : note, fissazioni e chiacchiere di un sedicente fotografo. (2008); Le conchiglie a Monte Mario: Un doppio enigma nella Roma di Pio 9. : romanzo. (2009); Sonni & viaggi: note sparse tra alberghi e ferrovie di un fotografo a chiacchiere (2011)

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Sogni di libertà

Cento anni di vita racchiusi in un romanzo. E’ questa la sintesi più estrema di quest’opera, la seconda in carriera, di Jean-Michel Guenassia autore francese nato in Algeria che già con il suo primo romanzo intitolato “Il club degli incorreggibili ottimisti” aveva dato un’ottima prova delle sue capacità narrative catturando fin da subito numerosi lettori.
Ma cento anni di chi? Non di quell’Ernesto G. che compare nel titolo, ma di tale Joseph Kaplan un medico ebreo che ha molta storia da raccontare tanto che, più che un romanzo, il libro si rivela quasi una biografia del personaggio. E la vita sognata di Ernesto G. cosa c’entra allora?
Questa domanda attanaglierà il lettore per buona parte del libro aumentando da una parte la curiosità di trovare la risposta e dall’altra i quesiti su chi sia veramente questo Ernesto G. anche se è facile immaginarlo. Non c’è errore però, perché dopo una lettura approfondita è impossibile non rendersi conto che non poteva esserci titolo più azzeccato.

Come anticipato il protagonista del romanzo è Joseph Kaplan, nato a Praga nel 1910 e medico per tradizione di famiglia, professione da lui svolta con passione e dedizione fin dai tempi degli studi che lo portarono a specializzarsi nel prestigioso istituto Pasteur di Parigi. C’è un’altra passione però che fin dall’adolescenza lo ha contraddistinto ovvero quella per il Tango Argentino, in particolar modo di quello ballato sulle note di Carlos Gardel la cui musica accompagnerà Joseph nel corso di tutta la sua vita. Vita che da Parigi si sposterà ad Algeri dove potrà finalmente esercitare la sua professione e soprattutto dove potrà star lontano da un Europa sferzata dai venti di guerra alimentati da Hitler ma che in ogni caso presto o tardi raggiungeranno anche le colonie.
Nella capitale Algerina avrà modo di incontrare quelle persone che si riveleranno fondamentali per il suo futuro tra cui la bella Christine che segnerà la sua vita in modo indelebile. Come indelebile è l’esperienza da lui vissuta durante la Seconda Guerra Mondiale, un isolamento forzato ma necessario per sfuggire alle persecuzioni, prova che supererà anche grazie al suo amore per il proprio lavoro.

Nella seconda parte del romanzo Joseph si troverà coinvolto nella dura realtà della Guerra Fredda e dell’invasione della Cecoslovacchia ad opera dei Sovietici che con le loro politiche ostruzioniste e con la dittatura condizioneranno non poco la vita sua e di chi gli sta intorno, una tra tutti la figlia Helena.
Ed è qui che finalmente fa la sua comparsa quel personaggio tanto atteso che per tutto il corso della storia aleggia nella mente del lettore che ad ogni pagina cerca di capire dove potrà mai collocarsi questo Ernesto G. nella vita di Joseph.
Un medico prima di tutto, come Jospeph, appassionato del Tango e della musica di Gardel, come Joseph ma, al contrario di Joseph, un guerrigliero che finirà vittima del sue stesse idee.
Guennassia propone questo personaggio nel suo lato più intimo e umano, concentrandosi di più sul suo carattere e sulle sue emozioni al di là del suo operato, creando un viaggio interiore in colui che diverrà poi un icona nei tempi a venire.

E allora vien da chiedersi se la vita vissuta di Joseph Kaplan non sia quella vita che Ernesto G. avrebbe desiderato fare con il senno di poi oppure se, semplicemente, l’incontro del guerrigliero con Joseph e con la figlia Helena abbia fatto nascere in lui il desiderio di vivere un’altra esistenza su una strada diversa da quella da lui intrapresa.
Tante sono le chiavi di lettura di quest’opera che Guennassia ha costruito trovando nella biografia del “misterioso” personaggio un buco di quattro mesi ad un anno dalla sua morte dove non si sa bene cosa gli sia successo. Perché allora non fargli incontrare Joseph Kaplan? E per farlo l’autore ha dato vita ad un romanzo storico, romantico, d’avventura e di passione dove il protagonista dimostra che nonostante le difficoltà, anche le più gravi, il coraggio e il desiderio di vivere sono il motore giusto per andare avanti, senza arrendersi di fronte a nulla seppur il destino per alcuni sia già stato scritto.
Non c’è da spaventarsi se, arrivati ad un certo punto, si abbia la sensazione di sentire in sottofondo delle note nostalgiche che accompagnano la lettura… si tratta solo di Gardel con la sua Volver.

Libri La vita sognata di Ernesto G 4097354_278584

 

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Titolo: La vita sognata di Ernesto G.
Autore: Jean-Michel Guenassia
Traduttore: Bruno F.
Editore: Salani (Collana Romanzo)
Anno: 2013
Pagine: 510
Prezzo: € 16,90
Disponibile anche in ebook 1,0 MB

http://www.salani.it/generi/narrativa_generale/la_vita_sognata_di_ernesto_g_9788867153077.php

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Nato nel 1950 ad Algeri Jean-Michel Guennassia ha abbandonato l’attività di avvocato per dedicarsi completamente alla scrittura. Il suo primo romanzo intitolato “Il Club degli incorreggibili ottimisti”, pubblicato anch’esso dalla casa editrice Salani, ha ottenuto uno strepitoso successo in Francia prima e in altri dieci Paesi dove è stato tradotto poi.