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Alla ricerca degli artisti perduti 11

Espressionismo

L’Espressionismo che sempre fu vivo negli artisti e nell’arte, secolo dopo secolo, dall’Ellenismo al Barocco, nell’alternarsi all’olimpico classicismo e il suo sogno di divina armonia (follia dionisiaca e solarità apollinea secondo Nietsche), volle invece dar voce all’umanissima e astrusa pena dell’esistere e delle sue ragioni, ora rabbiose, ora passionali, ora di rivolta, nell’indagare fin nel profondo e misterioso innervare di anima e carne, sangue, libido e disperare, il senso straziante o grottesco, irridente o spietato, d’una interiorità vissuta con anatomica sincerità, grandezze o miserie che fossero, deliri e sogni, d’un rivelatore viaggio agli inferi, alle voci celate o mascherate che s’annidano là dove sgorga la sorgente nascosta e primeva del nostro procedere, lento o turbinoso che sia; fino alla foce che tutto annienta, senza nulla spiegare…

Aubrey Beardsley ( 1872 – 1898)

Volle definirsi “grottesco”, ma più che grottesco Beardsley direi esasperatamente raffinato, di quella raffinatezza tipicamente decadente che fu la stagione della grande letteratura esausta, sensuale, dal gusto un pò deviante e tetro, e anche patetico se si vuole, come la “Patetica” di Chaicovsky, grondante il piacere della morte e l’autocompiacimento della dissoluzione, di astruse pene e implacabili tubercolosi, morti premature e, appunto, raffinatissime malinconie : Mahler, Debussy, Wilde, Proust, d’Annunzio ecc.. .Il fascino di un’epoca nel suo splendido languire, e una nuova stagione creativa che s’annuncia prepotente: il Novecento e le sue avanguardie!

La matrice Espressionista dell’arte contemporanea

… Più vedo, esamino, ricerco, commento, più prendo atto che la quasi totalità dell’arte contemporanea, dico contemporanea, non le cosiddette avanguardie storiche del novecento, è figlia geneticamente della matrice espressionista, laddove per espressionismo si determina la crisi della umana società che esamina e cauterizza spietatamente le proprie ferite e le proprie viscere..

Alla ricerca degli artisti perduti 10

Luciano Ventrone vs Caravaggio

… EPPUR, PAR VERO!… (la verosimiglianza non è tutto!)

Luciano Ventrone, ribattezzato da pregevoli critici ” il Caravaggio del XX secolo!”

.. .Non c’è niente di Caravaggio, né la sua passione profondamente umana, nè la sua disperata carnalità, nè la rabbia, né l’amore incondizionato per la vita misera e splendente che sia, le cose, gli uomini, i diseredati, la sua forza e la fiducia nella nobiltà dell’esistere, sia nella purezza, sia nelle sue contaminazioni….per non parlare della tecnica chiaroscurale, in Ventrone pura, ostinata accademia di frigida, capillare realizzazione!

Luigi Crosio (1835 – 1915)

Pittore di genere e di ambito piuttosto commerciale, grafico, illustratore…Fu un artista che rappresentò quella tipica tendenza del gusto borghese fine ottocento che amò le rievocazioni dell’antichità classica con una tecnica liberty tardo-romantica che molto ricorda (ma in chiave qualitativamente minore ) le composizioni erotico-floreali di Mucha e le scenografie classicheggianti di Laurence Alma-Tadema.

Tutto un sentire pseudo- romantico e illustrativo di una presunta romanità, nel gusto salottiero frutto di quell’ambito piuttosto angusto e senza pretese eroiche della Torino sabauda post-riunificazione italiana…

Tom Roberts (1856 – 1931)

Emigrato con la famiglia in Australia nel 1869, a Melbourne, iniziò a praticare la tecnica fotografica, studiando contemporaneamente pittura con Frederick McCubbin. In seguito tornò in Inghilterra dal 1881 al 1885, dedicandosi totalmente alla pittura.

Quindi ancora in Australia,nel periodo degli anni ’90 in cui risalgono i suoi dipinti più noti.

A parte gli anni della prima guerra mondiale e seguenti,dove lavorò in un ospedale, visse in seguito e fino al suo decesso nella sua casa a Kallista vicino Melbourne anni sereni e produttivi.

Nella tradizione dei grandi paesaggisti inglesi, Roberts trova un suo spazio basato su una qualità pittorica di notevole livello, dove la sua visione acquista un respiro originale e intenso, a mezza strada tra l’Impressionismo di Monet e le elegie malinconicamente aristocratiche di Whistler. D’altro canto si distingue nell’uso della sintesi pittorica e nella rinuncia del descrittivismo che in alcuni esempi ricorda addirittura le macchie essenziali di un Fattori (vedi la celebre ” Rotonda Palmieri”)!

“Deposizione dalla croce” (dettaglio)

Pietro Lorenzetti ( 1280-1348)

Nella raffinata eleganza formale della Sacra Composizione vive pure il respiro di un umanissimo dolore, nel legame d’un amore inscindibile tra la Madre e il Figlio.

nelle forme estenuate e sottili, nella testa riversa del Figlio che offre alle mani sottili e febbrili di Maria il fluire a cascata dei suoi capelli, nella guancia che si stringe alla sua fronte, e la bocca e gli occhi di Lei che più non ha lacrime da spargere su quel corpo esile e abbandonato: in tutto domina lo strazio, pur muto e contenuto, di una Fatalità che è la Fatalità dell’Agnello sacrificale, e della sua crudele necessità.

Le forme e i lineamenti, pur ieratici e preziosi come diamanti incastonati, aldilà della ermetica fissità bizantina, indicano la nuova strada che s’inoltra verso la luce meridiana dell’Umanesimo, ma qui ancora tenera d’una dolcezza adolescenziale, nella fanciullezza d’un dolore stupefatto di sé. ( “Mors stupebit et natura”!)

Immagini di corpi che danno voce ai borsisti

L’esposizione è caratterizzata dalla diversità delle pratiche artistiche rappresentate, dalla letteratura alla creazione sonora, alla scultura, al restauro del patrimonio, all’architettura, alla fotografia e al video. Dall’ampia gamma di progetti emergono alcuni temi ricorrenti: il mondo vegetale, il corpo e le sue trasformazioni, le forme di resistenza, la dialettica tra esterno e interno, senza dimenticare la figura di Roma, città reale e fantastica.

Durante il loro anno nella capitale, i borsisti sono incoraggiati a vivere la residenza come un laboratorio di sperimentazione, che offre l’opportunità di condurre una ricerca a lungo termine, di esplorare nuove strade e di lasciarsi sorprendere e coinvolgere dai risultati degli incontri con altre pratiche artistiche e altre geografie. La mostra è un’estensione di questa esperienza, nonché un’opportunità per mettere in discussione il modo in cui vengono presentati i progetti che non rientrano nelle categorie espositive convenzionali.

Dalle oscurità sotterranee ai gorgoglii dell’acqua, dalle interpretazioni architettoniche dell’Antica Roma, con un’installazione di pietre, alle riflessioni sull’esilio di Hamedine Kane, (nato in Mauritania, vive tra Dakar, Bruxelles e Parigi,) propone un intervento sulla post-indipendenza di alcuni Paesi africani, con afro-nostalgia e afro-utopia, recuperando dall’Archivio Luce la testimonianza sul “Congresso mondiale degli scrittori” tenutosi a Roma nel 1959, portando avanti un progetto di ricerca su tre grandi scrittori afroamericani esiliati a Parigi nella seconda metà degli anni Quaranta e un sogno di libertà che stava per avverarsi.

Kapwani Kiwanga è un’artista franco-canadese che ha studiato antropologia e religione, con un progetto performativo “Remédiations” per affrontare il tema delle terre tossiche o contaminate e la possibilità di poterle curare, così come le nostre abitudini tossiche possono essere modificate per essere più sane.

Il mondo vegetale è al centro dei racconti raccolti dalla scrittrice Céline Curiol, che presenta, attraverso una postazione di ascolto, il racconto di storie d’amore aventi come pretesto, o oggetto, piante e fiori, raccontate delle voci di chi voleva offrirgliele. Anche il corpo, nei suoi diversi aspetti, rientra tra i temi affrontati da diversi residenti.

Il corpo visto da Jean-Charles de Quillacq attraverso i manichini mutilati, tra desiderio, allucinazioni, sdoppiamento, scomparsa, frammentazione, mimetismo sono alcune delle tecniche con cui il corpo supera i suoi limiti e si fonde come forma tra le forme. tre le sculture presentate sono state progettate per la mostra: organismi desideranti ed erotici che trasformano con la loro presenza lo spazio che occupano. Come spesso accade, una volta ricollocati nel laboratorio assumono una funzione scenografica per una performance dell’artista filmata da Ismaïl Bahri.

Séverine Ballon, musicista e compositrice, ha frequentato negli ultimi mesi il mercato di Piazza Vittorio, registrando le voci di chi lo anima e restituendo la loro presenza sotto forma di installazioni sonore e performance. Suoni casuali che incontrato i suoi per essere raccolti in una sorta di diario di voci canti parole che le ha raccolto durante un anno di frequentazione del mercato, incontrando la vivacità di un’ora prima del momento della chiusura, quando le associazioni di volontariato si occupano della distribuire il cibo e rimasto invenduto.

Laure Cadot presenta un calco in 3D del proprio cranio, per una sorta di test effettuato sulla propria persona, mettendo in discussione l’opportunità di presentare dei resti umani in un contesto espositivo, grazie anche a una serie di materiali di studio sul dibattito.

Il percorso si completa con le riflessioni di due scrittori. Justinien Tribillon con la sua riflessione sul rimpossessarsi del tempo nel ritagliarsi dei frammenti di pausa, all’interno dell’orario lavorativo, e dei materiali che trovano attorno a loro per dare forma alla propria creatività.

Mentre Pierre Adrian intervista Julie Hascoët, autrice delle fotografe capaci di raccontare i cambiamenti del paesaggio delle cave di marmo di Carrara: i luoghi raccontano la storia, l’economia, la politica di un paese; e, oggi, queste montagne rappresentano, più che un ricordo della Resistenza, il simbolo di un’abdicazione alle multinazionali straniere che acquistano terreni fino ad allora considerati bene pubblico e patrimonio dell’umanità.


A più voci
Mostra dei borsisti di Villa Medici
Dall’8 giugno all’8 settembre 2024

Accademia di Francia (Villa Medici)
viale della Trinità dei Monti, 1
Roma

A cura di: Cecilia Canziani e Ilaria Gianni, con Giulia Gaibisso (collettivo IUNO)

Con i 16 borsisti in residenza a Villa Medici:
Pierre Adrian, Mali Arun, Ismaïl Bahri, Séverine Ballon, Hélène Bertin, Alix Boillot, Madison Bycroft, Laure Cadot, Céline Curiol, Ophélie Dozat, Hamedine Kane, Kapwani Kiwanga, Laure Limongi, Morad Montazami, Jean-Charles de Quillacq, Justinien Tribillon

Informazioni:
tel. +39 06 67611


Saverio Ungheri: Il pulsante respiro dell’Arte

Non esiste solo la militanza politica o la critica militante modello anni ‘70 – ‘90, ma anche la militanza artistica, non solo basata su di un messaggio sociale o politico, ma quella aperta ad altri artisti, capace di andare oltre una individuale elaborazione, per una discussione comunitaria, rimanendo sospettosa verso gli altri artisti.

La militanza artistica vera, quella aperta agli altri, è quella che Saverio Ungheri ha portato avanti per anni, offrendo il suo spazio, il suo “Polmone Pulsante”, ad altri artisti la possibilità di mostrare i propri lavori in uno spazio espositivo avulso da burocratismi.

Il “Polmone Pulsante” era l’antro dell’artista-archimista Saverio Ungheri, salotto per disquisire di arte e di altro, passando dal tenebroso luogo dell’inventore di macchine, alla luminosità del palazzo per acquisire una nuova visione delle opere, non tanto di quelle pittoriche, ma soprattutto quelle robatiche.

Uno spazio, quello di via Merulana, dove la selezione di opere pittoriche, con una frammentazione a bande orizzontali o verticali per un’idea di finestre, si aprono a nuova vita e possono godere di un ampio confronto con i marchingegni robotici, con la sensibilità verso l’ambiente, individuando molti anni orsono la plastica come un pericolo, con la pittura Metapsitica e l’Astralismo di forme e colori.

Il “Polmone Pulsante”, grazie al figlio Andrea, ritornerà ad essere luogo di confronto artistico, dove ammirare le opere nello strano mondo del “protoscienziato” Saverio Ungheri e scoprire la Roma antica della salita del Grillo, dove un tempo sorgeva la chiesa di San Salvatore delle Milizie.


Saverio Ungheri
Visioni Metapsichiche
Dal 12 giugno al 25 agosto 2024

Palazzo Merulana
Roma

A cura di Andrea Romoli Barberini
In sinergia con Fondazione Elena e Claudio Cerasi e CoopCulture


Alla ricerca degli artisti perduti 9

LUIGI CRISCONIO (1893 – 1946)

Iscritto nel 1913 all’Accademia di Belle Arti di Napoli, se pure per temperamento fu avverso alla pittura accademica, fu grande ammiratore di Michele Cammarano, usufruendo del suo prezioso insegnamento.
Continuatore del tradizionale “Vedutismo” meridionale, se ne discosta per una vena tutta sua di disincantata malinconia in cui la tecnica eminentemente impressionista assume valenze di sintesi che saranno più tardi di un Sironi, di un Carrà.
Fu presente poi in importanti esposizioni in Italia e all’estero.
Non molto amato dalla critica ufficiale per la sua visione di un paesaggio che allude a venature crepuscolari e più introspettive, come solitamente accade, dopo la sua morte fu ampiamente rivalutato come addirittura il più grande pittore napoletano del XX secolo!

EGON SCHIELE (1890 – 1918)

Schiele è stato un “caso” a sé: intelligenza creativa e visione originalissima della realtà figurativa in modi precocissimi e già risolutivi fin dall’inizio del suo breve percorso artistico.
Espressionista fin dal profondo di sé, provenendo dai preziosi languori del Decadentismo europeo (Klimt ), ha subito preconizzato gli sviluppi della nuova figuratività nella drammatica interiorizzazione di un eros non felice né compiuto, come slancio disperato che ha in sé le conseguenze del “cupio dissolvi” della musica di Mahler, intuizione del germe mortale che già si insinua nei pallori, nei lividi verdi dei suoi adolescenti colti nella muta stupefazione del proprio esistere già contaminato dalla consapevolezza della propria fragilità.
Tutti esiti figurativi di altissima qualità che fanno di Schiele la promessa mantenuta dell’enfant prodige del neonato espressionismo, e per gli sviluppi imprevedibili che purtroppo non furono realizzati per la sua giovane vita recisa ad appena 28 anni dalla terribile “Spagnola”, la peste europea che tante vite distrusse nei primi venti anni del ‘900!

MARIO SIRONI (1885 – 1961)

La pittura di Sironi che tanto amo, forte, densa,quasi sbalzata dalla tela, con le sue stesure di terre corpose e calde, nella solitudine sospesa di una città in attesa di un evento surreale che pure non verrà; una solitudine che sa di silenzi e antiche malinconie.

Markus Yakovlevich Rothkowitz detto MARK ROTHKO (1903 – 1970)

…E’ INCREDIBILE COME IN ROTHKO STESURE APPARENTEMENTE PIATTE EVOCHINO INVECE PROFONDITA’,PIANI E PROSPETTIVE INSONDABILI E SORPRENDENTI: E’ LA STESSA MISTERIOSA PROFONDITA’ DELL’ANIMA CHE SI MANIFESTA…Non c’è la figura,né uno spazio determinato da coordinate prospettiche, ma c’è lo spazio dell’interiorità animica: il mistero più antico e arcano dell’Universo…..ed è sepolto in noi!