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La metafora della Città e della Storia

A quattro mesi dalla prematura scomparsa dell’artista (Roma, 13 Giugno 2013), STORIECONTEMPORANEE presenta “Passaggi e/o Persistenze”, una ricognizione documentaria degli interventi d’arte urbana condotti tra il 1995 e il 2012 da Adriano Di Giacomo, ricostruiti attraverso una selezione di opere, rielaborazioni fotografiche, slide, video, cataloghi e materiali a stampa, provenienti dall’Archivio privato.

Una ricognizione necessariamente non esaustiva, attraverso la quale nondimeno si dispiega per l’occasione una sorta di narrazione per immagini e testi della ricerca dell’artista – contestualizzata nella specificità dei luoghi urbani, tra storia, architettura e società – il cui nodo tematico ha insistito, sin dai primi anni ’70, sull’analisi degli spazi, intesi come luogo dei sistemi complessi in cui interagiscono, per congruità e/o opposizione, organico e inorganico, natura e storia, nella esibita e significante assenza dell’uomo dalla scena. La complessità dell’analisi che l’artista ha condotto – attraverso molteplici esperienze di studio, di ricerca e di attività non solo nel campo dell’arte – si traduce nella complessità della struttura dell’intero corpus delle sue opere, sia nelle scelte tematiche che linguistiche, dalle Città decablate, ai Territori, ai Passaggi, ai Memory box, alle Architetture, ai Flash-back, ai Fragmenta urbana.

La risultante è una metafora della Città e della Storia – che si instaura sullo straniamento derivante dalla discrepanza tra la normalità di uno scenario di architetture e territori ipotizzato come possibile e i modi della sua definizione e rappresentazione, sottesa tuttavia da una forte progettualità costruttiva, che inverano l’esercizio strenuo della coscienza critica e dell’impegno culturale, politico e civile, nodi fondanti l’esperienza umana ed artistica e la personalità di Adriano Di Giacomo.

Quaderno/Catalogo in Mostra.

Opere di Adriano Di Giacomo saranno presenti negli Eventi della 9° GdC AMACI organizzati a Roma presso il MUDITAC/Majorana e presso il Lavatoio Contumaciale, oltre che a Jesi presso il Palazzo dei Convegni.

 

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06 Mosre Adriano Di Giacomo Passaggi e o Persistenze webInterventi di arte urbana: una ricognizione documentaria

ADRIANO DI GIACOMO, Passaggi e/o Persistenze

a cura di Anna Cochetti

 

Roma

Storie Contemporanee

Studio Ricerca Documentazione

via Alessandro Poerio, 16/B

 

Dal 5 al 19 ottobre 2013

 

Orario:

mart./ giov./ ven., dalle 17.00 alle 19.00

merc. dalle 11.00 alle 13.00

sab. su appuntamento

 

Sito

Ricordo

 

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 06 Mosre Adriano Di Giacomo Die Brucke web

 

L’eleganza di Venanzo Crocetti

Dunque, i temi hanno i seguenti titoli: Ritratto di donna, Ritratto di ragazza, Uomo con cane e altri abbastanza comuni. Ma anche: Fanciulla che si pettina, Modella che si riordina i capelli, Fanciulla con le trecce, Donna che guarda la luna, Ragazza al fiume che saluta e ancora tanti altri temi esplosi in quell’universo scultoreo (ma non solo), oserei dire anche pittorico. Universo di quell’Artista con la ‘A’ maiuscola che faceva di cognome Crocetti e di nome Venanzo

Ho voluto iniziare così questa mia testimonianza sull’Artista nato cento anni fa e venuto a mancare dieci anni fa, perché quei temi erano anche quelli che dava a noi allievi un Maestro della Pittura: Alberto Ziveri. Visitando l’accogliente esposizione che è aperta al Museo Nazionale del Palazzo di Venezia in Roma, si entra subito in un’atmosfera vorticistica con i corpi, in prevalenza femminili, che si esprimono attraverso torsioni, estensione delle membra, raggomitolamenti. Venanzo Crocetti è stato un Artista abbastanza schivo, cercò sempre di occupare il suo tempo a disegnare e a scolpire nonostante riconoscimenti nazionali e internazionali. La sua umiltà lo fa divenire ancora di più Artista. Crocetti (1913 – 2003) guardò con attenzione le opere di Arturo Martini, di Donatello, dell’Antelami, di Poussin, di Niccolò dell’Arca.

La visione delle opere di questi grandi Maestri sviluppò, nell’Artista di Giulianova, il suo personalissimo esprimersi scultoreo attraverso sfumature e rimandi tutti all’interno di sentimenti carichi di memorie.

L’esposizione è suddivisa in tre aree tematiche: Elegantia (ballerine, modelle, teste e busti); Etternale Ardore (maddalene, fughe, ratti, incendi); Clementiae (pescatori, bagnanti, animali). Insomma ce n’è per tutti i gusti e mi sembra opportuno sottolineare che è una mostra che va vista, ascoltata, sentita come era nell’animo di Venanzo Crocetti.

L’esauriente catalogo della Allemandi e C. conserva le testimonianze, tra le tante, anche di Carla Ortolani, Presidente la Fondazione Venanzo Crocetti e mi ritrovo in Lei quando afferma che il Crocetti: “… per non deturpare la grazia e l’eleganza delle sue forme, egli seppe vivere [….] dentro una solitudine [….] dedicandosi senza tregua a un lavoro appassionato…”.

Altri interventi sono di Raffaella Morselli e la lunga ed esaustiva testimonianza di Paola Goretti. Biografia e bibliografia chiudono il catalogo riccamente illustrato.

Speciale visita per voi.

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06 Mostre Crocetti1Venanzo Crocetti e il Sentimento dell’Antico

L’eleganza nel Novecento

Dal 2 settembre al 20 ottobre 2013

Roma

Museo Nazionale del Palazzo di Venezia

Orario:

da martedì a domenica

dalle 10.00 alle 19.00

Ingresso:

intero 7,00 €, ridotto 5,00 €

Informazioni:

tel. 06/69994388 – 6780131

sito web

Museo Venanzo Crocetti

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Dismissioni: Edifici a nuova vita

Un’operazione che alcune società moderne sembrano incapaci di fare è la ristrutturazione e il riutilizzo delle aree e degli edifici dismessi. Non è un fenomeno solo italiano: ho visto a Pola (attualmente in Croazia) le enormi istallazioni del porto militare oggi totalmente abbandonate e pericolanti . Ma in Italia penso che deteniamo il record: decine di colonie estive in rovina lungo l’Adriatico, decine di caserme chiuse da anni, fabbriche dismesse, enti assistenziali pericolanti, enormi, vecchi magazzini portuali o ferroviari vuoti. È il risultato delle successive ristrutturazioni degli ultimi trent’anni, si dirà: dell’esercito, dell’industria, dell’assistenza sociale, del trasporto merci. Mentre però all’estero (penso ad Austria e Germania) le caserme dismesse, tanto per fare un esempio, sono state subito vendute e riadattate ad alberghi o alloggi demaniali, in Italia stanno sempre lì, quasi un insulto ai soldati di leva che le hanno mantenute a specchio per mezzo secolo, nonostante alcune siano situate in luoghi ormai centrali e urbanisticamente preziosi. Le procedure di alienazione e di ristrutturazione sono così complicate e arcaiche da ritardare o scoraggiare persino l’italica borghesia compradora, sempre che lo Stato decida davvero di disfarsene. È impressionante vedere in che stato sono ridotte le colonie estive, decadute dagli anni ’80 in poi, quando l’individualismo esasperato e il nuovo benessere non prevedeva che i bambini fossero più affidati per l’estate a strutture pubbliche. Quello che è peggio, molti archivi di colonie, ospedali ed enti, pieni di dati sensibili e schede personali, sono ormai allo sbando. E se nelle città a bassa pressione demografica (come Trieste) caserme e magazzini portuali restano spettralmente abbandonati, a Milano, Roma o Torino questi spazi vuoti vengono quasi subito occupati da diseredati, immigrati, centri sociali, senzacasa e altri emarginati. Nel migliore dei casi, quando c’è un minimo di controllo pubblico, lo spazio viene assegnato per quote, contro ogni progetto unitario. A Roma di situazioni simili ve n’è a decine, dall’ex-ospedale psichiatrico di Santa Maria della Pietà all’ex-GIL, dalle fabbriche chiuse sulla Tiburtina o sulla Prenestina ai casali della campagna romana.

Una terza via la suggerisce qualche volta la gente stessa, proponendo attività ludiche e artistiche o legate al tempo libero e utilizzando temporaneamente questi vuoti. Penso ai concerti a Forte Prenestino o Ardeatino, alle varie performance di artisti negli spazi ex-industriali, che ben si adattano al gigantismo delle opere di arte contemporanea o alla valorizzazione e riappropriazione del non-luogo. E’ un fenomeno diffuso, che parte dal basso e mantiene un uso comunque pubblico dello spazio demaniale, laddove la svendita ai privati favorisce esclusivamente attività commerciali o legate al turismo e in più creano una serie di barriere interne che frantumano lo spazio e fanno rimpiangere il latifondo.

La vera soluzione? L’urbanistica e la capacità di pensare sui tempi lunghi. Lo dimostra l’esempio dell’Arsenale di Venezia, tuttora di proprietà pubblica ma aperto all’arte. Potrebbero dimostrarlo una serie di spazi dismessi se solo potessero diventare università e luoghi di ricerca. Inizialmente le spese di investimento saranno alte, ma tali strutture possono attirare una serie di forze giovani e di ricercatori internazionali che possono creare nel tempo il valore aggiunto. Mi rendo conto di essere forse un sognatore, ma per ora in mancanza di un’iniziativa pubblica e di un concorso di idee, si rischia solo l’implosione.

e, si rischia solo l’implosione.

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Giovanni Cara: l’essenza dell’umano

La figura, intendo l’umana umanissima figura, in Giovanni Cara non rispetta né vuole farlo adempimenti accademici o sapienze volumetriche che risolvano il pathos in una presenza solida e temporaneamente stabile.

La superficie, pelle e carne, appaiono candidamente indifese in una limpidità disarmante. La figura vive e appare solo mediata dal suo empito erotico: mani, occhi, tendini, sangue, solo come apparenza di una corposità disfatta nella luce, nel colore, nel segno lasciato senza pentimenti: una dolce ferita che è primitiva ingenuità esistenziale.

L’uomo vibra nell’essere suo momentaneo. Hic et nunc: qui ed ora comunque. Una eternità mutevole sofferta nel suo aperto dissociarsi da simmetrie e proporzioni rassicuranti.

Tutto si fonde e si ricompone nell’aperto, dissacrante, scomposto desiderio di esistere nella necessaria, irresistibile sessualità che è continuità carnale del proprio sé in un mondo che ci riflette impietoso.

 06 Riflessioni Giovanni Cara

Roma Parigi: Andata e Ritorno

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Parigi è ancora una metà preferita, non solo per gli italiani, per una fuga dalle loro caotiche città e dalla visione provinciale di vivere l’urbanizzazione, ma anche per abitarci, nonostante la vita cara. Semmai è la scelta di come arrivarci che pone dei quesiti.

L’aereo è rapido ed economico con i voli low cost: pur con l’aggiunta di tasse, basta sceglierne uno diretto e non una compagnia che tratti i passeggeri in modo sgarbato, ma con qualsiasi volo si và incontro a delle ristrettezze nel bagaglio, al disagio del trasferimento e della presentazione di due ore prima dell’imbarco.

Disagi che raramente avvengono volando con compagnie del medio oriente o orientali come la Kuwait Airways, anzi sono disponibili verso le esigenze del passeggero, meno rigidi sul peso del bagaglio e al contrario di quello che avviene sui voli Alitalia, viene fornita la cena e non un panino a pagamento, ma soprattutto riescono a recuperare un’ora di ritardo, oltre ad essere concorrenziali rispetto ad altri prezzi di voli low cost. Servizi che rendono gradevole un viaggio e sgradevoli delle compagnie aeree rispetto ad altre.

Escludendo l’auto se non si ha intenzione di organizzare un tour tranquillo per tappe, rimane il treno che brilla di confort se si confronta agli angusti posti aerei.

Parigi via Milano sono 7 ore dal capoluogo lombardo, anche se il TGV non esprime tutta la sua potenzialità nel tratto italiano, e anche per un po’ in quello francese, con poltrone smilze, sempre più comode di quelle degli aerei anche se il vicino strabocca dal suo posto, ma ci si può alzare e passeggiare senza sentirsi in gabbia e soprattutto il treno porta da città a città e non da aeroporto ad aeroporto.

Il TGV ha anche il pregio di viaggiare di giorno approfittando di vedere scorrere il paesaggio, anche se i cugini francesi utilizzano vagoni un po’ lisi per questa particolare tratta. Per chi preferisce viaggiare di notte, per trovarsi la mattina successiva alla parigina Gare de Lyon e non a quella meno centrale di Bercy come avveniva fino ad un anno fa, è stato ripristinato un servizio espletato con il Palatino ed ora gestito con Thello in partnership Trenitalia-Veolia Transdev (TVT).

Cambia il nome del gestore, ma rimangono tutte le lacune di un servizio carente nella pulizia e nella manutenzione. In un viaggio in treno da Roma a Parigi e viceversa di sei di anni fa, quando a portare i viaggiatori era il Palatino, curato dall’Artesia Italia, il servizio cabine letto offriva una temperatura da sauna senza alcuna possibilità di regolarla e dell’acqua calda chiamata tè, accompagnata da un misero rinsecchito cornetto, come colazione.

Nel settembre del 2013 a chi sceglie le cuccette la Thello offre delle toelette intasate e dei lavabi inutilizzabili, oltre a delle perdite d’acqua dal soffitto del corridoio.

Per le toilette è una situazione difficile e cronica grazie alla variegata rappresentanza educativa presente nel microcosmo ferroviario, mentre per le perdite, bisogna dare atto alla società, si è intervenuti tra l’1 e le 2 che ha comportato un’oretta di ritardo sull’orario di arrivo, ma nessuno ha provveduto alla sostituzione della scaletta con un gradino mancante, pericoloso di giorno quanto micidiale la notte, possibile causa di lesioni fisiche.

Il viaggio di ritorno da Parigi ha confermato la difficoltà del ricambio dell’aria, specialmente nel caso di dover condividere il viaggio con usi e costumi differenti, dove si prevede la consumazione di una ricca cena altamente speziata, condita da uno sconosciuto, almeno per me, idioma africano con gutturali nenie per propiziare il sonno e malinconici sussurri per salutare il giorno che nasce.

Poteva essere una scena dal film Una poltrona per due con Eddie Murphy e Dan Aykroyd, ma come ogni cosa ha un inizio e una fine, trasformando l’incubo di un viaggio in un attraente arrivederci a Parigi.

Invece per i passeggeri delle cabine letto il servizio sembra migliorato con il drink di benvenuto e la colazione, inclusi nel prezzo del biglietto, serviti in vettura ristorante.

La partnership italo francese potrebbe prendere esempio dal servizio offerto sulla linea Roma Vienna, meno disagevole, ma è utile intraprendere il viaggio con lo spirito della conoscenza e non del dover solo raggiungere una destinazione.

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