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La Bellezza Ritrovata

È il titolo di una mostra piccola, ma di estremo interesse, organizzata dal Centro Europeo per il Turismo e la Cultura e dall’Assessorato alla Crescita Culturale di Roma Capitale ed ospitata in locali al piano terra dei Musei Capitolini dove un tempo era la sede delle Università di Arti e Mestieri.

La mostra è articolata in tre sezioni che presentano i tre maggiori pericoli che insidiano la bellezza dell’arte: i furti, le catastrofi naturali, le guerre. L’esposizione si apre con due vasi antichi, un cratere lucano del IV secolo a.C. ed un’hydria etrusca del VI secolo creati ad imitazione di vasi greci da maestranze locali. Frutto di scavi clandestini erano finiti in Svizzera da cui, con l’ausilio delle autorità locali, sono stati recuperati dai Carabinieri del Comando Tutela Patrimonio Culturale. Risvolti di mistero avvolgono le opere esposte nella seconda sala: parecchi anni fa il Museo Nazionale San Matteo di Pisa affidò alcuni quadri ad un restauratore che ne restituì solo una parte vendendone altri.

Per disattenzione o peggio la sparizione fu scoperta tempo dopo e sulle tracce del furto si sono lanciati i Carabinieri; operazione non facile in quanto i quadri nel frattempo erano passati per molte mani comunque alla fine, tranne due, sono stati recuperati. Sono opere di soggetto religioso di scuola cinquecentesca italiana su cui spicca un olio su tavola a fondo oro dipinta dal fiammingo Quentin Metsys.

Segue la sezione che presenta opere provenienti da chiese e musei delle zone terremotate delle Marche, sono esposte tele di buoni artisti di fine ‘600 ed un pregevole Cristo ligneo scolpito poco dopo l’anno 1000, manca delle braccia ed è vestito con una lunga tunica.

L’ultima sezione riserva una sorpresa, nel 1943 Benevento fu bombardata dagli Alleati e la Cattedrale fu quasi distrutta con la perdita dei due bellissimi amboni medioevali di cui fu recuperata una parte delle sculture divise tra Museo del Sannio e Museo Diocesano.

Soltanto nel 1980, in occasione del terremoto dell’Irpinia, riordinando reperti accatastati nel primo dopoguerra, furono ritrovati leoni e grifi stilofori, statue e frammenti di colonne.

Se fosse tecnicamente possibile sarebbe interessante prevedere una ricostruzione ed un riposizionamento nel sito originale di uno o di tutti e due gli amboni. Scampato alla guerra anche il Tesoro della Cattedrale dovuto all’opera del Cardinale Vincenzo Maria Orsini poi divenuto Papa, tra il 1724 e il 1730, con il nome di Benedetto XIII; tra i vari reperti di oreficeria spicca un ostensorio coperto di grani di corallo, opera di orafi trapanesi.

È una mostra molto piccola ma con opere di qualità e con un elevato significato simbolico sulla bellezza dell’arte e sui pericoli che su di lei incombono.

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LA BELLEZZA RITROVATA
Arte negata e riconquistata in mostra
Dal 2 giugno al 26 novembre 2017

Musei Capitolini (Palazzo dei Conservatori)
Roma

Orario:
tutti i giorni
9.30 – 19.30
la biglietteria chiude un’ora prima
Catalogo:
Gangemi Editore

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Il pittore e il mistero svelato

Esaminiamo la frase che sembra il titolo di un libro giallo. Il pittore: Bernardo di Betto più noto come Pintoricchio, soprannome originato unendo la sua professione con una corporatura minuta, nato a Perugia intorno al 1450 iniziò il suo apprendistato, non conosciuto, presso pittori locali associandosi poi con il Perugino.

La sua prima opera nota è la partecipazione al cantiere dell’Oratorio di San Bernardino a Perugia, fu poi a Roma con il Perugino nella Cappella Sistina; nell’Urbe dipinse nella Cappella Bufalini nella chiesa dell’Aracoeli, nel Palazzo Della Rovere, ora dei Penitenzieri, in Borgo e a lui e ai suoi collaboratori sono attribuite due, forse quattro, cappelle in Santa Maria del Popolo. Entrato in contatto con il Papa Alessandro VI Borgia fu chiamato ad affrescare l’appartamento papale; insieme ai suoi collaboratori Piermatteo d’Amelia, Raffaellino del Garbo, Pellegrino Tibaldi, coprì le pareti con una mirabile serie di dipinti seguendo una precisa iconografia religiosa.

Operò anche a Castel Sant’Angelo, intervenendo nella decorazione di un torrione costruito a picco sul fiume e demolito a metà ‘600, nel grande affresco del soffitto del coro di Santa Maria del Popolo e nella Cappella Baglioni a Spello; a Siena dipinse la Libreria Piccolomini nel Duomo. Oltre che per questi grandi cicli di affreschi fu abile pittore di cavalletto lavorando per committenti religiosi e laici. Ricco e famoso morì a Siena l’11 dicembre 1513. Pittore pienamente inserito nel Rinascimento si contraddistinse per il suo stile calligrafico e minuto, per le sue figure composte dalle espressioni serene, per il suo riferirsi a reminiscenze gotiche, per la scelta dei colori sontuosi ed eleganti. Passiamo ora alla seconda parte esaminando con occhio curioso la vita della Roma papale di fine ‘400 in cui operò il nostro Pintoricchio. All’epoca era pontefice Alessandro VI Borgia, di origine aragonese, molto discusso per la sua vita privata; prima di essere eletto papa aveva avuto, da una relaziona con Vannozza Cattanei, quattro figli tra cui Lucrezia e Cesare, detto il Valentino. Anche dopo la sua elezione continuò ad avere una vita dissoluta e dal punto di vista politico coinvolse lo Stato della Chiesa in guerre con altri stati italiani favorendo l’entrata in Italia del re di Francia Carlo VIII. Colto e mecenate di ogni tipo di arte, fece della Curia pontificia uno dei centri culturali più vivaci dell’Italia del Rinascimento. Chiamò a Roma il Pintoricchio per affrescare il suo appartamento in Vaticano e tra i vari personaggi fece dipingere se stesso avvolto in uno splendido piviale dorato, forse la figlia Lucrezia ed il principe Turco Djem, fratello del Sultano, allora in esilio a Roma. Alessandro VI, ultrasessantenne. si innamorò di una giovane, all’epoca ritenuta molto avvenente, conosciuta come “la bella Giulia”; nata Farnese, coniugata con un Orsini, madre di una bimba dalla dubbia paternità, la donna attirò l’attenzione del Borgia che se la tenne sempre vicina, con il tacito consenso del marito e della famiglia d’origine, creando scandalo nella pur tollerante Roma rinascimentale.

L’influenza di Giulia favorì la carriera del fratello Alessandro che a 25 anni divenne Cardinale oggetto di feroci pasquinate ; in giovane età ebbe figli che dettero origine alla dinastia dei Farnese duchi di Parma e Piacenza poi prese gli ordini sacri e divenne  papa con il nome di Paolo III. Fu grande mecenate, si dedicò alla riforma della Chiesa ed iniziò il Concilio di Trento. Tra le varie stanze dell’Appartamento Borgia, in gran parte ancora esistente e visitabile, il Pintoricchio, con il suo stile nitido ed elegante, affrescò la stanza da letto del papa decorando una parete con l’immagine del papa, con un manto rosso, inginocchiato davanti ad una Madonna che tra le braccia ha il Bambino che protende le mani, una delle quali tiene un globo aureo con una croce, verso il papa che a sua volta gli carezza un piede. Nella Corte cominciarono a correre voci malevole propalate da avversari dei Borgia e dei Farnese che sostenevano trattarsi del papa inginocchiato davanti a Giulia rappresentata come la Vergine.

La diceria continuò per decenni tanto che oltre 50 anni dopo il Vasari parlò di “Signora Giulia Farnese per il volto di Nostra Donna” e i papi successivi dovettero intervenire. Giulio II Della Rovere, immediato successore, si trasferì in un nuovo appartamento che fece affrescare da Raffaello e in quello Borgia furono ospitati i Cardinali Nipoti; Pio V Ghislieri, a metà ‘500, fece coprire l’affresco con tappezzerie, nel 1612, durante il pontificato di Paolo V Borghese, l’ambasciatore del Duca di Mantova corruppe un servitore con un paio di calze di seta, fece copiare il dipinto da un mediocre pittore, Pietro Fachetti, e lo inviò a Mantova.

A metà ‘600 papa Alessandro VII Chigi per porre fine ad una leggenda circolante da un secolo e mezzo  fece distruggere l’affresco;  frammenti con la testa della Madonna ed il Bambino furono salvati, incorniciati formando due piccoli quadri separati rimanendo per secoli dei Chigi e finendo poi, decontestualizzati ed ignorati, sul mercato antiquario. Soltanto negli ultimi anni i due frammenti sono stati abbinati al quadro di Mantova ricostruendo l’immagine dell’affresco perduto; già nel 2007 in una mostra a Palazzo Venezia è stato presentato il quadro con il Bambino destando grande interesse e curiosità per due mani, una su un fianco e l’altra intorno ad un piede, appartenenti a due diverse persone mostrando evidentemente che il Bambino faceva parte di un gruppo.

Successivamente è ricomparso, proveniente da una collezione privata, il piccolo quadro con il volto di una Madonna e la Sovrintendenza Capitolina unitamente all’Associazione Culturale MetaMorfosi e a Zetema Progetto Cultura ha organizzato una mostra che riunisce i due frammenti di affresco, il quadro di Mantova ed una trentina di opere, quadri, stampe, documenti riferibili all’attività del Pintoricchio. Ai Musei Capitolini è stata ricostruita una parte della vita culturale dell’ultimo ‘400 romano, riproducendo anche con gigantografie alcuni affreschi dell’Appartamento Borgia. Attraverso il confronto tra i due frammenti e la copia del Fachetti i curatori, Acidini, Buranelli, La Malfa, Strinati,  hanno ricostruito l’immagine dell’affresco originario e sono giunti ad una importante conclusione. L’eguaglianza Madonna-Giulia è insostenibile ed è una diceria falsa; il viso della Madonna non è un ritratto di Giulia, che forse è stata identificata in un affresco molto deteriorato nel castello farnesiano di Carbognano, ma è il tipico volto allungato delle Madonne del Pintoricchio che mantengono sempre un carattere di dolcezza, di soavità.

L’affresco avrebbe rappresentato l’investitura divina al papa Alessandro; non sarebbe il papa che ammira Giulia ma il Bambino, sorretto dalla Madonna, che concede al pontefice la potestà di Suo Vicario. Pittore identificato e mistero svelato.

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Pintoricchio. Pittore dei Borgia
Il mistero svelato di Giulia Farnese
Dal 19 maggio al 10 settembre 2017

Musei Capitolini (Palazzo Caffarelli)
Piazza del Campidoglio
Roma

Orari:
tutti i giorni 9.30 – 19.30 (la biglietteria chiude un’ora prima)

Ingresso:
€ 15 biglietto intero integrato Mostra + Museo (comprensivo della tassa del turismo per i non residenti a Roma);
€ 13 biglietto ridotto integrato Mostra + Museo, per i non residenti a Roma (comprensivo della tassa del turismo per i non residenti a Roma)
Gratuito per le categorie previste dalla tariffazione vigente

Informazioni:
tel. 060608 (tutti i giorni ore 9.00 – 19.00)

Catalogo:
Gangemi

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El Greco: Un’Annunciazione mistica e astratta

Mostre AK El Greco Annunciazione ai Musei CapitoliniUna sola opera è l’oggetto della nuova mostra inaugurata il 24 gennaio ai Musei Capitolini, L’Annunciazione di El Greco, proveniente dal Museo Thyssen Bornemisza di Madrid, in un progetto di scambio che ha già portato nella capitale spagnola la celebre Buona Ventura di Caravaggio.

Una singola opera che però rivela potentemente il genio visionario e irregolare dell’artista che la produsse.

Domínikos Theotokópoulos, meglio conosciuto con il soprannome in dialetto veneziano di El Greco (Candia, 1541-Toledo, 1614), fu un pittore di origine cretese formatosi in Italia, tra Venezia e Roma, divenuto la prima grande personalità di riferimento del Siglo de Oro in Spagna.

Dopo l’iniziazione presso la locale Scuola cretese, erede della tradizione bizantina ieratica, spirituale e cromaticamente esuberante, continuò la sua formazione in Italia, dove assimilò la pennellata libera e veloce dell’ultimo Tiziano (di cui fu forse “discepolo”), la tensione drammatica della pittura di Tintoretto e, in generale, si appropriò della locale cultura manierista, mostrando probabili influenze dalle figure allungate ed estremamente eleganti di Parmigianino.

A Roma si distinse, oltre che per il talento, anche per il suo carattere deciso e indisponente che gli procurò non pochi fastidi, come la cacciata da Palazzo Farnese per una lite con il cardinale Alessandro. Desta il sorriso la sua stroncatura di Michelangelo che, a suo avviso, «era un brav’uomo, ma non sapeva dipingere»; propose al papa Pio V il rifacimento del Giudizio Universale secondo modi più consoni alla dottrina cattolica ma, a dir la verità, non fu il solo a non capire la grandezza di quell’umanità derelitta, che pure il fidato Daniele da Volterra aveva provveduto ad “imbraghettare” per celarne le nudità più scandalose… Tuttavia il suo stile visionario e inconfondibile può dirsi maturato soltanto dopo l’arrivo a Toledo, nel 1577, a contatto con la fervida spiritualità della Chiesa cattolica spagnola del periodo della Controriforma.

Molto bene lo storico dell’arte Harold Wethey spiega che «anche se era greco di origine e italiano come preparazione artistica, l’artista si immerse così a fondo nell’ambiente profondamente religioso spagnolo da diventare l’artista visuale più rappresentativo del misticismo spagnolo».

Dominikos non aveva intenzione di passare il resto della sua vita a Toledo, ma ambiva ad una posizione ben più in vista come pittore di corte di Filippo II, sovrano molto esigente nella scelta dei maestri per decorare la nuova residenza dell’Escorial. Purtroppo due tele del nostro artista non piacquero al re ma il fallimento del progetto in grande fu consolato da un successo sicuro con le altre commissioni, che gli permisero un tenore di vita sempre molto alto e appagante.

La commissione in assoluto più pagata fu quella per il retablo destinato all’altare maggiore del Colegio de Nuestra Señora de la Encarnación di Madrid, composto da sei grandi tele alte più di tre metri e racchiuse in una complessa cornice lignea che comprendeva anche delle sculture.

La gigantesca pala d’altare fu realizzata da El Greco tra il 1594 e il 1600 e la nostra piccola Annunciazione era proprio il modello finale da presentare ai committenti per la relativa tela posta in opera , oggi al Museo del Prado. Essa costituiva la scena centrale del retablo che fu poi smembrato all’inizio dell’Ottocento con grande dispersione dei suoi pezzi. Il quadro è diviso in due registri, in basso la scena dell’Annunciazione dell’Angelo ad una Madonna turbata, in alto il concerto di angeli musicanti sulle nubi sorrette da vortici di cherubini. In mezzo il volo dello Spirito Santo che discende sulla Vergine e, squartando l’oscurità con il suo bagliore accecante, sembra planare anche sull’osservatore.

La composizione è tutta impostata verticalmente, seguendo l’innaturale allungamento delle figure totalmente prive di consistenza materiale, definite solo da una linea tormentata e dai contrasti di luce e ombra che rendono cangianti i colori acidi delle vesti. Sono sospese in una dimensione completamente astratta e trascendentale, intrisa di un misticismo religioso molto pungente. Infatti, l’uso di una luce sovrannaturale provoca bagliori improvvisi che rendono il freddo impasto cromatico instabile e vibrante, conferendo alla scena tutta la spettacolarità e l’indefinitezza di una visione religiosa. Siamo alle sorgenti della pittura astratta, molti secoli prima delle composizioni di Kandinskij. Caratteristica saliente di El Greco è la velocità di esecuzione, evidente in alcuni punti delle vesti dove egli con scioltezza stende il colore puro alla prima, alla veneziana. Attraverso una fusione ben calcolata tra personaggi e sfondo, El Greco precorre l’horror vacui che caratterizzerà prima i lavori di Cézanne e a seguire i quadri cubisti di Picasso e Braque e che affonda le sue radici nei mosaici bizantini.

L’analogia tra il roveto ardente di Mosé, che si infiamma senza consumarsi materialmente, e la Verginità di Maria stabilita dal teologo agostiniano Alonso de Orozco, ci aiuta a spiegare la presenza di quell’insolito simbolo nel contesto di un ‘Annunciazione. Tuttavia la prima traccia di questo uso la rintracciamo in una pala di Tiziano per la Chiesa di San Salvador a Venezia, a dimostrazione del bagaglio italiano che l’artista portò sempre e orgogliosamente con sé. Una lettura attenta dei diversi elementi iconografici ci conduce alla sorprendente scoperta: il soggetto vero del quadro non è l’Annunciazione bensì l’Incarnazione di Cristo sulla Terra, quel momento in cui l’Arcangelo Gabriele pronuncerà la frase «Lo Spirito Santo scenderà su di te, su te stenderà la sua ombra la potenza dell’Altissimo. Colui che nascerà sarà dunque santo e chiamato Figlio di Dio». In questo modo si spiega la presenza del roveto ardente e degli angeli musicanti, tipici delle scene di natività.

Il curatore della mostra, il dott. Sergio Guarino, sottolinea come negli stessi mesi della nascita a Roma del moderno classicismo di Annibale Carracci e del Naturalismo di Caravaggio, sancito dalla prima commissione pubblica per San Luigi dei Francesi, lo stile visionario ed espressionista di El Greco rappresentasse una terza alternativa completamente diversa. Dopo un lungo oblio subito dalla letteratura artistica, finalmente il Romanticismo riscopre questa originalissima figura di artista, celebrato come l’eroe romantico ideale, il «talentuoso», l’«incompreso», il «folle».

La strada era spianata per arrivare dritto all’ammirazione delle avanguardie del Novecento, dagli espressionisti, ai cubisti, a Chagall fino a Scipione della Scuola di via Cavour e Francis Bacon, che ne daranno una lettura estrema in chiave allucinatoria.

Mentre Picasso stava lavorando a Les Demoiselles d’Avignon, fece visita all’amico Ignacio Zuloaga nel suo atelier di Parigi e studiò l’Apertura del quinto sigillo dell’Apocalisse di El Greco (che era di proprietà di Zuloaga dal 1897). Picasso dirà che Les Demoiselles non sarebbero esistite senza il confronto con El Greco. Secondo Efi Foundoulaki, «pittori e teorici fin dall’inizio del XX secolo ‘scoprirono’ un nuovo El Greco ma, nel mentre, scoprirono anche se stessi».

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L’Annunciazione di El Greco
Dal 24 gennaio al 17 aprile 2017

Roma
Musei Capitolini
Piano terra – Palazzo dei Conservatori

Orario
tutti i giorni 9.30-19.30

Ingresso:
la biglietteria chiude un’ora prima

gratuito per i residenti a Roma e nell’area della Città Metropolitana nella prima domenica di ogni mese

biglietto integrato mostre e Musei Capitolini
intero € 15,00
ridotto € 13,00 per i cittadini residenti nel territorio di Roma Capitale (mediante esibizione di valido documento che attesti la residenza):
intero € 13,00
ridotto € 11,00

Informazioni:
tel. 060608
utti i giorni dalle 9.00 alle 21.00

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L’Età dell’Angoscia

L’Età dell’Angoscia è il titolo piuttosto singolare di una mostra che si tiene presso i Musei Capitolini, il sottotitolo identifica l’età, da Commodo a Diocleziano. Se si cambiano i nomi attualizzandoli c’è una impressionante somiglianza tra la decadenza dell’ Impero Romano e la nostra epoca; crisi politica, economica, sociale, demografica, infiltrazione prima pacifica e poi violenta dei barbari, commercio e produzione stagnanti, corruzione, sfiducia nel futuro, rassegnazione, caduta degli ideali, egoismo sfrenato. Sembra di parlare dei tempi nostri invece la mostra si riferisce ad un periodo di 120 anni intercorsi tra il regno di Commodo e quello di Diocleziano. Con il primo, figlio di Marco Aurelio, si esaurisce l’epoca d’oro dell’impero e comincia il duro III secolo che vede l’inizio del tramonto della civiltà romana. Naturalmente non fu una continua decadenza, si ebbero periodi di riscossa con imperatori capaci che riuscirono per qualche tempo a rallentare gli eventi che però poi ripresero la loro parabola discendente, Diocleziano fu esponente di un gruppo di imperatori di origine provinciale che per qualche decennio sembrò far rivivere i fasti dell’impero. Invano, le sorti continuarono a precipitare, più cause concorsero: la continua pressione sui confini richiese un forte aumento delle spese militari per pagare un numeroso esercito mercenario e questo significò un più che rilevante incremento della tassazione e la formazione di una eccessiva, pignola e corrotta burocrazia che avrebbe dovuto controllare il gettito fiscale e poi epidemie e crescente inflazione. In conseguenza produzione e commercio incontrarono maggiori difficoltà e le vie terrestri e marittime furono insidiate da sempre più numerosi fuorilegge. Quello che soprattutto andò in crisi fu il morale angustiato da guerre intestine tra imperatori e usurpatori e da continui scontri con vari popoli invasori fino a giungere alla cattura di Valerianoad opera dei Parti verso la metà del III secolo d. C. La mostra va inserita in un ciclo iniziato nel 2010 con “ l’Età della Conquista” e nel 2012 con “ l’Età dell’Equilibrio” che hanno esaminato il periodo di sviluppo della civiltà Romana con la conquista del Mediterraneo e poi l’epoca d’oro dell’estensione di tale civiltà a gran parte del mondo allora conosciuto; la terza “ Ritratti. Le tante facce del potere” ha presentato le immagini degli uomini che furono pietre miliari della storia romana, con l’ultima infine si esamina il declino, naturalmente come nelle precedenti, dal punto di vista artistico, in particolare scultoreo.
Sono esposti circa 240 pezzi, quasi tutti di scultura ma con alcuni affreschi staccati e qualche pezzo di argenteria, provenienti da molti musei italiani ed esteri, l’organizzazione è della Sopraintendenza, di Zetema e di MondoMostre.
L’esposizione è articolata su sette sezioni che fanno perno sugli aspetti più rilevanti della storia del III secolo: il gran numero di imperatori, quasi tutti deceduti di morte violenta, l’invadenza dell’esercito che innalza e depone i sovrani, il grande sviluppo delle religioni misteriche di origine orientale; in un’epoca di turbamento e di caduta di certezze la religione ufficiale tutta esterna e pubblica, quasi una ostentazione di fedeltà a Roma eterna e al suo rappresentante terreno, l’imperatore, non bastava più, si ricorreva a religioni oscure ed elitarie che assicuravano un futuro che si sperava migliore del presente. La prima sezione espone oltre 90 ritratti parte di uomini, donne e fanciulli ignoti, parte sono stati riconosciuti come ritratti di imperatori, truci, accigliati, con volti espressivi.
La seconda presenta l’esercito, la terza la città di Roma con il nuovo aspetto edilizio urbano, la quarta, la religione, con le effigi delle nuove divinità: Sabazio, Cibele, Giove Dolicheno, Iside, Mitra, comincia ad intravedersi qualche immagine che può apparire cristiana.
Nella quinta le ricche dimore e i loro arredi esibiscono frammenti, anche pittorici, di quello che fu l’arredamento delle domus di nobili e senatori; la sezione vivere e morire per l’impero getta uno sguardo sulla vita dei provinciali, infine l’ultima espone 24 opere di carattere funerario che mostrano l’evolversi del gusto in materia di sepoltura.
Dopo l’emozionante cavalcata nel III secolo si resta in attesa, per il 2016, dell’ultima mostra del ciclo “Costruire un impero” che tratterà dell’aspetto architettonico della civiltà Romana e che i curatori assicurano sarà di grande impatto ed interesse.

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00 Mostre angoscia 1_sarcofago_a_lenos_con_leone_e_antilope_galleryL’ETÀ DELL’ANGOSCIA
Da Commodo a Diocleziano (180-305 d.C.)
Dal 28 gennaio al 4 ottobre 2015

Roma
Musei Capitolini

Orario:
da martedì a domenica
dalle 9.00 alle 20.00
chiuso il lunedì e il 1 maggio
la biglietteria chiude un’ora prima

Informazioni:
Musei Capitolini
http://www.museicapitolini.org/mostre_ed_eventi/mostre/l_eta_dell_angoscia

00 Mostre angoscia 4_statua_maschile_in_toga_galleryIngresso:
il biglietto permette l’ingresso alle mostre “L’età dell’angoscia”, “Marsia. La superbia punita” e ai Musei Capitolini
Intero € 15,00
Ridotto € 13,00
Ridottissimo € 2,00

Per i cittadini residenti nel territorio di Roma Capitale (mediante esibizione di valido documento che attesti la residenza):
Intero € 13,00
Ridotto € 11,00
Ridottissimo € 2,00

Catalogo:
MondoMostre

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La spina nel piede

Alcune sale dei Musei Capitolini in questi giorni sono, e lo saranno fino al 25 maggio, affollate d’immagini di un ragazzo seduto e chino su un piede per togliersi una spina. La mostra, organizzata da Zetema e curata da Claudio Parisi Presicce, ospita 45 opere e si basa su un antico bronzo romano noto da secoli come lo Spinario contornato da copie ed imitazioni più o meno fedeli che coprono un periodo che va dall’età classica all’800. La statua sta al Museo dal 1471 quando Papa Sisto IV donò al Popolo Romano un certo numero di opere d’arte antica già nel Patriarchio Lateranense ma risulta citata già da alcuni viaggiatori medioevali che la videro e la ritennero di un dio pagano talvolta giudicato negativamente per la sua nudità. Si tratta di un antico bronzo fuso a cera persa e costituito da vari pezzi assemblati, recenti studi hanno confermato che testa e corpo hanno origini diverse, la prima di V secolo a.C. ed il secondo di epoca ellenistica; si pensa siano stati uniti alla fine del I secolo a.C. e si giustifica questa convinzione esaminando la capigliatura che ha una posizione statica di una figura in piedi e non spiovente di un capo chino in avanti.

Le ragioni di questo assemblaggio forse possono essere motivate dalla moda che in epoca augustea ebbe la rievocazione del mondo pastorale, arcadico, idilliaco; il giovane pastorello colto in un momento realistico rispondeva al gusto delle classi agiate dell’epoca. Altra teoria vuole che simboleggi il giovane figlio di Enea, Ascano Iulo progenitore della gens Giulia a cui appartennero Cesare ed Augusto, a dimostrazione di ciò si fa notare un particolare ciuffo di capelli nell’acconciatura del giovane, presente solo in alcuni esemplari, e che avrebbe un carattere sacro. Pochi secoli fa invece si sosteneva che la statua rappresentasse un pastorello di nome Mazio che, incaricato di recapitare un importante dispaccio militare, a somiglianza del Tamburino Sardo di Deamicisiana memoria, avrebbe corso a lungo con una spina nel piede togliendosela solo dopo aver recapitato il messaggio.

La popolarità dello Spinario è stata ampia nei secoli dando vita ad un gran numero di copie e varianti. addirittura in epoca romana con due tipi differenti di testa, altri esemplari esposti sono di epoca rinascimentale con piccoli bronzetti ed esemplari in terracotta tra cui un’opera del Sansovino; una copia perfetta, proveniente dal Louvre, fu commissionata da un Cardinale d’Este per farne dono al re di Francia Francesco I. A mostrare la diffusione dell’iconografia della statua sono in mostra anche stampe e documenti cartacei e tre dipinti di epoca tardo barocca, due con figure non giovanili che si tolgono la spina dal piede ed una visione di Villa Aldobrandini con numerose statue sulle terrazze e tra loro un grande Spinario. Interessò anche i commissari di Napoleone che lo spedirono al Louvre da cui tornò nel 1818.

Da più di due millenni il misterioso ragazzo che si toglie la spina affascina chi lo ammira e ora, in mostra, attorniato da parecchi suoi simili, continua a destare l’interesse storico e artistico dei visitatori.

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Mostre Spinario 33SPINARIO

Storia e fortuna

Dal 5 febbraio al 25 maggio 2014

Roma

Musei Capitolini

Palazzo dei Conservatori

Orari:

da martedì alla domenica

dalle 9.00 alle 20.00

Catalogo:

De Luca

Informazioni:

tel. 060608 (tutti i giorni dalle 9.00 alle 21.00)

http://www.museicapitolini.org

http://www.museiincomuneroma.it

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