NEGLI OCCHI DI UN SIRIANO

A Roma sono numerose le persone provenienti da aree in conflitto, ma quando è giunto Sahl il risveglio arabo non aveva dato ancora dei segnali e in Siria la vita trascorreva tranquilla come possono essere delle giornate in uno stato autoritario.

Ora è lontano e racconta com’erano belle Homs e Aleppo con i suoi 3.000 anni di storia e tutta la Siria, parole sommesse con uno sguardo che esprime tristezza e rassegnazione. Racconta dell’ospitalità della popolazione e della cucina mediorientale con dolci ai pistacchi e alle mandorle, il cardamomo che aromatizza il tè e il caffè.

Le presenze di un antico passato in tutta la Siria e del monastero di Deir Mar Musa al-Habashi (Monastero di san Mosè l’Abissino), nel deserto a nord di Damasco, rifondato da Padre Paolo Dall’Oglio per facilitare il dialogo interreligioso con il mondo musulmano, di Palmira e della regina Zenobia, della Via della Seta.

Un siriano da anni a Roma che si domanda se la democrazia, non tanto la libertà, deve avere morti e distruzione sulla coscienza. Gli occhi sono lucidi e più parla e più la voce tradisce la commozione e l’angoscia per i familiari e i conoscenti che sono in Siria.

Chi è rimasto a Homs, ora che è stata martoriata, non dovrebbe essere più in pericolo; la violenta attenzione del potere è in altre direzioni.

Nella ribellione in Siria non vi era nulla di preordinato, nessun piano insurrezionale, solo una manifestazione dopo l’altra per esprimere lo scontento e le successive repressioni fino a giungere in una situazione di non ritorno per una riconciliazione.

La popolazione che gridava il proprio scontento non poteva fermarsi perché ciò significava andare incontro a rappresaglie, alla quotidiana minaccia di essere individuati come nemici dello stato con la possibilità di sparire nelle carceri del regime.

Uno scontento dalle diverse anime, disorganizzato che tenta di trovare una sintesi in un coordinamento, per sottrarsi dall’essere uno strumento armato dai sauditi o dai turchi. La Siria come un campo di battaglia per affermare l’egemonia dell’Arabia saudita o dell’Iran, non è una guerra tra fazioni islamiche, non sono i sciiti alauiti contro i sunniti, ma la trasformazione in quella procura tra la via sciita iraniana e quella sunnita saudita. Il regime di Assad riceve armamenti dalla Russia ed addestramento dall’Iran, mentre il variegato fronte antigovernativo ottiene aiuti dai Paesi del Golfo e l’Occidente stimola le defezioni tra le file governative.

La Siria garantiva gli interessi geopolitici di molti stati nell’area, soprattutto lo status quo che dal conflitto arabo israeliano del 1973 ad oggi aveva assicurato, nonostante le periodiche rivendicazioni, di volerne ritornare in possesso sulle alture del Golan.

Un conflitto che offre molte occasioni per lucrosi affari e non solo nella vendita di armi, ma soprattutto nel settore immobiliare e degli idrocarburi nell’ambito del mercato nero. Non è solo l’arte di arrangiarsi; chi ha dollari ed euro compra di tutto: un ristorante, ora raramente frequentato, in una buona posizione, in attesa che torni la quotidianità del turismo. Come avvoltoi si approfittano delle famiglie in crisi per acquistare a prezzi di svendita appartamenti in zone residenziali, riponendo una nuova Siria senza quartieri completamente sunnita o alauita e in questo rimescolamento, se Damasco non sarà rasa al suolo, saranno i proprietari d’immobili a vedere incrementati i loro investimenti, senza contare poi il traffico di opere d’arte. Una Siria in svendita con tante vittime.

Un’opposizione divisa tra quella laica, religiosa e dei giovani che per ora combattono senza aver ancora scelto il campo nel quale schierasi per confrontarsi sul futuro della Siria e il ruolo che avrà Al-Qaeda e quello dei pacifisti nel far tacere le armi. L’ottimismo riposto nell’ambiziosa riunione romana di luglio presso la comunità di Sant’Egidio non ha portato ad una semplificazione, con l’unificazione delle undici formazioni partecipanti, dello schieramento che si oppone al regime di Assad.

Un futuro che mostrerà, a fine conflitto, Aleppo come Homs simili a Mogadiscio o Sarajevo e con l’impossibilità di una ritrovata convivenza tra i siriani.

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