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Critici e salme

Credo che l’opportunità di scandalizzarsi, oggi come oggi, coi nefasti e le ordinarie follie, sia cosa che sa di malsane antichità borghesi. Chi si “scandalizza” tradisce sempre un preteso perbenismo che francamente, a torto o a ragione, sa di buffo “demodé”. Quindi non dirò di essermi scandalizzato per lo scherno e il dileggio indirizzato dal pur autorevole storico dell’Arte Tomaso Montanari alla salma ancor tiepida di Zeffirelli.

Allora dissi (sui cosiddetti “social”) che pur a buona ragione fosse criticabilissima la presunta arte del regista, fosse a dir poco inelegante appioppare epiteti derisori al defunto. Io stesso mi sentìi di ribadire quanto “corriva ed edonistica” fosse la creatività zeffirelliana, “priva di effettiva e profonda qualità espressiva” (mi cito a memoria). Tutto questo per dire che la libertà critica, sopratutto di uno “specialista” ben accreditato, fosse sempre doverosa pur se spietata, anche nell’occasione di plateali funerali quasi di Stato (sicuramente esagerati).

Del resto l’acrèdine del Montanari nei confronti del regista/scenografo toscano ha parecchi antecedenti : leggo (su La Repubblica del 17 Marzo 2017): “Personalmente credo che il suo posto nei libri di Storia dello Spettacolo sarà modesto, certo assai più modesto di quanto pensi lui stesso…”. Ecco, così va già meglio, un pò di ironia, una punta di humour, il necessario distacco… è la misura giusta.

Un encomiabile distacco sopratutto nei confronti di uno Zeffirelli già molto anziano, ma ancora riverito, omaggiato, e per dirla tutta ancor “potente” sui “media” e nell’acquisizione corrente delle masse. È per questo che sorprende ( rinuncio alla parola “scandalizza”) l’infierire pur grossolano sul defunto “maestro”. Noi critici, (scusate, nel mio piccolo mi ci metto anch’io..) abbiamo un dovere fondamentale: criticare sì, ma con le giuste argomentazioni e con gli strumenti pur impietosi del nostro mestiere; approfondire e motivare tutti i “come” e i “perché” inerenti all’argomento.

Il pubblico, quello più serio e attento, pretende questo da noi. L’irrisione e la beffa, se non la “parolaccia”, lasciamola ai frequentatori ossessivi dei “social”. Per chi sa “vedere” non c’è niente di meglio che riuscire a far “vedere” anche chi ha gli occhi chiusi.

Per gli Zeffirelli di turno (quanti ce ne sono stati! Osannati e poi dimenticati…) è di prammatica la frase: “Il tempo è galantuomo!”… Ma poi lo è veramente? Mi vengono i brividi a sapere quanti grandi e veri artisti muffiscono tristemente negli scantinati della ingiusta memoria collettiva: emergeranno mai al giusto tributo? E qual’è il tempo giusto per un artista?.. . Che domanda!.. Forse anche in questo vige l’impero tirannico della Moda… Pace quindi al preteso maestro Zeffirelli e ai suoi “feuilleton” ben mascherati da pregiate scenografie e… pace in terra ai critici di buona volontà!

2 giugno di polemiche

La festa della Repubblica dovrebbe essere un momento di unione di tutte le componenti civili di una società, e invece quest’anno si è visto di tutto: reparti ridotti all’osso, frasi insolite per un presidente della Camera, provocatorie assenze di generali in pensione e di politici, parole come “inclusione” lasciate nell’ambiguità iniziale. Insomma, non ci siamo fatti mancare niente. Visto che io la parata del 2 giugno la seguo o vi partecipo da sempre in prima persona, mi sia permessa qualche osservazione personale.

La prima: la festa della Repubblica ha smesso da almeno dieci anni di essere celebrata con una parata esclusivamente militare. Quest’anno si sono visti 300 sindaci sfilare con la fascia tricolore, ma già il presidente Napolitano aveva gradualmente escluso dalla sfilata i mezzi meccanici e inserito come novità la partecipazione dei gonfaloni delle Regioni e delle organizzazioni di Protezione civile. I mezzi erano comunque ormai pochi, almeno per chi come me si ricorda le sfilate degli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso, quando i reparti sfilavano per battaglioni (falangi di 600 uomini; quest’anno gli scaglioni ne contavano 54!) e le vibrazioni di decine di carri armati facevano tremare pure il Colosseo. E pur militarista quale sono, sono anche il primo a dire che la festa della Repubblica deve mostrare pubblicamente tutte le componenti della società civile e non solo i militari in divisa e i corpi armati dello Stato. I volontari del Servizio civile universale sfilavano anche due anni fa, quindi inutile sbeffeggiarli. Resta casomai da chiarire cosa significa “società civile” e cosa volesse dire realmente il Ministro quando ha lanciato la parola d’ordine “inclusione” senza spiegarne il senso completo. Sulla società civile abbiamo una terminologia tradizionalmente chiara: sono cives quelli che godono dei diritti civili e hanno il diritto e dovere di esercitarli. In tempi neanche antichi i diritti civili riguardavano – come i servizi – solo una parte della società, ora sono stati gradualmente estesi verso l’esterno. Il limite in questo momento sono gli ultimi arrivati, i migranti e i nomadi, e si è visto quali danni produce l’accoglienza senza integrazione o, come oggi è più frequente dire, l’inclusione. Per quanto ne ho capito parlandone in giro, può darsi che ieri si volesse estendere la partecipazione alla sfilata (inutile ormai chiamarla parata) anche ad associazioni civili assistenziali o umanitarie, trovando però la discreta ma ferma opposizione dei vertici militari, i quali fanno meno rumore dei politici ma sanno bene come muoversi.

E qui passiamo al secondo argomento: l’ostilità dei vertici militari. Il Ministro Trenta non piace agli ufficiali di Stato Maggiore, i quali non hanno digerito i tagli alla Difesa, il Sindacato militare, l’inchiesta sui danni da uranio impoverito e i tagli alle pensioni dei generali con incarichi speciali. Sicuramente il Ministro si trova stretto fra Salvini che vorrebbe la sua testa e il proprio partito, che pur essendo pacifista e antimilitarista ottiene la Difesa e ovviamente impone le sue idee in materia. Sia chiaro: il “Dual Use” non lo ha inventato la Trenta: armi a parte, le Forze armate possono collaborare con la società civile e in fondo l’hanno sempre fatto. Piuttosto – cito dalla stampa di vario colore – è ingiusto chiamare la Trieste “la nuova nave dei Crociati”, come è ridicolo definirla “una nave di pace” o meravigliarsi sentendo dire: “ma imbarcherà anche aerei e armi”. Il compito della Trieste è il controllo del Mediterraneo, l’unica zona che ci dovrebbe interessare, ma non è una nave ospedale o un traghetto per migranti, anche se ha stive capaci e ben due sale operatorie, come la Cavour. Anche la nave San Giusto era stata finanziata con i fondi della Protezione civile, avendo spiccate capacità di trasporto e scarico rapido. Né è colpa della Trenta se i soldati professionisti sono ormai più che quarantenni: come nella società civile, le assunzioni sono state bloccate per anni e non c’è stato ricambio. E quando i soldi mancano, le caserme non hanno manutenzione, mancano i pezzi di ricambio per i mezzi e l’addestramento viene ridotto.

Infine, un’ultima osservazione. I generali che hanno disertato la festa provengono tutti dall’Aereonautica, la forza armata che più ha bisogno di investimenti (vedi l’F-35) ed è più legata alla ricerca dell’industria aerospaziale e delle telecomunicazioni. I tagli alla Difesa hanno penalizzato soprattutto questo settore, dove le industrie premono da sempre sulle commissioni del Ministero. E’ un settore di punta della nostra industria e in effetti non andrebbe trascurato, viste anche le ricadute nel mercato commerciale e nell’export. A questo punto, la protesta dei generali in pensione ha un senso preciso. E se quelli in servizio non parlano è perché non sono abituati a farlo in modo esplicito, né gli è permesso alzare la voce senza rischiare la carriera. E purtroppo la storia italiana insegna che non di rado i vertici militari hanno seguito le indicazioni dei politici, ma senza crederci veramente. E mai come in questo momento la spaccatura è evidente.