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Luciano Ventrone: Il superrealista

Nella residenza-fondazione di Marcello Aldega anfitrione (fra l’altro riccamente illustrata da pregiati dipinti fine ottocento-primi novecento) e la variegata e non conforme presentazione del sempre vivace Vittorio Sgarbi, è ospite il maestro del realismo Luciano Ventrone da me definito (se permettete) più che “iperrealista” il “superrealista”.
Ma realista in che senso? In competizione con la fotografia, che dico, la scavalca e la umilia con effetti di efficacia microscopica. E questo è pittura? È arte? È poesia? Saranno pure definizioni retoriche e abusate, ma ahimè senza quest’anima trasparente e impalpabile cos’è un dipinto se non manifestazione di pura tecnica e mestiere seppur eccellente e straripante?
Ventrone parla di astrazione nella sua pittura, ma astrazione dove? Come? Quando? Io non vedo che realismo ad alta definizione, maniacale speculazione da anatomista penale. E come insegna l’antico aneddoto: lo scienziato in cerca dell’anima, dopo accurata dissezione di un cadavere, non trovandola tra i visceri sentenziò “l’anima non esiste!”
Così si potrebbe dire del pittore: anatomizza ma non rintraccia l’anima.
Spieghiamoci. C’è realismo e realismo. Caravaggio o Veermer insegnano. Certo, non possiamo sempre aspirare all’intensa, umanissima realtà del maestro bergamasco, alla sua drammatica lezione di dignità, o al concentrato, lirico, “sospeso” realismo del maestro olandese. Ma realismo comunque non si intenda. mai effetto speculare, apparenza superficiale o mero virtuosismo: questi od altri sono sempre stati nemici giurati del grande Realismo, gli equivoci formali che ne hanno distolto e deformato i caratteri essenziali.
Realismo in sé presuppone non solo tecnica obiettiva, ma soprattutto introspezione, meditata qualità di indagine emotiva, sensibilissima attenzione psicologica, astrazione.
Sì, astrazione, necessaria ovunque e sempre nell’opera d’arte. Astrazione ancor più rigorosa e difficile perché nella figurazione realistica c’è da misurarsi con uno spazio prospettico, con la tridimensionalità, con la plasticità, con gli effetti di luce, i rapporti anatomici: tutti elementi tecnicamente affascinanti che possono distogliere dalla “nuce” per così dire astratta della composizione.
Ma l’astrazione deve permeare e sostanziare di sé gli oggetti, le figure, gli spazi, deve prevalere aldisopra di ogni tecnicismo, altrimenti la vita stessa, il senso magico dell’essere verrebbero a mancare lasciando dietro di sé fredde e ceree sostanze inanimate.
Del pittore Ventrone possiamo elogiare l’accanito e dispendiosissimo lavoro di indagine minuta, l’accanimento tenace e rigoroso di un realismo di quasi religiosa attenzione. Ma basta per commuoverci?

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Luciano Ventrone
Matrix. Oltre la realtà / Beyond reality
Dal 19 novembre 2017 al 25 febbraio 2018

Amelia (Terni)
Museo Civico Archeologico e Pinacoteca “Edilberto Rosa”
piazza A. Vera, 10

Informazioni:
infoline 348.9726993
prenotazioni: Call center Sistema Museo 199.151.123;
Museo 0744/978120

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Girando per le chiese tra Caravaggio e i suoi seguaci

Per chi rimane in città e vuole godersi il fresco delle chiese romane, cercando contemporaneamente di approfondire stimoli e curiosità artistiche dimenticate durante l’inverno, proponiamo un lungo itinerario per conoscere le opere più famose del Caravaggio e del suoi seguaci.

Un viaggio pittorico, che arriva fino a Giovanni Serodine e si snoda attraverso i luoghi per cui le tele erano state ideate: le chiese. Non parleremo quindi — per brevità —delle opere conservate nei musei, in quanto luoghi estranei al contesto dell’opera e legati all’obbligatorietà del biglietto d’ingresso.

Michelangelo Merisi, detto il Caravaggio, giunge a Roma verso il 1593; la sua prima commissione pubblica lo impegnava a completare la Cappella Contarelli a san Luigi dei Francesi, iniziata dal Cavalier D’Arpino. Tre tele ispirate alla vita di san Matteo che esprimono la «filosofia» della pittura notturna come unica situazione per evidenziare la vita, la fantasia. Tagli di luce che mettono in risalto, facendole uscire dall’oscurità del fondo, le figure umane che si muovono sulla scena pittorica.

Dopo il san Matteo realizza la «Conversione di san Paolo» e la «Crocifissione di san Pietro» per santa Maria del Popolo, cimentandosi con i soggetti che Michelangelo Buonarroti realizzò poco meno di un secolo prima per la Cappella Paolina in Vaticano.

Nei primi anni del 1600 realizza per la chiesa di santa Maria della Concezione, detta dei Cappuccini, il «san Francesco in meditazione», situato nella sacrestia. Un’altra versione dell’opera era nella chiesa di San Pietro a Carpineto Romano e ora in deposito alla Galleria Nazionale d’Arte Antica di Palazzo Barberini di Roma e messi in mostra, in questo mese di luglio 2017, insieme alla doppia proposta del Caravaggio «La Flagellazione di Cristo», proveniente da Napoli, per festeggiare i 30 della F.E.C., Fondo Edifici Culto, proprietaria dei quattro dipinti.

Per la chiesa di sant’Agostino, poco lontana da san Luigi dei Francesi, dipinge tra il 1603 e il 1605 la «Madonna dei pellegrini» con l’esaltazione dei volumi per mezzo di un fascio di luce che taglia obliquo la tela da sinistra a destra.

Queste sono alcune delle opere del Caravaggio conservate a Roma che si possono vedere senza obbligo di biglietto, più elencate che descritte, ma le tele del Merisi sono da osservare dal vivo nelle chiese, per le penombre, per i primi piani delle mani e dei piedi, per le figure popolaresche che danno vita a santi, madonne e angeli in una resa «brutale» della realtà e la presenza della luce come apparizione simbolica della vita; la luce della notte che si contrappone alla pittura dell’alba (la morte) e a quella del sole (la rassegnazione).

Questa lezione nel trattare la materia pittorica in un campo contrastato di luci e ombre fece numerosi seguaci e ammiratori tra i quali Orazio Gentileschi e sua figlia Artemisia. Di Orazio Gentileschi si può vedere nella chiesa di san Silvestro in Capite (piazza San Silvestro) nella seconda cappella a destra, la pala d’altare dedicata a san Francesco; nella stesa chiesa sono presenti anche due tele attribuite a Orazio Borgiani, il quale è presente con «san Carlo che adora la santissima Trinità» nella chiesa di san Carlino alle Quattro Fontane.

Il «Battesimo di Gesù», nella cappella a destra dell’altare maggiore della chiesa di santa Maria della Pace, è di Orazio Gentileschi. La chiesa è possibile visitarla grazie ai volontari del Servizio civile che provvedono a tenerla aperta dalle ore 9.00 alle 18.00 dal lunedì al sabato.

Non lontano, verso piazza Navona, ecco Carlo Saraceni, nella chiesa di santa Maria dell’Anima, con i «Miracoli di San Bennone che riceve le chiavi» e «Il martirio di san Lamberto».

Proseguendo verso santa Maria sopra Minerva si trova la «Coronazione di spine» attribuita a Carlo Saraceni.

In santa Maria alla Scala la «Morte della Vergine» di Carlo Saraceni ha sostituito l’analogo quadro del Caravaggio, rifiutato dai Carmelitani in quanto ritenuto poco decoroso per come era rappresentata la Vergine, si trova in compagnia del fiammingo Gerrit Van Honthorst, noto anche come Gherardo delle Notti, con la «Decollazione del Battista».

La lezione della notte ritorna con il soprannome Gherardo delle Notti che il fiammingo Van Honthorst si guadagnò forse per la sua bravura nel dipingere i notturni o forse perché la sua ambizione lo portò a dover dipingere anche di notte, cosa non rara in quell’epoca, per avere maggiori guadagni.

Dopo il Gentileschi molti furono i seguaci del Merisi, italiani e stranieri, che lasciarono nelle chiese romane testimonianze del loro amore per la pittura caravaggesca come Giovanni Baglione, meglio affermatosi come scrittore di storia artistica, lasciò ai santi Cosma e Damiano (via dei Fori Imperiali l) la cappella della vergine Maria e di S. Giovanni e «Sant’Antonio da Padova con Gesù Bambino» di Giovanni Antonio Galli detto lo Spadarino.

Il Baglione è anche presente nell’altare di sinistra della chiesa fortificata dei santi Quattro Coronati con il «san Sebastiano» e a santa Maria della Consolazione con le «Storie di Gesù e della Vergine».

Nella chiesa di santa Maria in Aquiro (piazza Capranica) sono presenti due tele di Carlo Saraceni, «Nascita della Vergine» e «Presentazione al Tempio», nella terza cappella di destra, a Gherardo delle Notti viene attribuita la «Coronazione di Spine», al francese Trophine Bigot la «Flagellazione», mentre la «Deposizione» ad un ignoto caravaggesco.

Altre opere del Saraceni sono nella chiesa di santa Maria dell’Orto di san Lorenzo in Lucina, dove troviamo un altro caravaggesco, il francese Simone Vouet, cappella Alaleona, con due opere dedicate a san Francesco, mentre nella chiesa di san Francesco a Ripa Vouet è presente, nella prima cappella a sinistra e raramente illuminata, con la «Natività di Maria».

L’itinerario, forse un po’ schizofrenico e che non elenca tutti i tesori di ogni singola chiesa citata, si conclude con il quadro di Giovanni Serodine la «Decollazione del Battista» in San Lorenzo fuori le mura, dove la lezione caravaggesca viene assimilata e fatta propria precorrendo, per il suo originale modo di intendere la luce, Vermeer.

Un rimaneggiamento e aggiornamento
di luglio 2017
da il manifesto – cronaca romana
del 13 agosto 1988

 

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Qualcosa di più:

Doppi Caravaggio

La Finestra del Caravaggio

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Doppi Caravaggio

Nei secoli scorsi non era disdicevole, anche presso famiglie importanti, esporre copie di dipinti di autori celebri; non potendo possedere l’originale spesso si affidava a buoni artisti il compito di riprodurlo. Uno dei pittori più copiati fu, per la sua fama, il Caravaggio delle cui opere spesso esistono molte versioni; di lui due originali e due loro copie sono in esposizione presso la Galleria Nazionale di Arte Antica di Palazzo Barberini per permettere ai visitatori di confrontare i vari dipinti e notare le pur minime differenze.

I quattro dipinti sono di proprietà del F.E.C., Fondo Edifici Culto, che ha organizzato la mostra per festeggiare i 30 anni dalla sua costituzione; in realtà si tratta di una evoluzione dell’originario Fondo per il Culto fondato nel 1866 con lo scopo di gestire i beni architettonici, artistici e patrimoniali provenienti dalle confische di beni e proprietà di numerosi ordini religiosi. Attualmente il F.E.C. amministra, restaura e valorizza oltre 800 chiese e conventi, un fondo librario antico, un archivio storico ed infine la Foresta di Tarvisio estesa per 23.000 ettari.

I due originali esposti sono un dipinto da cavalletto rappresentante “San Francesco in meditazione” ed una pala d’altare raffigurante “La Flagellazione di Cristo” e sono in deposito il primo presso la Galleria di Palazzo Barberini l’altro presso il Museo di Capodimonte a Napoli, le copie sono conservate rispettivamente presso le chiese, di proprietà del F.E.C., dei Cappuccini a Roma e di San Domenico Maggiore a Napoli.

La storia delle due tele presenta aspetti oscuri e larghi vuoti nella documentazione: fino a metà ‘900 era conosciuto solo il San Francesco dei Cappuccini, a loro donato forse nei primi decenni del XVII secolo, ed era considerato autografo del Caravaggio finché nel 1968 fu rinvenuto nella chiesa di San Pietro a Carpineto Romano un quadro identico, probabile lascito di qualche famiglia nobile della zona, inizialmente ritenuto una copia; va tenuto presente che di questo soggetto esistono, in musei e collezioni private, più varianti.

Accurate ricerche tecniche, in occasione di restauri, hanno permesso di accertare, scoprendo pentimenti e rifacimenti presenti solo sull’originale, che tale è il dipinto di Carpineto mentre copia di alto livello è quello dei Cappuccini: la gran maggioranza dei critici e storici dell’arte concorda su questa tesi. Diversa è la storia della grande pala d’altare che fu commissionata nel primo ‘600 dai De Franchis per la loro cappella in San Domenico Maggiore, chiesa domenicana a Napoli, ma le prime fonti che la citano risalgono a decine di anni dopo; per ragioni ignote e francamente piuttosto singolari nella chiesa è apparsa quasi contemporaneamente un’altra versione della Flagellazione, ora collocata nella cappella del Rosario, che tradizionalmente, ma senza alcun fondamento, fu assegnata al caravaggesco Andrea Vaccaro.

Fonti scritte e guide della chiesa hanno creato non poca confusione mescolando i due quadri, che hanno peregrinato fra vari altari, le descrizioni e l’attribuzione. Accertamenti condotti in occasione della mostra hanno permesso di identificare con certezza l’originale caratterizzato da pentimenti ed addirittura dalla cancellazione di una figura, la copia sarà restaurata a fine mostra.

Oltre i due dipinti citati il F.E.C. possiede altri tre dipinti di Caravaggio: la “Crocefissione di San Pietro” e la “Conversione di San Paolo” nella Chiesa di Santa Maria del Popolo a Roma e il “Seppellimento di Santa Lucia” a Siracusa.

La mostra è quantitativamente minima ma qualitativamente di grande interesse sia per il visitatore medio che per gli studiosi: è supportata da un catalogo che analizza con accuratezza la storia dei dipinti caravaggeschi e delle copie, i restauri e gli studi svolti negli anni scorsi e completati in occasione della mostra.

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CARAVAGGIO NEL PATRIMONIO DEL F.E.C
Il Doppio e la Copia
Dal 22 giugno al 16 luglio 2017

Palazzo Barberini
via Quattro Fontane, 13
Roma

Orario:
da martedì alla domenica dalle 8.30 alle 19.00

Catalogo:
Gangemi Editore

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Qualcosa di più:

La Finestra del Caravaggio

Roma Itinerari: Girando le chiese tra Caravaggio e i suoi seguaci

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