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Dalla A alla V l’insofferenza di un Continente

È il Venezuela, quando l’informazione si ricorda della sua esistenza nel mondo latino americano, a oscurare ogni altra notizia del Continente. È l’inconsistenza di una leadership come quella di Maduro a far notizia con il suo annaspare, scatenando la violenza, nel tentativo di rimanere su quella poltrona che fu di Chavez.
È il coinvolgimento della numerosa comunità italiana che permette di superare l’indifferenza attraverso le rare notizie dal Venezuela con le continue violenze e le sue vittime, in un paese sempre più in crisi di libertà e di benessere. Sembra che Maduro abbia sperperato non solo il consenso popolare per il socialismo in chiave chavista, ma soprattutto quello dei profitti petroliferi.

L’inflazione galoppa a oltre il 50%, mentre scarseggiano i generi alimentari e Maduro sventola lo spauracchio di un golpe fascista accusando gli Stati uniti di fomentare le continue manifestazioni che trasformano la capitale, come altri centri urbani, in campi di battaglia, con violenti scontri, morti e feriti.

Un momento difficile per il Venezuela, a un anno dalla morte di Hugo Chavez, attraversato dallo scontento che Maduro fronteggia in modo sconclusionato. L’intransigenza autoritaria riservata alle manifestazioni di piazza, viene alternata a timidi segni di dialogo con l’opposizione politica. Mentre le presunte ingerenze degli Stati uniti gli causano improvvisi eccessi d’ira, sino a dare in escandescenze ascoltando la musica di Arcangel, tanto da limitare le ore di trasmissione a tutto il reggaeton. Un genere di musica messa sotto accusa perché le canzoni sono messaggere di denuncia sociale ed è proprio a suon di rap, Musica para Maduro – Venezuela Resistencia, che Maduro sceglie di rispondere agli Stati uniti.

Nella punta più estrema del Continente Sud America è l’Argentina che sta attraversando la stessa fase di protesta e crisi economica. Una crisi che passa inosservata sui media eppure la presenza italiana a Buenos Aires, come in tutto il paese, non sfigura con quella in Venezuela. Una distrazione dell’informazione italiana, come della politica, che nella presidenta peronista Cristina Fernandez de Kirchner ha trovato un interlocutore più affidabile del chiavista Maduro nello scambio commerciale e sino a quando gli interessi dei numerosi imprenditori italiani non saranno in pericolo si cercherà di glissare sullo sciopero generale dei trasporti che ha paralizzato il Paese lo scorso 10 aprile.

Uno scontento argentino in crescita e non solo per l’inflazione e la disoccupazione, ma anche per il pugno di ferro, ben più credibile di quello venezuelano, con il quale la Kirchner guida il Paese e riesce a minimizzare la protesta.

La disparità tra ricchi e poveri è sempre più evidente nei paesi che vivono una crisi economica, dove i poveri diventano sempre più poveri – trascinando nell’indigenza anche quella fascia fino a quel momento considerata agiata – e i ricchi sempre più ricchi, godendo, pur essendo la minoranza della popolazione, delle più espansive attenzioni dei diversi governanti.

Dal nord al sud del continente latino americano gli indios vengono emarginati e defraudati delle loro terre, anche nella Bolivia di Evo Morales, il primo presidente di origine indio, dove i nativi non vengono trattati con il rispetto dovuto agli esseri viventi. In Ecuador il “socialista” Correa offre ai cinesi parte della foresta amazzonica come riscatto del debito contratto, a discapito delle comunità autoctone.

In Brasile, a ridosso dei tanto glorificati mondiali di calcio, non si attenuano le tensioni alimentate dall’opera di “bonifica” esercitata dalla polizia nelle centinaia di favelas del Paese, solo a Rio de Janeiro sono 16. Dopo l’uccisone di un ventenne ballerino, scambiato per un trafficante di droga, e i conseguenti scontri con le forze dell’ordine, trasformatisi in guerriglia urbana che hanno causato la morte anche di un dodicenne, il clima esasperato non lascia spazio alla gioia di una competizione calcistica organizzata anche per celebrare un governo che dovrebbe essere il paladino del popolo, ma che dimostra solo una grande volontà di modernizzare un “continente” dalle grandi diseguaglianze.

Non sono solo gli scontri e gli scioperi all’ordine del giorno, ma un’impennata di omicidi e di saccheggi per il Brasile dove la stessa polizia sciopera e dove imperversa la “distrazione” di ingenti fondi per le strutture sportive e di accoglienza per la priorità di una migliore qualità di vita. Un investimento che, com’è stato dimostrato in Sudafrica, non porterà benessere ai brasiliani, ma solo ai ricchi.

Un assioma quello che una manifestazione sportiva che impegna tanti soldi non porti un duraturo benessere per la vasta popolazione brasiliana che indios sembrano condividere profondamente con le nuova protesta che hanno inscenato a Brasilia. Non solo lo spreco d’ingenti fondi in un paese grande quanto un continente e con una diseguaglianza imperante è motivo dello scontento dell’indio, ma anche per il poco interesse che i parlamentari stanno dimostrando nel mettere in calendario la discussione del progetto di legge che prevede modifiche alle regole di demarcazione delle loro terre.

Proteste pacifiche e agguerrite che hanno visto gli indio fronteggiare le cariche della polizia, non per nulla fatte a cavallo, con frecce e sassi, il tutto per chiedere terre alla capitale quello che gli è dovuto per nascita. Una posizione energica quella del Governo nello smorzare ogni forma di protesta che è costato al Brasile, tanto per rimanere nell’ambito calcistico, il cartellino giallo di Amnesty International.

Anche l’Argentina ha praticato il “risanamento” forzato di zone elette dagli indigenti come rifugio e dove negli acquitrini galleggiano, per l’alto tasso d’inquinamento, anche i sassi.

In Cile e in Colombia la resistenza delle comunità indigene e campesina è riuscita a bloccare l’approvazione di leggi che proibivano agli agricoltori di conservare e scambiarsi diversi tipi di semi, così obbligandoli a diventare debitori delle multinazionali come la Monsanto, rivendicando il loro ruolo di custodi dei semi per conservare la biodiversità.

La prepotenza perpetrata sulle popolazioni native in Colombia è uno dei tanti impegni di Amnesty International per la difesa dei più deboli, organizzando, insieme agli attivisti del Gruppo 056, un recente incontro romano sulle continue violazioni dei diritti umani.

Una violenza che le comunità indigene della Colombia, contadine e afrodiscendenti, insieme ai difensori dei Diritti Umani, continuano a subire nel conflitto civile del loro Paese.

L’Uruguay ha Josè Mujica, un presidente dalle minime esigenze di sostentamento e dal burrascoso passato di guerrigliero, che devolve circa il 90% del suo stipendio di 12.000 dollari al mese, facendosi bastare 1.500 dollari, per il suo lavoro alla guida del paese, a favore di organizzazioni non governative e a persone bisognose. Il suo mezzo di trasporto non è una lussuosa limousine, ma un Maggiolino degli anni Settanta. Josè Mujica sembra la versione laica di Papa Francesco che apre alle libertà individuali: sostenendo la depenalizzazione dell’aborto, il riconoscimento dei matrimoni gay e la legalizzazione della marijuana, per scardinare il monopolio dei narcotrafficanti, evitando la piccola criminalità, e poter controllarne l’uso.

Il Continente Latino Americano cerca di ritrovare un posto nella crescita mondiale fuori dall’ingerenza statunitense, con il rischio di diventare vittima della neo colonizzazione cinese.

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Economia e globalizzazione: il gioco delle tre carte – Aprire il gioco

Economia e globalizzazione, vecchi e nuovi equilibri: non è facile predire i futuri assetti. Meglio lasciare l’azione divinatoria ai maghi dell’economia e concentrarsi sull’esame degli umori della partita mondiale.

La mano di Bretton Woods stabiliva, oltre all’egemonia del dollaro, la costituzione di due istituti: la Banca Mondiale (Bm) e il Fondo Monetario Internazionale (Fmi). La prima con il compito di sostenere la ricostruzione dei Paesi devastati dal conflitto mondiale, mentre il secondo come garante della stabilizzazione delle relazioni monetarie e finanziarie internazionali.

Tralasciando l’analisi sul ruolo effettivo dei due istituti, una volta esaurite le urgenze derivanti dalla seconda guerra mondiale, non si può non osservare che i giochi di forza geopolitici hanno finora assegnato il vertice del Fmi all’Europa e quello della Bm agli Usa. È ragionevole dunque il dubbio che la visione finora perpetuata da questi istituti sia fortemente orientata dai modelli economici occidentali, cosi come la gestione di specifici interventi sia indirizzata a favorire le rispettive aree d’influenza.

Tuttavia comincia a essere condivisa la linea che “nel nuovo mondo scosso dalla crescita di economie emergenti come quelle del Brasile, della Cina e dell’India però questo equilibrio molto “occidentale” risulta sempre più in crisi”.

Crisi già avvertita in Sud America nel 2003 con la necessità di costituire una Banca del Sud (Argentina, Brasile, Bolivia, Ecuador, Paraguay, Uruguay e Venezuela) seppur resa effettivamente operativa solo di recente. Lo scopo è di svincolarsi dalle condizioni poste dal Fmi e Bm, promotori del polo occidentale. Iniziativa sottolineata per la sua importanza, dal commento del premio Nobel per l’economia Josep Stiglitz giacché proprio “un’istituzione del genere” avrebbe potuto interpretare meglio del Fmi o della Banca mondiale le esigenze del Sud America.

Se può essere ritenuto un indizio dell’insufficienza dell’azione di Fmi e Bm anche il sorgere di altri istituti similari che suppliscono o/e intervengono in ambito regionale (Banca di sviluppo africana, Banca di sviluppo asiatica, Banca di sviluppo interamericana), risulta certamente emblematico del progetto che riguarda la Banca di Sviluppo dei Paesi Emergenti.
Tale progetto non solo conferma il peso dei nuovi attori nel panorama mondiale, ma sembra rappresentare anche un’alternativa di finanziamento più sostenibile e produttiva rispetto a quella proposta dal Fmi e la Bm.

L’attuale crisi permette di riflettere dunque sull’opportunità di ripensare il mondo ridisegnando perimetri e ricomponendo aree d’influenza. Slogan ingenuo? È necessario il pragmatismo purché abbandoni schemi conosciuti. Se veramente siamo giunti a parlare di multipolarità di un sistema che sembra ancora essere governato dal mazziere in modo unipolare (Jacques Sapir), non sarà ora opportuno pensare di aprire un nuovo gioco con più attori?
Utilizzando l’aforisma di T. W.Adorno se si può pensare che “la libertà non sta nello scegliere tra bianco e nero, ma nel sottrarsi a questa scelta prescritta”, forse il vero coraggio sta nel cercare di avere una comprensione differente della realtà per individuare nuovi percorsi.

La crisi mondiale sembra ancora tutta da risolvere: che i grandi maghi dell’economia sappiano essere realmente visionari e che i governi abbiano la saggezza di accettare i cambiamenti!

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OlO Il gioco delle tre Carte 18 febbraio Banco-del-Sur

Economia e globalizzazione: il gioco delle tre carte – Il mazziere

In un sistema aperto e globalizzato ciascuna giocata avviene contemporaneamente su due tavoli, quello nazionale e quello internazionale. È necessario dunque ampliare il livello di osservazione per comprendere il gioco, i giocatori, ma soprattutto chi da le carte ed i suoi trucchi.

Nei mercati internazionali il tasso di cambio rappresenta una valvola per far affluire o defluire capitali: un tasso di cambio tendente al ribasso agevola le esportazioni a scapito delle importazioni e contemporaneamente scoraggia gli investimenti in valuta.

Con l’avvento della crisi e l’aumento del debito pubblico dei paesi industrializzati, le banche centrali e i governi, hanno adottato misure straordinarie di politica monetaria immettendo moneta, e abbassando di conseguenza il tasso di cambio (Rapporto ICE 2013).

Ora, nell’attuale sistema economico, la maggior parte dei paesi avanzati (diciamo l’Occidente) vive al disopra delle proprie possibilità e consuma più di quanto produce. Ciò implica che una parte dei beni consumati sono importati e in genere, dai paesi in via di sviluppo.

Con l’abbassamento del tasso di cambio tende a ridursi però la convenienza da parte dei paesi avanzati di importare beni e, a loro volta, i paesi in via di sviluppo vedono contrarre la loro attività commerciale verso l’estero (esportazioni).

Dunque giocando al ribasso con il tasso di cambio, si può operare un’alterazione “impropria” nella competizione dei mercati internazionali: migliora la bilancia di pagamenti e si crea una sorta di effetto beggar-thy-neighbor verso l’esterno. Si, proprio qualcosa di similare a quanto avveniva nella Grande Depressione del ‘30!

Sintesi: gioco sporco!: i paesi avanzati fanno pagare la crisi finanziaria ai paesi emergenti. Nel 2012 la presidentessa brasiliana Dilma Rousseff, lamentava l’assenza di soluzioni allo tsunami monetario (Rapporto ICE 2013), proprio a Washington dove, in visita ufficiale, sembrava voler richiamare il mazziere (gli Stati uniti d’America) sugli andamenti del dollaro.

Perché si è giunti a questo punto?

Ritorniamo al primo giro di carte.

Con gli accordi di Bretton-Woods del primo dopoguerra (1944) si posero le regole di politica monetaria internazionale: stabilizzazione dei tassi di cambio rispetto al dollaro (gold exchange standard), a sua volta agganciato all’oro.

Ma già nel 1971 il presidente Richard Nixon annunciò unilateralmente la sospensione della convertibilità del dollaro in oro, avviando implicitamente l’era della libera fluttuazione dei cambi. L’esplosione della spesa pubblica americana per la guerra del Vietnam, richiedeva una tale immissione di liquidità da rendere impossibile la convertibilità del dollaro in oro!
Bluff: gli Stati uniti potevano continuare a trarre vantaggi dal dollaro, moneta ormai mondiale, senza più preoccuparsi del deficit strutturale della bilancia dei pagamenti e della conseguente immissione di moneta.

Tornando a oggi, si può senza dubbio affermare che gran parte del debito pubblico degli Stati Uniti è detenuto dalla Cina, fortemente interessata a non far deprezzare le sue riserve monetarie in dollari.

Carta truccata: gli Stati Uniti d’America oggi vorrebbero continuare a dare le carte, ma il ruolo del mazziere sembra fondarsi sulla potenza del sistema politico-economico del gigante cinese più che sulla solidità reale dell’economia americana.

In realtà, i paesi emergenti, Cina in testa, stanno introducendo nuove variabili in gioco e sembrano poter profilare un diverso assetto degli attuali blocchi geopolitici: saranno i nuovi equilibri a favorire la guarigione del sistema infermo o ne decreteranno la fine? Quel che è certo è che ormai non si può più prescindere da questa consapevolezza.

(2 puntata)

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Economia e globalizzazione: il gioco delle tre carte

La Crisi economica è profonda, globale e per il suo prolungarsi è evidente il rischio che da “ciclica” possa trasformarsi in “cronica”. Cosa si sta facendo per risolverla? Obama, dopo quattro anni di braccio di ferro con la lobby di Wall Street, sta ottenendo l’attuazione della Volker Rule, l’Unione Europea bastona i paesi membri già in ginocchio: solo la regola del “si salvi chi può”è comune e condivisa.

Il Miserere cominciò circa 6 anni fa con il fallimento di Lehman Brothers, precursore dei successivi crack finanziari di portata mondiale. In questo tempo, una parte del mondo, quella sviluppata, si è persa nel processo agli untori. In concreto sono stati individuati solo palliativi temporanei: un maquillage per eludere “inopportuni” cambiamenti strutturali. Questi ultimi, infatti non possono convenire a governi, non a politici e certamente neppure alle multinazionali quando l’unico obbiettivo è il mantenimento del potere. L’altra parte del mondo, i “lontani paesi in via di sviluppo” (latinoamericani inclusi), memore dei contraccolpi economici già ricevuti, cerca di rimanere a galla evitando gli schiaffi dell’imperialismo del terzo millennio.

La globalizzazione attuale alimenta il sistema a scapito dei più deboli, non solo in termini sociali a livello nazionale, ma anche a livello geopolitico.

È come il Gioco delle Tre carte, Carta vince Carta perde: a parte rare eccezioni, vince sempre colui che dà le carte sia perché la probabilità statistica è matematicamente a suo favore, sia perché molto spesso la aiuta imbrogliando.

Come spiegare il gioco? Il tema è più complicato di quello che sembra se lo si osserva da vicino: si incontra la grande ragnatela intricata di variabili economiche; a distanza invece lo si può semplicemente ricondurre al Gioco delle Tre Carte.

Da vicino la trama include soprattutto i processi di finanzilizzazione e internazionalizzazione avviati negli anni ’90 dagli Stati Uniti e conseguenti al pensiero neoliberista, culminante nell’abrogazione della Glass-Steagall (1999), legge che separava le banche commerciali da quelle d’investimento. Questa linea si diffuse con diversi gradi di libertà in Europa e in gran parte del Mondo.

La nascita della banca universale o mista infatti ha permesso soprattutto alle più grandi banche, le multinazionali, di effettuare attività ad alto rischio utilizzando per lo più i depositi dei privati (cioè i debiti a breve). La deregolamentazione dei derivati e l’abbassamento dei controlli hanno ulteriormente agevolato la nascita di un “sistema bancario ombra” e gonfiato la bolla speculativa. Ma le bolle speculative sono sempre destinate a scoppiare determinando il collasso dell’economia e, di seguito, una compensazione di segno opposto, diciamo depressiva. Le Aziende falliscono, aumenta la disoccupazione, è difficile far fronte ai debiti, si contraggono consumi e investimenti e l’economia reale precipita in caduta libera: non c’è più liquidità! Le banche che hanno giocato d’azzardo, sicure perché “too big to fail” (troppo grande per fallire) sono state “risanate” dai governi compiacenti pur di salvare il salvabile.

Per questo ora si è avviato un dibattito mondiale sul neoliberismo economico. Ma tornare indietro in tutto o in parte su leggi che hanno fatto da detonatore alla Crisi – come ad esempio prova a fare Obama con la Volker Rule – servirà veramente?

Ma poi chi da le carte?

(Prima parte)

Il gioco delle tre Carte capitolo 1 Banche riforma Wall Street con la Volcker Rule 18063-wall-st

Cile: Ombre nostalgiche sulle presidenziali 2013

 

Domenica 17 novembre 2013 si terranno le elezioni presidenziali in Cile. I candidati sono nove: Michelle Bachelet della Nuova Maggioranza – Nueva Mayoría – (Partito Socialista) ed ex presidente dal 2006-2010, Marcel Claude del Partito Umanista, Marco Enríquez-Ominami del Partito Progressista, Jocelyn-Holt indipendente ed ex deputato del partito Cristiano-Democratico, Ricardo Israel del Partito Regionalista Indipendente, Roxana Miranda del Partito dell’Uguaglianza, Franco Parisi indipendente, Alfredo Sfeir del Partito Verde ed Evelyn Matthei, candidata del centro-destra in sostituzione di Pablo Longueira ritiratosi per depressione (o forse perché troppo vicino alle fila Pinochet anche per il centro-destra!), ex senatrice e ministro del Lavoro.

 

 

Come ogni Campagna Elettorale à la page, si apre il gran baraccone dove politica e show mediatico si confondono: ecco dunque, nel programma televisivo Las dos caras de La Moneda, sfilare simpaticamente tutti e nove i candidati. Tre puntate condotte dai famosi Mario Kreutzberger e Don Francisco dove tre a tre, tra il serio e il faceto si presentano, rispondendo anche a domande politiche, i papabili aspiranti alla presidenza; però così, come se fossero al bar o in casa a ricevere gli elettori tentando bellamente di mostrare in un piccolo slot temporale, il loro lato umano, quello personale diciamo. La moglie di Enríquez-Ominami commenta la dichiarazione di fidanzamento del marito, la Bachelet balla la cumbia con Don Francisco e la Matthei suona Let it be al piano mentre Marcel Claude con la chitarra sembra imitare Silvio Rodríguez.

 

 

Ma cosa succede dietro le quinte?

 

Perché gli studenti manifestano agguerriti, le madri dei desaparecidos sfilano protestando, mentre la Matthei e la Bachelet a volte sembrano affrontarsi a colpi di ascia?

 

 

Dietro le quinte scorre il passato o meglio un present continuous che parte dall’11 settembre del 1973, giorno in cui la democrazia cilena viene spazzata via con il golpe di stato di Augusto Pinochet. Appena preso il potere lo stadio di Santiago del Cile è trasformato in un maxi centro di detenzione, tortura e morte per annientare avversari, simpatizzanti e passanti. In seguito la dittatura militare continua a perseguire la politica di repressione e controllo tramite lo strumento del terrore, evitando però azioni visibili e giudicabili dall’opinione pubblica internazionale, come quella dello stadio di Santiago. Il controllo è tale che lo stesso dittatore accetta il referendum del 1988 per riconfermare la sua carica; nel 1990 (cioè solo ventitré anni fa) è costretto a lasciare il governo poiché davanti al mondo, i sostenitori del “NO” vinsero con il 55,99% dei voti.

 

 

Che c’entra questo con le elezioni di oggi? A distanza di così pochi anni, nello scenario politico e sociale sono presenti molti attori del tempo che fu, o i loro figli e parenti; nel caso specifico appunto delle elezioni presidenziali, le più probabili candidate Michelle Bachelet ed Evelyn Matthei sono entrambe figlie di quei padri, che furono coinvolti come vittime (Bachelet) e sostenitori (Matthei) nella dittatura di Pinochet.

 

 

C’entra perché quest’anno, in occasione della ricorrenza dei quarant’anni dal Golpe, l’attuale presidente in carica Sebastian Piñera (centrodestra) tentando di creare una cerimonia di “riflessione”, e invitando tutti i rappresentanti della politica nazionale presso il Palazzo della Moneda, ha reso ancor più manifesta la situazione di conflitto sociale. In tale occasione la Bachelet ha ribadito: “nessuna riconciliazione è possibile – se mancano la verità e la giustizia. Le responsabilità della dittatura e dei crimini commessi sono di chi li ha commessi e di chi li ha giustificati. Quasi nessuno ha pagato per questo e oggi in Cile c’è ancora una frattura profonda”.

 

 

Sì, è vero, quasi nessuno ha pagato! Proprio in merito alle atrocità compiute e alla violazione dei diritti umani, lo stesso Amnesty International sostiene che il Cile è ancora lontano dalla ricerca di giustizia a causa di ritardi dei procedimenti giudiziari, delle sentenze che non riflettono la gravità dei reati commessi e delle amnistie come quella prevista dal decreto legge 2191 (approvato durante il regime di Pinochet) che sono tuttora in vigore. L’ombra pericolosa su procedimenti legali continua a creare forti tensioni a livello politico e sociale.

 

 

Ben si comprende perché Osvaldo Andrade, coordinatore della coalizione di sinistra Nueva Mayoría, ha affermato: “in Cile tuttavia ci sono nostalgici di Pinochet, su questo non c’è nessun dubbio; una parte dei cileni votò per il SI (..) perché volevano che il potere del tiranno continuasse per altri otto anni. Tra questi ci fu anche la signora Matthei, e dovrebbe farsi carico della sua responsabilità storica”.

 

 

Non sono solo i distinti programmi della destra conservatrice o della sinistra più aperta a scontrarsi, sono gli stili di gestione dello stato di diritto, della democrazia dell’uguaglianza e della tutela dei diritti umani. Basti pensare che la Bachelet persegue la riforma della Costituzione, il diritto all’aborto (in caso di stupro o di rischi per la salute della madre o del bambino), le riforme fiscali e quelle del sistema d’istruzione, che attualmente favoriscono le disuguaglianze sociali.

 

 

In fondo fa sorridere la Matthei, che da un lato suona Let lt it be, mentre dall’altro, in seguito alla bocciatura in senato della legge Hinzpeter, scaglia colpi alla Bachelet, accusandola di sostenere i sovvertitori dello Stato.

 

La legge Hinzpeter secondo la destra è fondamentale per il mantenimento dell’ordine pubblico già che autorizza le forze dell’ordine, tra gli altri provvedimenti, l’arresto di chiunque vada col viso coperto.

 

E’ difficile però non essere d’accordo con la senatrice socialista Isabel Allende (figlia del presidente morto nel golpe del ’73) sul semplice fatto che questa legge è contraria alla tutela dei diritti umani e non necessaria in quanto, come afferma la senatrice stessa, il codice penale prevede il controllo d’identità per gli encapuchados.

 

E allora si può anche sospettare che “dietro la legge Hinzpeter c’è il tentativo di criminalizzare la protesta sociale, già che ci sono strumenti per combattere gli encapuchados” è dunque meglio “che il governo non si faccia complice di questa demagogia”.

 

E guardando questo ridicolo teatrino, non resta che esclamare con amara ironia: Dio Salvi il Cile!

 

 

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40esimo anniversario colpo di stato in Cile