
In ogni guerra, accanto ai morti e alle macerie, c’è un’altra forma di distruzione: quella della cultura. Viene colpita silenziosamente, ma in modo sistematico. Le bombe spazzano via musei, archivi, monumenti millenari. I proiettili non uccidono solo corpi, ma anche libri, quadri, poesie, memorie. A morire non sono solo i civili, ma anche l’immaginazione e la voce di un popolo. Lo testimoniano con tragica chiarezza le guerre in corso in Ucraina e in Palestina.
La scrittrice ucraina Victoria Amelina è stata uccisa da un missile russo a Kramatorsk nel 2023. Stava raccogliendo testimonianze sui crimini di guerra per un libro intitolato War and Justice. La sua morte ha spento una delle voci più importanti della letteratura ucraina contemporanea, ma non ha cancellato il suo messaggio. Il suo lavoro vive, come vive il dolore che raccontava.
In Palestina, la devastazione non risparmia chi racconta. Il fotografo e regista Ismail Abu Hatab, noto per la mostra Between Sky & Sea, è stato ucciso da un missile israeliano che ha colpito il café al-Baqa a Gaza. Con lui è morta anche la pittrice Frans Al-Salmi, che appena un mese prima lo aveva ritratto. Quel caffè, rifugio di giornalisti e attivisti, è diventato un cratere di morte.
Nel raid è rimasta ferita anche la giornalista Bayan Abu Sultan. Nelle immagini circolate dopo l’attacco, il suo volto è coperto di sangue, la maglietta dice: “Normal is boring”. Un’amara ironia che, in Palestina, è diventata una forma di sopravvivenza.
E poi c’è Refaat Alareer, poeta e docente universitario, ucciso con la sua famiglia. Scriveva:
“Se devo morire, che porti speranza, che sia una storia.”
A dare voce a queste esistenze spezzate è l’antologia “Il loro grido è la mia voce. Poesie da Gaza” (Fazi Editore), con testi di poeti palestinesi scritti in condizioni estreme, molti dei quali sono stati uccisi dopo aver composto i propri versi. Il volume, curato da Antonio Bocchinfuso, Mario Soldaini e Leonardo Tosti, contiene una prefazione dello storico israeliano Ilan Pappé e testi introduttivi di Susan Abulhawa e Chris Hedges. Le traduzioni sono a cura di Nabil Bey Salameh, Ginevra Bompiani ed Enrico Terrinoni.
Queste poesie, nate nei rifugi, nelle tende dei campi profughi, tra i bombardamenti, non sono solo lamenti. Sono grida di esistenza, amore, memoria. Sono cultura che resiste alla cancellazione. Come dice il traduttore Salameh:
“Queste poesie portano con sé il suono delle strade di Gaza, il fruscio delle foglie che resistono al vento, il pianto dei bambini e il canto degli ulivi.”
Per ogni copia venduta, Fazi Editore devolverà 5 euro a EMERGENCY per l’assistenza sanitaria nella Striscia di Gaza.
Mentre gli artisti vengono colpiti, anche la memoria storica palestinese viene annientata. Secondo fonti internazionali e organizzazioni per la tutela dei beni culturali, dal 7 ottobre 2023 a oggi sono stati distrutti o gravemente danneggiati 186 edifici storici, 39 aree archeologiche, 21 moschee (inclusa la storica Moschea Al-Omari), 26 santuari e cinque chiese e monasteri. La cultura materiale, religiosa e archeologica di Gaza, testimonianza di secoli di storia, viene progressivamente cancellata.
Eppure, in mezzo alle macerie, gli artisti palestinesi non si arrendono: proprio in pieno conflitto, è stata organizzata, virtualmente e in divenire, la Biennale d’arte di Gaza, un atto radicale di speranza e dignità. L’arte continua a parlare anche quando tutto sembra perduto.
Simili devastazioni colpiscono anche l’Ucraina. Oltre agli ospedali, ai teatri e alle scuole, sono stati presi di mira musei, archivi, cattedrali, biblioteche. Ecco alcuni esempi:
- Il Museo nazionale letterario di Hryhoriy Skovoroda a Skovorodynivka, distrutto da un missile russo.
- L’Arkhip Kuindzhi Art Museum di Mariupol, ridotto in macerie.
- Il Museo delle tradizioni locali di Mariupol, incendiato dai bombardamenti.
- Il Museo di storia regionale di Kherson e la Cattedrale di Santa Caterina, saccheggiati.
- Il Museo di Lesya Ukrainka a Yalta, completamente devastato.
Il Consiglio d’Europa ha condannato queste azioni come atti deliberati di cancellazione culturale, evocando i criteri di genocidio. La distruzione della cultura, ricordano i giuristi, è uno strumento per sradicare l’identità di un popolo.
In Palestina come in Ucraina, la parola, l’immagine, la musica diventano strumenti di lotta, testimonianza e sopravvivenza. Uccidere artisti e distruggere musei significa tentare di cancellare la coscienza collettiva. Ma ogni poesia, ogni dipinto salvato, ogni fotografia sopravvissuta è una forma di resistenza.
Finché la cultura esiste, un popolo non muore. Finché un verso viene scritto, un dipinto completato, una mostra allestita sotto le bombe, la speranza resta viva. E la storia, per quanto offesa, continua a essere raccontata.
