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La ragazza dagli occhi d’oro

Quella che vi voglio raccontare è una favola, ……bè non proprio una favola, come dire, una favola reale che non ha, però, il suo finale, perché è tutta da vivere.

Comunemente si usa dire: “….. ah quello ha le mani d’oro, dove tocca tutto riluce”, oppure: “Quella persona ha un cuore d’oro, se può aiutarti lo fa a trecentosessanta gradi”.
Voglio, invece, raccontarvi di una ragazza, di una donna che ha gli occhi d’oro.
In realtà, i suoi occhi non sono, certo, del colore giallo scintillante prerogativa del più nobile dei metalli. I suoi occhi vanno da un marrone chiaro, ad un verde delicato ed hanno anche un fondo di colore giallo tipico dell’oro.
Come tutte le ‘cose’ che si descrivono, anche in questo caso bisognerebbe vedere da vicino questi occhi. A differenza, comunque, dei modi di dire, che ho elencato all’inizio di questo scritto, gli Occhi della ragazza non hanno il potere di trasformare in oro ciò che vedono: persone, oggetti.
La donna dagli occhi d’oro quando ti guarda ti lascia in un senso di stordimento. Lo stesso stordimento che si può provare quando si è bevuto un po’ troppo. Lo stesso stordimento, quando si è impegnati in un’attività da farci sentire avulsi dalla realtà che ci circonda. E, questo stordimento, te lo porti appresso per parecchio tempo, fino ad esserne così coinvolto dal desiderare di voler rivedere questi occhi.
È quello che mi è successo, quando nel vedere questi occhi, anch’io, in parte, ne sono stato soggiogato. Ho, infatti, avuto il fortissimo desiderio di voler rivedere questi occhi.
Gentile Creatura dagli occhi d’oro, non potranno mai bastare fiumi di parole, non potranno essere esaurienti tentativi di raffigurare, attraverso i colori, i tuoi occhi.
Io ho provato a rappresentarli usando le parole, ma la magia che emanano va al di là del loro colore specifico. Infatti, la ragazza dagli occhi d’oro, ha un modo di fare, di accoglierti così personale, così avvolgente da considerare i suoi occhi la parte finale di una Creatura particolarmente colma di tanta gioia di vivere. Non c’è bisogno che io mi rivolga a Lei, pregandola di rimanere così ricca di emozioni che riesce a trasmettere.
Lei è, come i suoi occhi sono, immensamente e universalmente occhi, che ti danno quella gioia del vivere quotidiano. Ognuno di noi dovrebbe avere la fortuna di incontrare persone così vive.

Ecco la favola, diciamo così, non finisce qui, anzi direi che non finisce proprio perché la donna o meglio la ragazza dagli occhi d’oro vive e attraverso i suoi occhi regala momenti veri di gioia di vivere. È una favola tutta, ancora, da vivere.
Serena lettura

Niente albergo a Combosar

ZY/H308 si trovò un pò smarrito all’esterno della sua astronave… Veramente non era un’ astronave, e nemmeno uno di quei patetici dischi volanti frutto della primitiva immaginazione terrestre. Era… bé, non essendo uno specifico scrittore di fantascienza, mi risparmierò e vi risparmierò elencazioni e dettati tecnici praticamente intraducibili. Perciò ritorniamo a ZY/H308…

Veramente quella era soltanto la sua sigla in codice, il suo vero nome, per così dire di battesimo, era una lunga sequenza di suoni più o meno gutturali: GUSGRUPUMSRAUGHAMRAM… ecc.ecc. Meglio lasciar perdere anche i nomi propri.

E se lo chiamassimo semplicemente e platealmente “l’alieno”? Fatto. Dicevo, l’alieno smarrito di trovarsi solo, lontano dai suoi compagni in territorio barbaro e sconosciuto, era però conscio dell’importanza del suo compito: infiltrarsi nella comunità indigena e raccogliere più notizie possibili. Il suo aspetto era quello., precisato nei particolari dall’esperto in terrestrità, il compagno XK/N222, l’aspetto di un invidiabile borghese benestante, diciamo molto benestante, di mezza età. Non si era badato al risparmio: elegante completo scuro di Armani, scarpe mocassino di morbida pelle fatte a mano, camicia di seta, orologio Baume—Mercier, abbronzato, slanciato, atletico.

Sarebbe stata la mimetica giusta per non dare nell’occhio? (Su tutte le riviste terrestri studiate gli indigeni si riparavano così dalle intemperie ).

L’alieno non fu più così sicuro di passare inosservato una volta che si inoltrò nel paesino di Combosar, sperduto tra le valli autunnali delle catene montuose. I pochi paesani sgranavano gli occhi (sopratutto le grasse paesane) come se avessero visto il nostro con la sua autentica faccia a sei occhi e le sue normali quattro braccia disarticolate. L’alieno maledisse in cuor suo lo “specialista” di bordo che l’aveva conciato così, pronto da spedire in bocca ai terrestri. Quel buon diavolo di XK/N222 pensava forse di spedire su per la Quinta strada di New York o a Piccadilly Circus di Londra il nostro alieno, ma quell’elegantone fascinoso, una specie di star del cinema, sembrava proprio cascato dal cielo in quelle quattro stradine fangose di campagna. Il nostro ospite vide comunque una specie di locale pubblico; entrò e si accomodò al bancone poi, seguendo a memoria le istruzioni filmiche terrestri, disinvoltamente tirò fuori dal pacchetto in dotazione una sigaretta e l’accese. L’uomo del bar gli si avvicinò e gli sorrise accattivante: “Mi dispiace signore, ma è vietato fumare nei locali pubblici!” L’alieno spense la sigaretta sempre più irritato con chi non ne aveva imbroccata una delle sue istruzioni! “Potrei avere dello champagne ben fresco?” L’uomo ridacchiò guardandosi intorno: “Champagne monsieur! Qui non siamo a Parigi!

Credo di averlo visto solo nei film lo champagne, giù in città!” ZY/H308 si morse ancora di nascosto le labbra e, come si dice, tagliò corto: “Che avete da bere qui?” — “Birra e grappa” — “Va bene!” L’uomo gli portò un bicchierino e una birra chiara: “Beva prima la grappa e di sopra ci butti la birra, glielo consiglio, è la nostra specialità”. Il nostro bevve e pensò che era ora di far domande: “Amico, c’e un albergo qui per poter dormire?

Ho lasciato l’auto fuori del paese. inservibile. Ho voglia di lavarmi e di dormire un pò”.

L’uomo ridacchiò di nuovo, e con una certa inquietante confidenza disse: “Niente albergo a Combosar. Abbiamo pochi turisti qui. Ma in quanto a dormire dormirai quanto vorrai con quello che ti ho fatto bere.

Eh, un bel galletto come te è raro da queste parti sarà bello spennarti!

Alla tua macchina penseremo domani… Buon riposo”.

ZY/H308 si girò di scatto: nel locale erano entrati quattro robusti montanari e gli erano intorno. La mano già irrigidita non riuscì a impugnare la pistola a ioni alternati.

Prima di chiudere gli occhi fece in tempo a pensare : “Maledetto XK/N222, imbecille… dove cazzo mi hai mandato?” Veramente non disse proprio così ma usò una frase della sua gente piuttosto greve e colorita che non oseremo tradurvi…

 

La storia dei mesi importanti e di quelli meno

Tanto tanto, ma taaaaaaaaanto tempo fa………………………..
C’erano alcuni mesi dell’anno che….non erano importanti.
Essi erano…………………..ma forse sarebbe meglio elencarli insieme:

Allora:

– Gennaio………è importante perché è il primo mese dell’anno e poi contiene il primo giorno che è il primo dell’anno – capodanno;
– Febbraio………bè direi che anche questo è importante perché c’è il carnevale……….con le
maschere, le stelle filanti, i coriandoli;
( mettersi in tasca stelle filanti e coriandoli per poi tirarli fuori )
poi rivolto ai bambini: Voi vi mascherate? E a cosa vi mascherate?

Bene passiamo a………………….

– Marzo………bè è il mese dove entra la Primavera……il 21 marzo, quindi penso che sia importante, no?;
– Aprile………ad Aprile c’è Pasqua, poi pasquetta……………;
– Maggio……..il mese di maggio è poco importante.. o comunque veniva considerato poco importante;
– Giugno……..entra l’estate, il 22 giugno e quindi importante;
– Luglio – Agosto………poi c’è Luglio e Agosto, non tanto importanti, si, si è in vacanza però…;
– Settembre….mentre a Settembre il 23 entra l’Autunno con le foglie degli alberi che da verdi diventano gialle e che cadono piano piano giù (mettersi in tasca foglie gialle e verdi)
– Ottobre – Novembre….per Ottobre e Novembre vale lo stesso discorso di Luglio e Agosto;
– Dicembre….poi Dicembre invece considerato importante per il Natale e per l’ultimo giorno dell’anno il 31.

Allora ricapitoliamo………….tanto, ma taaaaaaanto tempo fa venivano considerati importanti i mesi:
Gennaio, Febbraio, Marzo, Aprile, Giugno, Settembre e Dicembre.

Mentre sempre………….tanto, ma taaaaaaanto tempo fa venivano considerati poco importanti i mesi:
Maggio, Luglio, Agosto, Ottobre e Novembre.

Come vedete 7 mesi su dodici erano importanti e 5 su dodici no.
Questo creò una grande crisi ai mesi poco importanti, i quali si riunirono e decisero di fondare da soli un anno tutto loro.
I mesi considerati importanti, quando seppero della riunione dei mesi non importanti si riunirono anche loro dicendo che erano i più forti perché erano in maggioranza e c’avrebbero pensato loro a fare un anno da soli.
Ma prova e riprova, una riunione di qua………….una riunione di là, non riuscivano a fare una anno da soli. La stessa cosa valeva per i mesi poco importanti che nonostante una riunione di qua………….una riunione di là, non riuscivano a fare, anche loro, una anno da soli.
I mesi importanti, infatti, si scontrarono fra loro perché dicevano che Gennaio, Febbraio, Marzo e Aprile erano vicini compatti mentre gli altri mesi erano sparsi Settembre e poi Dicembre che si sentivano soli e volevano anche gli altri mesi quelli considerati meno importanti come ad esempio maggio e poi luglio e agosto, ottobre e novembre.
Eppoi c’è da dire che pensarono ai bambini che sarebbero nati chi nel gruppo dei mesi importanti chi in quello considerati non importanti.
Si sarebbero, così, create delle fratture, delle gelosie anche all’interno di una stessa famiglia.
Ma ve lo immaginate voi il bambino nato a gennaio con suo fratello nato a luglio? Quello nato a gennaio avrebbe detto che lui, si, era più importante a differenza del fratello.
E tutti, mesi importanti e non, si chiedevano come si potesse fare un anno con così pochi mesi.
Poi d’un tratto, come per magia, come tante cose che succedono nella nostra meravigliosa vita, i mesi importanti vollero fare una grande riunione……………..ma che dico grande, una grandissima riunione, ma, è questa la novità, non la vollero fare da soli, ma la vollero fare…….con chi?…..esattamente con i mesi meno importanti, i quali mesti mesti accettarono.
In questa grandissima riunione dove erano da una parte i mesi importanti e dall’altra quelli meno, si deliberò che non dovevano esserci divisioni, che non dovevano esserci differenze né tantomeno mesi più importanti degli altri.
Si deliberò, anche, che bisognava essere tolleranti e accettare il diverso tra loro. Ogni mese aveva la stessa importanza perché l’uno non poteva fare a meno dell’altro.
Tutti capirono che solo rimanendo uniti, solo essendo solidali tra loro si poteva vincere.
Così fecero e piano piano, i mesi si riunirono tutti insieme dando vita ad un anno intero.
Dando vita, soprattutto, ad una unione anche tra gente non uguale a noi.

E come tutte le più belle favole…………….vissero tutti felici e contenti.

20 Marzo 2012

IL VIAGGIO DI ROBERTA

Roberta pensava di fuggire. Da tempo. Da sempre. Ci pensava ogni giorno; ci pensava ogni notte. La notte era il momento giusto: tutti dormivano in casa. Tutti?..Viveva sola con sua madre, o almeno quella strana donna che si diceva sua madre. Parlavano poco o niente, “quella” donna lavorava fuori tutto il giorno e per non aver problemi chiudeva Roberta in casa, a legger fumetti e a inventarsi giochi. Così la bambina giocava da sola tutto il tempo fantasticando di amici e avventure, finché “quella” tornava la sera a far da mangiare e a buttarsi sul letto guardando il soffitto e rimuginando le sue malinconie. Roberta aveva solo sette anni ma capiva bene che quella donna di poche parole e di poche carezze era triste. Ma che poteva farci? Roberta era sicura d’essere stata portata lì da qualcuno, un giorno, e che si fossero dimenticati di lei. Quella donna era un’estranea, lo sentiva. La notte, certe volte, piano piano si avvicinava a lei a vederla dormire; la guardava come se aspettasse un segno, un indizio. La guardava dormire col suo viso scontento anche nel sonno, con le rughe della sua fronte e i suoi capelli sul cuscino. No, non poteva essere sua madre. Altre volte Roberta, fuggendo dai suoi incubi, si svegliava di soprassalto con l’idea fissa d’essere osservata, custodita da esseri estranei, alieni. Forse anche quella donna, preoccupata sempre di non farla uscire da sola, di non farla giocare con gli altri bambini giù nel cortile, quella donna che guardava dormire di notte, anche lei era un’aliena venuta chissà da dove,a  tenerla con sé in quella casa silenziosa.

Così Roberta ogni notte pensava di fuggire, non sapeva dove, come, ma l’importante era lasciare quelle stanze, quei lunghi giorni a giocare da sola, quella donna che non conosceva.

Aveva nascosta una valigetta sotto il letto: ci aveva messo le sue piccole cose, i suoi disegni, un vestito, un po’ di biancheria. Così quella notte si decise. In punta di piedi andò in cucina a prendere del pane e del latte, lo ficcò nella sua valigetta. Poi si vestì piano attenta a non far rumore; si mise il cappottino. Andando di là a vedere se la donna dormiva sentiva il cuore batterle forte, le gambe tremare fin quasi a piegarsi. La donna dormiva col suo solito ansimare: forse anche i suoi sogni erano tristi, forse anche lei era prigioniera in quella casa. Coraggio!…aprire le porta, richiudere senza sbattere, fare la rampa di scale, aprire il portone. Eccola in strada con la sua valigetta tra le gambe. Non c’è nessuno. Neanche un’auto. Si sente solo un po’ di vento fischiare tra i pini del viale, il semaforo all’angolo che lampeggia muto. Vai, vai Roberta, coraggio!…è la volta buona. Cammina per due, trecento metri, guarda per terra i suoi passi, poi alza gli occhi: un’altra via, un’altra piazza. Ora è più buio. Roberta si ferma, improvvisamente non sa che fare, ha paura; ora le viene da piangere. Sì, non riesce mai ad andar oltre quella strada buia. La sua fuga si ferma sempre lì; nessuno viene in suo aiuto, nessun angelo la prende per mano. Il mondo laggiù è solo buio e silenzio. Come le altre volte Roberta, finite le sue lacrime mute, riprende la sua valigetta e torna indietro. Ha sempre con sé le chiavi di casa, come le altre volte.

Riapre il portone, rifà le scale, rientra in casa, si spoglia. La donna, di là, dorme rigirandosi tra i suoi soliti sogni. Roberta si stende sul suo lettino, tira fuori il suo pane e il latte e mangia piano. La notte è ancora lunga; sospira e chiude gli occhi abbracciando il cuscino…Un’altra volta,un’altra volta, pensa…la prossima volta riuscirò davvero ad andar via senza tornare indietro. E s’addormenta.

L’ULTIMO COMUNISTA

Forse riuscirò a morire coi miei capelli in testa. Pochi, pochi, ma quanto basta per far finta d’avere un ciuffo e darmi un’aria furba,sfacciata se non (ahimè!) addirittura “giovanile”, lietamente strapazzata..Intrigante? Intrigante poi per chi? Perché? Quali intrighi? Autogratificazione? come si dice? Prendersi per il culo. Ma i molti capelli servivano a far la rivoluzione. Unavolta ero il re dei cortei,il fanatico delle barricate. Sprezzante, coraggioso, sempre avanti a tutti. Lacrimogeni e manganelli mi eccitavano. “El pueblo unido jamà serò. vencido!” Che tempi! Io coi miei capelli arruffati e nerissimi,da corvo, la pelle olivastra e i miei occhi scuri e ben tagliati. Sei messicano? Mi dicevano. Brasiliano? Siriano? Eschimo e “mezzo” toscano. Sì, il “mezzo” toscano sfigurava un pò, allora non “usava”, sembrava roba da vecchi, da osteria. l’avevo ripreso da mio nonno, anima santa d’anarchico,quando correvo a portarglielo dal tabacchino. Ma adesso vino e toscano “tirano”, fanno moda, così ora il “mezzo” ce 1’hanno in bocca froci, papponi e portaborse. Il mio “mezzo”! Non lo mollavo mai fino a scottarmi la bocca, mi sentivo mezzo pistolero alla Clint, anche se i compagni più “fichi” rollavano cartina e tabacco, sempre stretto tra i denti, masticando saliva acidula. Perché si mastica il “mezzo”, non si succhia pendulo come fanno adesso i ricchioni e i ruffiani in cravatta e abbronzatura da lampada. Incominciai a perdere i capelli a 40 anni, quando smisi coi cortei e le mazzate, ma il colpo finale me lo diede Laura quando mi lasciò due anni fa. Quando si va parecchio giù va tutto in pezzi; i capelli che resistevano eroicamente in trincea incominciarono ad arrendersi in massa. Intravidi la “pelata” come l’orribile cadavere di un amico! Era finita. “L’ultimo comunista!”, mi rise in faccia Laura prima di andarsene, come volesse espormi alle beffe di un pubblico divertito; “…Eccolo lì!..” L’ultimo illuso voleva dire, anzi l’ultimo coglione. E meno male che mi risparmiò la frase fatidica: “Quando decidi di crescere?” Già, crescere per una donna in smania di riproduzione significa schiaffarsi sulle spalle sacchi e sporte di responsabilità, fatica, umiliazioni, correr dietro ai soldi contati, e poila famiglia. La famiglia è tutto ti dicono! Figli tra cacca e vomito, poi lacrime, pene, sangue, e magari se ce la fai arranchi a giocare coi nipotini, poi farsi mettere da parte a calci in culo come un inutile fuco spompato e coronare la “crescita” virile e responsabile con un fatidico e opportuno infarto. Quello sì che è un uomo! Al diavolo la famiglia! Le beghe, le corna, il fiato corto, ninna carrozzine e addormentati sugli “straordinari” e magari ti capita di ritrovarti con dei figli più stronzi di te. No. Io volevo il mondo per famiglia, la lotta da fare coi compagni, dividersi lacrime, risa, botte, vino. Andare per il mondo inseguendo la luce che ogni giorno va via: l’avventura, il sogno da rifare,la rabbia che ti monta il sangue, l’amore perduto e ritrovato. Il grande gioco da giocare con altri pazzi come te. I giorni erano pieni allora, pieni da scoppiare, le donne ti prendevano e ti lascia vano,e tu le prendevi e le lasciavi. Sole e pioggia, estate e inverno erano densi e forti, ti ubriacavano come liquori. La morte la prendevamo a calci quando veniva a metterci in tasca malinconie. L’ultimo comunista! Un peccato? Una malattia? Non voglio dimenticarmi dei sogni, dei pugni, degli urli in sezione, i discorsi tirati fino all’alba, fino alle lacrime agli occhi. Sentirsi dentro i giorni che erano per noi, solo per noi. Sentirsi e chiamarci e trovarci, prenderci per il bavero, picchiarci e volerci bene. Eravamo qualcosa,e sapevamo dove andare. E l’amore, l’amore … preso e rubato, a morsi profondi, affamati. Non voglio dimenticarmi di quel ragazzo che ero, pieno di capelli, di rabbia,di speranze assurde e bellissime. Voglio che quel ragazzo resti con me fino alla fine. No. Non voglio “crescere” per i due cuori nella tua capanna, per le tue culle, i tuoi mutui, i tuoi debiti per le vacanze, le tue domeniche intorno a un tavolo con i tovaglioli ripiegati,e magari la scopata il sabato sera dopo la partita in televisione. Non voglio essere il tuo uomo Anna, Francesca, Paola, Daniela o come accidenti vi chiamavate! Voglio morire senza invecchiare, rivoglio i miei capelli,datemi l’eschimo e il “mezzo” da masticare. Voglio uscire e andarmene via. Tieni, riprenditi le tue stramaledette lacrime e tutte le mie piante per te! Ti strappo dai miei occhi e m’innamoro del mondo… fottiti Laura!

http://youtu.be/GQAWJHITdhg