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Bottega del Misantropo: Tutti in cucina!

00 AdN Bottega del Misantropo_logo_1È luogo comune, comunissimo, che delusi e frustrati negli affetti, nella ricerca del successo e di quant’altri fondamentali desideri, ci si “butti” per consolazione nelle tiepide braccia dei conforti cibari. Beffati dalla sorte nella testa e nel cuore, ci si rivolge alla pancia.. Già, la famosa “gratificazione orale”, ve ne ricordate?
Eravamo piccoli infanti e il cibo era molto di più che una necessità di mera sopravvivenza, era sicurezza, amore, dolce mammella, infantile, innocente orgasmo. Ne sa ben di più di qualcosa il vostro misantropo, più di chiunque per sua natura deluso, amareggiato, schifato dalla circostante umanità, nel suo amore, ma che dico amore… passione! per cibi, ricette, fornelli, odori e sapori, domestiche e rassicuranti nicchie di antichi baci materni. E se così è ecco spiegarsi l’alluvione, il profluvio ovunque e dovunque di chef, presunti chef, massaie in azione culinaria, gustatori e gustatrici e di innumerevoli trasmissioni incentrate sullo spettacolo gastronomico. Che di vero e proprio spettacolo ormai si tratta; lo show delle dispute e delle gare mangerecce ha travalicato ogni limite, inondando di sé ogni recinto circostante. Se una volta era solo uno spazietto umile e dimesso senza pretese intellettualistiche, siparietto per grigie massaie, ora è un oceano che ha surclassato quiz, talk show, dibattiti d’arte storia e filosofia, invadendo financo il semiproibito spettacolo erotico: anche la pornostar, il politico, il calciatore, l’attrice, il mistico, indossano la “parannanza” e si gettano felici nella mischia gastronomica.
Si spadella a tutte l’ore, un persistente odor di soffritto ha invaso stazioni pubbliche e private, ha oscurato sesso e politica (grandi delusioni!).
Maestri e boss della dietetica imperversano infliggendoci dall’alto della loro mutria pseudoscientifica una ridda, un balletto di diete, regimi, calcoli calorici e bilancini psicoalimentari litigando e contraddicendosi come nelle dotte dispute dei maggiori filosofi. Insomma se la piccola nicchia consolatoria, lo spaghetto di mezzanotte, o la semplice pastarella divorata di nascosto è ormai aperta e assordante questione planetaria, vuol proprio dire che siamo tutti tornati in braccio a mammà, anzi alla nonnina, e alla loro fragrante cucina che curava le nostre lacrimucce, i primi calci e schiaffi presi per strada. Ma le umiliazioni e le piccole ferite della nostra infanzia ormai sono una totale, divorante frustrazione globale, un inganno generale nel quale restiamo tutti orfani e abbandonati senza niente a cui aggrapparci. Crisi è parola ancor troppo generica: è una voragine, un buco nero che ogni giorno inghiotte speranze, affetti, entusiasmi, progetti, desideri. Non ci resta nulla o quasi. Miseria e angoscia bussano alla porta?…
Niente salotti o anticamere, tutti in cucina! Se ci stiamo ormai troppo stretti bisognerà allargarla…

 

 

Bottega del Misantropo: Un poeta … ma come si permette?

00 AdN Bottega del Misantropo_logo_1-ridConfessiamolo. Qualcuno di voi, pur appassionatamente dedito alla scrittura poetica alla quale dedica tempo, ricerca, approfondimento, diciamo pure lavoro di mente di spirito e di corpo, osa ciononostante presentarsi pubblicamente in quanto tale, cioè poeta? — “Buongiorno, molto lieto!.. Non ho ben compreso, di che si occupa?”— “Ah sì, sono un poeta!” — Al che gustatevi il viso dell’interlocutore che rapidamente scolora dallo stupore all’imbarazzante mortificazione. Forse il signore pensa di essere preso in giro e non sapendo come continuare la conversazione abbozzerà un forzato sorrisetto guardandosi intorno in cerca disperatamente di un appiglio esterno. Forse potrebbe, essendo spiritoso, non battere ciglio e replicare: “Ah, bene! Io invece sono un astronauta!.. Incontriamoci qualche volta!” Ma c’è di peggio. Si può avere a che fare con sciocche signore che all’udir ciò, come se aveste detto di vivere nel mondo delle fate e dei balocchi parlanti, si accendono di un sorriso ispirato: “Beato lei!.. Che bello!”, come foste un felice demente che si trastulla con nuvole e fiori ignaro della dura realtà.
Non parliamo poi di altre reazioni addirittura offensive o indecenti, da chi vi prende per un patetico matto, o per un ubriaco o un drogato, o un delirante barbone infiltratosi alla festa senza invito, come quei mattacchioni che vanno ai festini matrimoniali spacciandosi per parenti.
Insomma, non facciamola lunga, poeta sic simpliciter non si dice (anche se lo si è, e ci costa una vita quasi sempre ai margini). Meglio, come pur fecero fior di poeti, denunciare il banale ruolo sociale, il lavoro di cui bene o male si vive: “Sono un ingegnere, insegno, inforno pane, faccio il postino ecc. ecc.”— Probabilmente anche Dante o Shakespeare, sollecitati dal solito importuno o ufficialmente intervistati, si sarebbero ben guardati dal dire:” Sì, sono un poeta!… E lei che fa?” — E che dire delle graziose fanciulle, magari ispirate ad un probabile accoppiamento con voi: “Che fai nella vita tesoro?” — “Ah sì, faccio il poeta!” — Figuratevi la fuga più o meno precipitosa che possono prendere le nostre amiche, o magari vi ridono in faccia cercando in fretta qualcun’altro più “uomo” e sicuro. Perché, fra l’altro, essendo le donne le note depositarie in terra dell’essenziale, solido realismo (non fatevi prendere in giro dai loro finti languori romantici!) dal momento della vostra incauta esternazione non scommetteranno più un centesimo sulla vostra capacità di farvi largo nella vita, e nemmeno forse sulla vostra capacità amatoria!… Che uomo è, diciamolo, un poeta?
Una volta era un decorativo cortigiano confuso al buffone e al saltimbanco, buono per ruffiani panegirici in lode di battesimi matrimoni e funerali. Ma questo ruolo, che benché modesto dava pur da mangiare, oggi in totale abbandono, relega infine il nostro poeta tra gli inutili, superflui, oziosi, improduttivi esseri della nostra felice società… Dirò di più, il tale che si definisce a viso aperto poeta (che faccia tosta!) è sicuramente qualcuno da tenere a bada, un asociale, un instabile, un labile e malsicuro individuo capace di tutto, una pecora nera da cui guardarsi, può rubarvi in tasca o mettervi una bomba in casa, offendere le signore o fare la pipì fuori dal vasino. Si dice: un poeta a che serve? I rari, rarissimi fortunati e privilegiati che con i loro versi hanno incredibilmente raggiunto le vette della celebrità, più che altro vivendo poi di saggi e recensioni, sollecitati in pubblico amano definirsi più genericamente “scrittori”, che è un tantino più rassicurante, quasi una onorevole professione.
Oppure coraggiosamente confesseranno di “occuparsi di poesia” come una materia di studio, da entomologo che osserva le farfalle o un archeologo che scava i ruderi… Eppure, infine eccoci qua, che spudoratamente ammetto di amare e vivere della mia poesia (anche se il pane, si sa, ce lo dà lo stipendio o la pensione). Sì, lo confesso, sono un poeta!.. Ed ecco la signora dilatare gli occhi, corrugare le sopracciglia e torcere le labbra in un moto quasi di stizza: “Un poeta?…… Ma come si permette?”.

Bottega del Misantropo: Catastrofi, che passione!

00 AdN Bottega del Misantropo_logo_1Se comete-killer o asteroidi impazziti non faranno scempio di noi come bersagli da luna-park, se non arrostiremo in un immane “barbecue” da megaeruzioni solari o annientati da interstellari raggi-gamma, se non ghiacceremo inglobati nei nevai di prossime glaciazioni… bé, forse ci toccherà morire di noia tramortiti dalla serie infinita (prevalentemente di produzione americana) degli immancabili film-catastrofe! Pare che negli “States” il genere sia richiestissimo, magari iettatorio e di malaugurio nel resto del mondo, ma invece laggiù, nella felice terra della democrazia e delle opportunità il cittadino medio soffre i piaceri e i dolori di una autocastrazione da futuro incerto e tenebroso.
Ebbene, è così: nella terra dell’ottimismo a tutti i costi, degli inevitabili “Happy end”, degli ingenui e zuccherosi idealisti, dei don Chisciotte in jeans lancia in resta contro i cattivi e dai solidi bilanci comunque in attivo, proprio laggiù, per imperscrutabili labirinti di autopunizione e di indecifrabili paure chissà da quanto sopite, il felice popolo dei liberatori, dei rudi e leali cow-boys, dei coraggiosi astronauti, è diventato un popolo di annichiliti spettatori che si crogiola e si fustiga nell’attesa del fatale, apocalittico sterminio! La serie dei film è praticamente infinita, un esercito di sadici sceneggiatori ogni giorno ne sfornano uno per l’orgia spettacolare di un ormai imbarazzante masochismo: se non è il pianeta che sbrocca da sé è un dannato asteroide che ci punta, se non è un’invasione di crudelissimi alieni è un nuovo diluvio universale o magari una schifosa epidemia incontrollabile…
Ma da chi o da che cosa questo ex-felice paese vuole punirsi? Perché invoca continuamente quasi con lascivia la terribile scimitarra divina?… Forse per antiche sopraffazioni e ingiustizie perpetrate sempre in nome dell’equivoca libertà? Forse pr delitti e oscure trame nascosti sotto il tappeto? O non è una specie di catastrofica liberazione invocata dalla corrotta metropoli-gomorra dove di tutto si fa merce in nome del fondamentale profitto?… E se fosse ormai un incubo ricorrente per esorcizzare l’orrore di un indimenticabile 11 Settembre? Certe ferite sono indelebili e lasciano strascichi che è difficile superare. Penso ai reduci dei campi di sterminio che non riuscirono a dimenticare e a ritornare a una vita serena (qualcuno si è suicidato), penso agli incubi dei giapponesi dopo Hiroshima e alla loro filmografia postbellica popolata di mostri orrendi. Penso anche ai disadattati reduci del Vietnam coi loro fantasmi e i loro rimorsi.
Ogni ferita lascia una cicatrice più o meno dolorosa… Ma l’alluvione, l’onda anomala dei film-catastrofe è ormai nell’ordine della quotidianità, della routine, quasi una frenesia compulsiva, irrefrenabile.
Francamente, senza voler rubare il mestiere e le necessarie diagnosi agli agguerriti psicologi, noialtri della vecchia Europa (ahimé…quanto carichi di ferite e rimorsi secolari!) ci rifiutiamo decisamente alla guercia e iettatoria manìa di chi ci perseguita con l’implacabile: “Ricordati fratello che devi morire”. Sì, lo sappiamo bene, ed è per questo che amiamo tenacemente la vita, magari non ricambiati, nonostante tutto, senza volerla inquinare con tetre e punitive autoinquisizioni, abbiamo imparato ad amarla giorno per giorno, fino all’ultimo respiro!