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Armenia, la terra dei figli di Hayk

Piuttosto che concentrarci su un singolo stato, abbiamo pensato che un’introduzione ai luoghi e le culture del Caucaso fosse più interessante. Motivo per cui, dopo avervi mostrato l’Azerbaijan, passiamo all’Armenia.

Figli di Hayk

Gli armeni fanno risalire le proprie origini ad Hayk, un leggendario guerriero della regione che uccise il Nimrod, leggendario re mesopotamico. Oltre che a mostrare fin da subito i nemici naturali di questo popolo, il mito è ancor più interessante se si guardano alle origini del patriarca armeno. Egli era infatti discendente di Noè, il quale si fermò con la sua Arca proprio sul monte Ararat, luogo carico di sentimento e significato per questo popolo.

Armenia
Erevan

Alle origini mitiche, però, a lungo non seguì un impero e solo dopo grandi conflitti con gli ittiti nacque il primo regno locale. Quest’ultimo, però, vivrà assai a lungo un periodo di disordini politici, passando per le mani di: romani, parti, bizantini, sassanidi, arabi, mongoli e persiani. Nel 301 divenne il primo stato cristiano della Storia e dal 884 al 1045, però, il regno armeno godette di un’incredibile espansione sotto la dinastia dei Bagratidi, riuscendo in breve tempo a svilupparsi in tutta la regione.

Ani e turchi

Quest’ultimi costruirono la roccaforte di Ani, immensa città medievale, in grado di contenere fino a 100’000 abitanti. La nuova capitale era tanto ricca da essere paragonata a Baghdad, Roma o Costantinopoli e venne, anche per questo, soprannominata la “città dalle 1001 campane”. Le sorti di questa antica metropoli, in realtà, sono una perfetta metafora di ciò che accadde al resto del paese. Dopo lunghe guerre, infatti, la città cadde sotto il controllo dell’Impero ottomano nel 1579, avviando da allora un periodo di costante declino.

Armenia
Ricostruzione di Ani

Nel 1878, la regione di Kars cadde sotto il controllo dell’Impero russo, il quale ne sponsorizzò molto la rinascita anche in vista di una sempre più forte insofferenza armena verso i loro precedenti signori. Gli Ottomani avevano infatti donato loro grande dignità ad Istanbul istituendo il Patriarcato armeno, nel resto dell’Anatolia, però, la situazione non era sempre la stessa. Ciò farà sì che durante la Prima guerra mondiale, l’Impero ottomano attuerà uccisioni e deportazioni di massa, durante il quale moriranno dai 200’000 ai 1’800’000 armeni. Tali atti prenderanno poi il nome di Genocidio Armeno, uno dei momenti più bui di tutta la storia turca e caucasica. Con la sconfitta ottomana, vengono restituiti ai discendenti di Hayk gli antichi domini dell’Armenia storica,che vengono però, in buona parte, rapidamente riconquistati dai turchi, i quali proveranno anche ad eliminare definitivamente la fortezza di Ani, riuscendovi solo in parte.

Sfortunatamente per loro, gli Armeni non rivedranno il proprio stato autonomo fino al crollo dell’URSS, prima del quale saranno posti sotto la giurisdizione della Repubblica Transcaucasica. Da ciò nascerà poi il conflitto del Nagorno Karabakh con l’Azerbaijan.

Khalid Valisi
del 20 luglio 2019
Articolo originale
dal blog Medio Oriente e Dintorni


“Le civiltà del disagio” di Mohsin Hamid

Torniamo a parlarvi di uno dei nostri scrittori preferiti in assoluto, questa volta con il suo unico saggio. Mohsin Hamid ci permetterà di entrare nella sua vita, per raccontarci davvero cosa sia la globalizzazione.

Le civiltà del disagio

«Se la globalizzazione ha da prometterci qualcosa, qualcosa che possa spingerci ad accogliere a braccia aperte il caos che ne deriva, allora quel che ha da prometterci è questo: saremo piú liberi di inventare noi stessi». Con tale dichiarazione di intenti si apre questa raccolta di articoli e brevi saggi di uno dei piú provocatori e stimolanti narratori del nostro tempo. Ma nel mondo globalizzato abbiamo davvero la libertà di inventare noi stessi? Tutto sembra indicare il contrario, perché ogni pretesto è buono per imprigionarci in quelle «illusioni dilaganti, pericolose e potenti» che portano il nome di civiltà. Hamid lo chiama il giogo del depistaggio: «Ci viene detto di dimenticare le fonti del nostro disagio perché c’è in gioco qualcosa di piú importante: il destino della nostra civiltà».exit west

E cosí finisce per sembrarci inevitabile che provare inutilmente a respingere l’immigrazione e a sigillare le frontiere sia piú importante che porre rimedio al disordine economico e alle crescenti disparità sociali. Muovendosi fra i ricordi personali e la riflessione politica, fra la letteratura e la cronaca, Hamid guarda al mondo che ci circonda con gli occhi di uno scrittore cresciuto fra il Pakistan e gli Stati Uniti, vissuto a Londra e tornato di recente ad abitare a Lahore. E leggendolo noi scopriamo che forse è possibile liberarsi dal giogo del depistaggio, e «mettersi insieme per inventare un mondo post-civiltà, e quindi infinitamente piú civile».

Semplicemente Mohsin Hamid

Coloro che ci seguono, sanno del nostro debole per questo incredibile scrittore, uno dei pochi dei quali, siamo lieti di dirlo, abbiamo tutti i libri. La sua scrittura è magica per la capacità di essere sempre dolce e poetica anche trattando di temi spesso molto forti. “Le civiltà del disagio”, in particolare, è il suo libro più intimo in assoluto. Hamid ci invita a fare un vero e proprio percorso nella sua vita, al fine di mostrarci davvero cosa voglia dire la globalizzazione. La raccolta è divisa in 3 parti, volte ad una conoscenza sempre più graduale, atta a comprendere davvero il più possibile lo scrittore. Si parte con “Vita”, poi “Arte” e infine “Politica”, un vero e proprio esperimento psicologico, volto a metterci nei panni degli altri.

Un giorno, lungo un esile ruscello in alta montagna, un monaco e un saggista si incontrarono e si misero a conversare. I minuti passavano mentre i due se ne stavano seduti alla presenza delle libellule. A un certo punto al saggista parve evidente che la visione della vita del monaco, in precario equilibrio su un fondamento fideistico, era pronta ad essere smontata.

Il saggista sviluppò l’argomentazione necessaria con estrema minuziosità, terminando con queste parole: “Dato che non hai nessuna prova, devo concludere che ciò in cui credi non è che una tua invenzione”. “E allora?”, ribatté il monaco, con un sorriso tanto ostinato quanto sereno. “E allora? E allora tutto. Sei un monaco!”. Il monaco si tirò su la tunica e immerse nell’acqua la parte superiore di un polpaccio dalla muscolatura possente. “Sono stato io ad inventare me stesso, -disse.- fino a ieri ero un velocista olimpionico”. Il saggista lo fissò incredulo. “Inventare – spiegò il monaco – è bene”.

Mohsin Hamid
Mohsin Hamid

Uno degli elementi centrali è infatti la possibilità di “reinventarsi”, in un mondo che comunque lo farà per noi. Nemmeno l’anziano, infatti, vivrà nello stesso paese di quando era un ragazzo. Dobbiamo distaccarci dal ragionare secondo schemi e vedere il mondo nel suo complesso.

Le civiltà incoraggiano il fiorire delle nostre ipocrisie. E così facendo minano alla base l’unica promessa plausibile della globalizzazione, ovvero che saremo tutti liberi di inventare noi stessi. Perché, esattamente, un musulmano non può essere europeo? Perché una persona non religiosa non può essere pachistana? Perché un uomo non può essere donna? Perché una persona gay non può essere sposata?

Bastardi. Spuri. Mezzosangue. Reietti. Devianti. Eretici. Le nostre parole per dire l’ibridità sono spesso ingiuriose. Non dovrebbe essere così. L’ibridità non è necessariamente il problema.Potrebbe essere la soluzione. L’ibridità significa qualcosa di più che mera mescolanza tra gruppi. L’ibridità rivela che i confini tra i gruppi sono falsi. È questo è fondamentale, perché la creatività nasce dall’eterogeneità, dal rifiuto di una purezza mortifera. Se non ci fosse che un unico essere umano, la nostra specie si estinguerebbe.

Uno strumento per la globalizzazione

Non ci stancheremo mai di lodare i lavori di Hamid e questo libro non fa eccezione. Lo abbiamo riaperto per fare l’articolo e ne siamo rimasti folgorati. In un mondo che ormai, volenti o nolenti, è globalizzato, questo libro rappresenta una bussola fatta di ricordi, piccoli pensieri che insieme formano un uomo. Lo scrittore infatti è chiaro più e più volte: siamo formati da un insieme di esperienze, accettare eterogeneità e globalizzazione è il primo passo per operare, davvero, un cambiamento nel mondo. Per farlo, Hamid vi trasporterà nella sua vita, passata fra Lahore, New York e Londra, quella di un cittadino del mondo. Magico, come tutti i suoi libri.

del 7 febbraio 2019
Articolo originale
dal blog Medio Oriente e Dintorni

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Le civiltà del disagio
Dispacci da Lahore, New York e Londra
di Mohsin Hamid
Editore: Einaudi, 2016, pp.180
Prezzo: € 19,50

EAN:9788806225100

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8 anni fa la Rivoluzione egiziana

Il 25 gennaio del 2011 iniziava la più grande Rivoluzione di questo secolo. 8 anni fa 25’000 manifestanti scesero in piazza per protestare contro un nemico che affamava la propria gente, zittendola appena reagiva. Quell’anno nessun criminale riuscì più a far tacere il popolo, unito e compatto per la libertà.

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Prima della Rivoluzione

La Rivoluzione egiziana scoppiò a seguito di altre sommosse in paesi arabi, nate principalmente per le condizioni insopportabili a cui i vari regimi sottoponevano i loro cittadini. Le proteste che sfociarono a Tahrir sono legate filo doppio con quelle della Tunisia, scatenate dall’auto-immolazione Mohamed Bouazizi, un’ambulante al quale venne tolto persino il carretto. Questo portò a contestazioni sempre più accese da parte della popolazione, che il 14 gennaio riuscì a cacciare il dittatore Ben Ali dal paese dopo ben 24 anni di regime.

Ciò spinse sempre più egiziani a protestare, anche loro costretti a subire corruzione, tortura e mancanza di futuro. L’atmosfera di quei giorni è resa benissimo nel film Omicidio al Cairo, che si svolge proprio in quel momento storico, mostrandoci l’Egitto dagli occhi di un poliziotto. Proprio la violenza si era fatta protagonista di quegli anni, una miccia che non aspettava altro che la scintilla giusta.

25 gennaio

I gruppi dell’opposizione scelsero come data il 25 gennaio, proclamato dal 2009 “Festa nazionale della polizia”. Il piano era quello di organizzare una dimostrazione davanti al ministero dell’interno, affinché vi fosse finalmente rispetto per il popolo e per la democrazia. In brave tempo il sostegno a questa manifestazione fu immenso, riunendo partiti di idee ed aspirazioni  diverse e raccogliendo in breve tempo 20’000 adesioni. Non solo politici però, alla protesta aderirono fin da subito anche scrittori e uomini di spettacolo quali ‘Ala al Aswani e Khaled Aboul Naga.

Rivoluzione egiziana

Quel giorno, al Cairo e nell’intero Egitto, migliaia di persone si radunarono in piazza, decise più che mai ad aver giustizia contro chi troppo a lungo l’aveva tolta. Non avevano colore politico e avevano una sola bandiera, quella dell’Egitto.

Rivoluzione storica

La Rivoluzione ci colpì profondamente fin da subito e crediamo sia necessario dargli lo spazio che merita. Abbiamo deciso allora di celebrarla con una programmazione ad hoc da qui al 11 febbraio, giorno della vittoria del popolo egiziano. Nei prossimi giorni vi faremo sapere di più ma non temete: sul sito continueranno ad uscire anche tematiche diverse. Questa domenica, ad esempio, vi parliamo di Uiguri e Cina.

Rivoluzione egiziana

Pubblicato 25 gennaio 2019
Articolo originale
da Medio Oriente e Dintorni

“Cani sciolti” di Muhammad Aladdin

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Un romanzo paragonabile a “Gli sdraiati” di Michele Serra, un nuovo modo di guardare alla gioventù egiziana autrice delle rivolte di Tahrir.

Cani sciolti

Per guadagnarsi da vivere, Ahmed fa lo scrittore di racconti pornografici per il sito odesk.com. Ahmed ha due cari amici: El-Loul, regista televisivo fallito, che si sta rilanciando nella carriera di sceneggiatore e manager di danzatrici del ventre “di serie C”, e Abdallah, il suo amico d’infanzia, tossicodipendente, di famiglia abbiente e menefreghista nei confronti della vita.Cani sciolti

Seguendo le vite di questi tre personaggi nelle intricate e vocianti strade cairote, nei locali notturni, nelle desert-road lontane dalla grande metropoli, il lettore ha uno sguardo su una parte della popolazione egiziana: i cosiddetti “cani sciolti”, giovani lontani dalla morale tradizionalista, liberi da ogni costrizione di natura sociale e abituati a cavarsela in ogni situazione. Sono i giovani che hanno dato vita alle proteste di piazza e anche quelli che erano in piazza al soldo dei governi, come teppisti e picchiatori.

Il nuovo Egitto

Se scrittori come Nagib Mahfuz e ‘Ala al Aswani sono sopratutto raffigurazione del ‘900 egiziano, Muhammad Aladdin rappresenta gli anni 2000 e lo scontro fra generazionale. I ragazzi di Aladdin appartengono al nuovo millennio e alla disillusione che sempre di più si è fatta strada nell’Egitto.

Cani sciolti
Muhammad Aladdin

Questa generazione assomiglia molto a quella de “Gli sdraiati” di Michele Serra: dei giovani più impegnati a passare il loro tempo, meglio se nella maniera più tranquilla possibile. Muhammad Aladdin è stato colui che per primo ha smascherato davanti all’Egitto i problemi che pensava di aver nascosto, esponendoli in tutta la loro violenza.

Generazione Mubarak

Nel romanzo appare anche evidente come questa mancanza di prospettiva si sia fatta sempre più evidente negli ultimi tempi, colpendo sopratutto le ultime generazioni. Se infatti con Nasser l’Egitto ebbe uno vero e proprio salto come civiltà araba, ciò non avvenne con i suoi successori.

Cani sciolti

Il governo Mubarak in particolare puntò molto sulla stabilizzazione della ricchezza creando una disperazione sociale sempre più forte e scoppiata poi a Tahrir. Un romanzo utile per capire il nuovo Egitto e il suo futuro.

Pubblicato 26 novembre 2018
Articolo originale
da Medio Oriente e Dintorni

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Cani sciolti
Muhammad Aladdin
Traduttore: Barbara Benini
Editore: Il Sirente, 2015, p. 105
Prezzo: € 15,00

EAN: 9788887847499

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