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Collezionista che fugge dai sentimenti

“In ogni falso c’è sempre qualcosa di autentico” La trama del film è ormai nota, ma la riassumiamo per chiarezza. Virgil Oldman (Geoffrey Rush) è un quotato battitore d’aste internazionali, nonché raffinato collezionista. Sua “spalla” è Billy (Donald Sutherland), pittore suo amico da sempre, che in accordo con lui riesce sempre a comprare al ribasso tele di grande valore. Collezionista, Virgil custodisce in un caveau della sua villa un’impressionante quadreria di ritratti femminili (1), mentre inesistenti sono i suoi rapporti con le donne vere. Come il pianista Glenn Gould, Virgil è professionalmente perfetto ma non si leva mai i guanti. Ma un giorno le telefona in ufficio Claire, una giovane ereditiera, che chiede una stima per il patrimonio antiquario della cadente villa di famiglia. Virgil accetta, ma le trattative non sono facili: Claire è ambigua e non si mostra mai, al punto di far quasi fallire le trattative. Ma Virgil è attratto dal mistero. Claire gli svela alcuni dettagli di sé: malata di agorafobia, non esce da dodici anni. Virgil cerca di penetrare il mistero e la sua corazza comincia a sfaldarsi. Un giorno riesce a vederla e infine a incontrarla: lei è giovane e bella. Da quel momento la trama si evolve in raffinato romanzo d’amore, amore segreto e infine reso pubblico. In questo lo aiuta Robert, un giovane meccanico riparatore, pratico di donne e di ingranaggi, che diventa suo confidente e ricomporrà un antico automa dai pezzi recuperati in villa. Viene quindi il giorno in cui Oldman batte a Londra la sua ultima asta e sogna il lieto fine. Troverà invece la sua collezione derubata e la ragazza sparita assieme a Robert. Ultima beffa, l’autore del presunto ritratto della madre di Claire altro non è che l’amico Billy. La vera Claire è una donna autistica che staziona sempre al bar davanti alla villa; che gli svela di aver affittato la villa a gente del cinema ( ! ) e di aver visto la ragazza entrare e uscire giorno e notte. Virgil finirà demente in una casa di riposo, ma nell’ultimo flash-back lo vediamo a Praga, ancora lucido, mentre attende invano una donna in un locale dove Claire le aveva confidato di aver conosciuto i suoi ultimi momenti felici. Un locale – per inciso – pieno di ingranaggi e congegni meccanici, in linea con l’orologio della città mitteleuropea. Proprio in una mitteleuropa ricreata ma verosimile è infatti ambientato il film, peraltro poco italiano e direi anche molto anglofilo. Questo però senza scivolare in quello stile c.d. internazionale tipico delle coproduzioni.

Questa la trama, avvincente e resa in modo tale da far trattenere il fiato per le quasi due ore e mezza di proiezione, grazie a una sceneggiatura di ferro, a una regia senza smagliature e all’interpretazione degli attori. Siamo nel mondo delle grandi case d’asta, con pezzi e prezzi da capogiro. La ricostruzione è attendibile; meno credibile è che nessuno prenda informazioni sui clienti, ma il film non lascia mai tregua alla razionalità (2). Ci identifichiamo in Virgil e nella sua morbosa curiosità, e come lui siamo indifesi di fronte alla forza dei sentimenti. La figura del collezionista – uomo maturo, raramente sposato – è stata descritta e sceverata dai collezionisti stessi (penso a Salomon, al barone Barracco, a Helbig), che nelle loro memorie e cataloghi testimoniano una competenza pari al desiderio di possesso esclusivo delle opere d’arte. E sotto il prestigio del rango celano spesso qualità meno nobili: trafficano con tele rubate, sottostimano le opere che vogliono comprare e fanno invece salire le quotazioni di quelle che vendono. In questo Virgil Oldman è da manuale: la sua stima di una apparente copia del Ritratto di fanciulla di Petrus Christus e quella della Nascita di Venere di Bouguerau sono pezzi d’antologia. Purtroppo Virgil, come tanti professionisti che hanno sviluppato in eccesso una parte della loro personalità, è indifeso di fronte al sentimento. Coltiva il mito di Pigmalione, già tante volte visto al cinema (My fair Lady, Tutti i Vermeer a New York), ma finisce lentamente nell’ingranaggio che lui invece crede di controllare. In questo senso l’automa rimontato e oliato con pazienza pezzo per pezzo durante il film – citazione evidente da Hugo Cabret – si rivela fatale quanto la bambola di Metropolis di Fritz Lang (3). Non so se la critica abbia notato comunque questa strana nostalgia per il meraviglioso meccanico nell’epoca dell’elettronico. Ma in fondo l’illusione cinematografica preconizzata da Platone nel mito della caverna è divenuta realtà con la meccanica. Nella scena finale di Hugo Cabret un ex-militare si rialza e solo in quel momento ci accorgiamo della sua gamba meccanica. Ebbene, proprio i fratelli Lumière, inventori del cinematografo, furono decorati per aver progettato una protesi ad ingranaggi per i mutilati di guerra. Anche l’attrazione per l’antiquariato fa parte della modernità. Sappiamo tutto in ogni momento e le nostre sicurezze vengono alimentate in tempo reale dalle informazioni in rete. Ma degli oggetti antichi non sappiamo mai realmente nulla, a meno di non esser specialisti. La figura dell’antiquario rimane per molti tuttora ammantata di un alone di mistero, anche se di misterioso c’è poco: si tratta di cultura, esperienza, fortuna e un intuito per valutare e comprare per tempo quello che un giorno da vecchio diventerà antico e prezioso. E’ l’arte di sfruttare anche il tempo, e infatti il film finisce in un locale pieno di orologi. Il tempo può analizzarlo chi non vive solo nel presente; per questo la gente comune ha dell’antico una coscienza generica, è incapace di distinguere le stratificazioni temporali, le tecniche e i falsi. Quello sui falsi poi è un discorso che riempirebbe un libro. Qui accontentiamoci della stupenda battuta nel film: “In ogni falso c’è sempre qualcosa di autentico”.

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(1) Si spazia dal XV al XX secolo, in originale o (si suppone) in copia. Si riconoscono nella quadreria: la Fornarina di Raffaello, due opere di Tiziano e due del Bronzino, un Lorenzo di Credi, un Boccacino, un Andrea del Sarto, un Cranach, un Guido Reni, un Durer, un Rubens, un Goya e almeno un paio di Vigée-Le-Brun.. C’è il mediocre Morgan Weistling, ma non manca Dante Gabriel Rossetti e, per il moderno, sono riconoscibili un Renoir e un paio di Modigliani. Ma è una quadreria così affollata da sfidare uno storico dell’arte. (2) Come è inverosimile che durante l’inventario dei beni della villa gli stimatori impieghino al massimo due secondi per identificare e valutare i singoli pezzi, peraltro di ogni genere ed epoca. (3) Vedi alla voce Androide: http://it.wikipedia.org/wiki/Androide

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Trama: Virgil Oldman è un genio eccentrico, esperto d’arte, apprezzato e conosciuto in tutto il mondo. La sua vita scorre al riparo dai sentimenti, fin quando una donna misteriosa lo invita nella sua villa per effettuare una valutazione. Sarà l’inizio di un rapporto che sconvolgerà per sempre la sua vita.

Regia: Giuseppe Tornatore Sceneggiatura: Giuseppe Tornatore Attori: Geoffrey Rush, Jim Sturgess, Donald Sutherland, Sylvia Hoeks, Philip Jackson, Dermot Crowley, Liya Kebede

Fotografia: Fabio Zamarion Montaggio: Massimo Quaglia Musiche: Ennio Morricone Produzione: Paco Cinematografica Distribuzione: Warner Bros. Pictures Italia Paese: Italia 2012 Durata: 124 Min Formato: Colore