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Una stampa fiamminga del ‘600

Maius, cioè maggio, uno dei dodici mesi della serie. Nella stampa vediamo in prospettiva un bel giardino all’italiana e in primo piano una scena di genere: alcuni gentiluomini s’intrattengono con le dame nella pausa di una battuta di falconeria.

Nella stampa si leggono in basso tre nomi in corsivo: Jodoc. de Momper invenit , Adrian. Collaert sculp., Phls Galle excud. , che per intero suonano: Jodocus de Momper invenit, Adrianus Collaert sculpsit, Philippus Galle excudit. E’ una stampa c.d. di riproduzione: Joos de Momper è l’autore dei quadri, mentre Adriaen Collaert è l’incisore che ha trasposto su lastra di rame il disegno per inciderla all’acquaforte e poi trarne le stampe per il suo editore, Philip Galle. Questa divisione del lavoro è comune nel mondo delle stampe antiche, che vede spesso una specializzazione dei ruoli. Siamo nelle Fiandre fra il 500 e il 600, e l’arte diventa quasi un’industria: le grandi tipografie riproducono a stampa i quadri famosi e ne diffondono in serie le immagini, rendendole popolari in tutta Europa. Una di queste imprese – la Plantiniana – aveva sede ad Anversa ed esiste ancora come museo. Fondata nel 1555 da Christofle Plantin la Plantiniana stampò più di 1500 opere e l’opera fu continuata da Balthasar Moretus, nipote diretto del fondatore e amico personale di Rubens, per il quale Philip Galle – editore della stampa che descriviamo – riportò in calcografia molte sue opere. Tra parentesi, Galle è il suocero del suo incisore: Adriaen Collaert ne ha sposato la figlia Justa, e bene ha fatto l’editore a legare saldamente alla sua impresa un artista di tale rango.

La stampa è di medio formato (143 x 207 mm.) e risale al 1610, quando Collaert era ormai in età matura – sessant’anni circa, per l’epoca già un anziano – e aveva già riprodotto a stampa una grande quantità di opere d’arte, oltre ad averne create da disegni suoi originali. La stampa era insieme al conio l’unico modo di riprodurre in serie le opere d’arte e diffonderne la popolarità sul mercato internazionale, e si è visto che Anversa – come Venezia – era un centro di produzione di livello sia per qualità che per capacità industriale. Quanto invece a Joos de Mompert il giovane (per distinguerlo dal nonno, anche lui pittore come suo padre), era un paesaggista e la sua attività ad Anversa è ben nota dal 1581 al 1635, Nel 1611 diventa decano della gilda di San Luca e anche uno dei suoi figli Philippe sarà pittore. Al nostro sono attribuiti almeno 500 quadri, ma pochi dei quali firmati. La produzione di quadri di genere – i paesaggi erano richiestissimi dal mercato – era quasi sempre opera di bottega, dove l’autore dello sfondo magari non era l’autore dei personaggi in primo piano, anche se Mompert si fa riconoscere per lo stile: frequenti i paesaggi di montagna e alcuni  stilemi assorbiti dai due Brueghel, con cui collaborava.

La trasposizione di un’immagine da un quadro a olio alla stampa su carta passava necessariamente per la grafica e Collaert, come Galle, da buon fiammingo era anche un accurato disegnatore. Chiaramente l’incisione è qualcosa di profondamente diverso dal quadro riprodotto: non era possibile stampare a colori o almeno non con gli effetti cromatici attuali, quindi la stampa è l’apoteosi del bianconero. Nel nostro caso la tecnica usata per incidere la lastra di rame sulla quale è stato riportato il disegno è l’acquaforte, che permette – a differenza della xilografia, incisione su matrice di legno – la gestione della profondità di campo.

L’acquaforte è una tecnica complessa e si basa sul potere corrosivo degli acidi e su quello protettivo della cera. Per semplificare: la lastra di rame viene ricoperta da un sottile strato di cera d’api, oppure bitume. Successivamente, con un qualsiasi strumento a punta, si asporta il materiale protettivo affinché restino scoperte le parti che poi verranno stampate; dopo di che si immerge la lastra acquaforte (come veniva anticamente chiamata la miscela formata da tre parti d’acqua e una di acido nitrico). L’acquaforte, con un’azione chiamata “morsura”, corrode le parti della lastra rimaste senza protezione. La lastra deve rimanere in acido per un tempo proporzionato al tipo di segno desiderato: più lunga sarà la morsura, più scuri saranno i segni. Una volta terminata l’operazione, si leva la cera e si usa la lastra come matrice tipografica, valendosi di uno speciale torchio “a stella”, tuttora in uso per le stampe d’arte.