Tutti gli articoli di Luigi M. Bruno

Alla ricerca degli artisti perduti 14

Antonio Mancini ( 1852 – 1930)

Straordinario questo dipinto “liquido” nelle sue dissolvenze che coniuga attenzione e sensibilità alla resa momentanea della realtà che trasfigura genialmente nell’astrazione … Mi ha fatto pensare a Turner, ma a un Turner che rifiuta i grandi orizzonti romantici per un minimalismo poetico che nel dettaglio contiene l’intuizione del tutto.

Da Duchamp a a Cattelan

.. Infatti nasce tutto da lì, dai “dada”, reiterati poi nella Pop Art della seconda metà del ‘900: la riscoperta dell’oggetto di uso comune a emblema concettuale. Va bene, ma secondo me l’oggetto in sé, nudo e innocente, doveva fare un percorso minimo di elaborazione per tradurre in modo creativo e soggettivo l’idea iniziale (vedi gli stupendi “scarponi” di van Gogh).

Invece tutto ciò, dagli inizi del ‘900 fino ad oggi, imperversa l’alibi, da Duchamp a Warhol a Cattelan. alibi che purtroppo ha dato l’agio a innumerevoli “operatori” del concettualismo, digiuni di tecnica e qualità creativa, di imporre ed elevare i loro oggetti a veri e propri diktat culturali …

Jackson Pollock (1912 – 1956)

Uno dei casi rarissimi in cui la violenza istintuale predomina sulla volontà estetica… Infatti, in questi eventi, per una sorta di automatismo inconscio, l’artefice agisce secondo impulsi innati che portano infallibilmente ad un risultato inevitabile, una struttura, un disegno…

Alla ricerca degli artisti perduti 13

Winslow Homer (1836 –1910)

Fu pittore statunitense di stile naturalista improntato ad un vigoroso realismo che non tradì mai, nemmeno quando frequentò a Parigi gli impressionisti francesi con cui pure condivise l’attenzione e l’amore per la realtà.

Fu celebre illustratore della guerra civile americana che da buon cronista vide e sperimentò da vicino. Visse per due anni in Inghilterra, tornando poi in patria: fu il periodo dei paesaggi marini, dei pescatori solitari e le loro difficoltà di eroica sopravvivenza in lotta con gli elementi naturali.

Nel dipinto qui proposto intitolato ” Alla finestra” Homer vive un momento di delicato intimismo nel tepore della luce campestre che modella una figura adolescenziale, in una pausa di malinconica riflessione.

Piet Mondrian (1872 – 1944)

Un artista dalle potenzialità straordinarie, un autentico studioso della materia figurativa nelle sue dinamiche e potenzialità, purtroppo, dico purtroppo, (e me ne assumo la responsabilità critica) completamente sacrificatosi poi sull’altare della rigida se pur significativa concettualità simbolica e filosofica nell’indagare i moventi essenziali della struttura elementare, rinunciando alla bellezza e alla qualità estetica dei suoi dipinti precedenti alla sua “conversione” astratta; dipinti pregevoli del resto, summa di quel simbolismo nordico (Munch), ma ancor più innervato di quella malinconica riflessione nell’evocare atmosfere di luci, nebbie e cromie, nella stupefazione quasi mistica di una natura trasfigurata dalla contemplazione amorosa dell’artista.

Egon Schiele (1890 – 1918)

Eppure c’è qualcosa nella pittura di Schiele, sicuramente prepotente originale e intensa, che sento come sgradevole; è la frigidità di uno scienziato dell’anima nel rappresentare l’incombere della morte in ogni cosa, o ancor più della spietata miseria della carne e della sua eredità di dolore e di pena.

Quasi sento il metallo tagliente di un bisturi e la freddezza di un anatomista. Egli ebbe l’amara capacità di conoscere e penetrare, ancor giovane ( morirà a 28 anni), il  necessario destino della vita e dei suoi slanci, nel livido apparire del suo disperato nichilismo.

Giulio Ruffini (1921 – 2011)

Artista romagnolo di solido impianto verista, con spatolate e drastici tagli che ricordano Guttuso e l’impegno sociale di Carlo Levi; senonché c’è in Ruffini una sincera attenzione per lo spazio e le forme che ha radici ottocentesche, forse nell’aspro Courbet.

Usa la macchia ma rifiuta la solarità degli impressionisti, in certe figure tratteggia la fissità ieratica di Gauguin, ma in sostanza senza eroismi e drammi descrive il suo mondo, rurale e provinciale, un piccolo mondo di affetti e tradizioni della sua gente emiliana.

Provinciale sì, ma con modi e soluzioni di temperamento dichiaratamente espressionista, nell’alternare là dove indugia nell’intimismo, e altre volte nel risolvere con sintesi sicura il cuore di un’umanità ferita.

Cattelan e la banana

Va bene. L’arte non deve necessariamente essere espressione di elevazione estetica, bellezza formale e grazia. Qui nessuno vuole tornare al Neoclassicismo o all’età d’oro di Fidia. D’accordo. Ma prendiamo per esempio l’Espressionismo ( Schiele, Kokoscha, Munch ecc.). Questi artisti esprimono una dimensione fortemente critica, financo dolorosa o addirittura sgradevole (Francis Bacon), se non in totale dissoluzione (Pollock) di una società evidentemente in crisi, violenta, opprimente e aberrante (Otto Dix, Grosz,Soutine ecc.)…. Ma ,vivaddio! Anche l’artista più rivoluzionario “scandaloso” e dirompente (le “Demoiselles d’Avignon” picassiane) determina comunque un linguaggio,una sua estetica ,una sua qualità formale, astratta o figurativa che sia, un suo codice cespressivo, per cui possiamo sempre parlare di gesto creativo, di arte.

Siamo sicuri che la banana o i “cessi” di Cattelan, o altri divulgatori simili, siano le uniche proposte capaci di scuotere e far riflettere e riconsiderare gli eventi negativi di una società smarrita in cerca di risposte?

Mi permetto di restare nella convinzione che un artista, nel vero che sia, può determinare qualsiasi linguaggio di rottura o rivoluzionaria sperimentazione, sì, ma lavorando ed elaborando una sua categoria formale.

Credo fermamente che il cosiddetto “mercato” internazionale che asseconda (da decenni!) le performance in questione, non solo non serve a dirimere e chiarificare necessità di denuncia e tantomeno a proporre nuove devianze estetiche, ma ancor più crei alibi e confusione in un mondo dell’arte già di sé bastante confuso e disorientato.

Tranquillo Cremona (1837 – 187)

Il languore non plus ultra dello sfumato nell’ultimo strascico del Romanticismo; e la passione amorosa che si stempera nel calore delle guance malate d’una febbre cromatica.

Ardori, passioni, svenimenti e abbandoni di provinciali Bovary di un pittore dedito alla dissipazione malinconica dell’ultimo “scapigliato” che chiude coerentemente con la morte da saturnismo ( spalmava il piombo dei suoi colori con le dita sulla tela).

Non so perché, associo da sempre la pittura di Cremona alla grigia dissolvenza borghese nella penombra del salotto “buono” tutto un secolo di slanci ed eroiche follie, di bandiere al vento, di “..chi per la patria muor..”, e santi condottieri!

Alla ricerca degli artisti perduti 12

Paul Klee Astratto

… L’astrattismo di Paul Klee come un ricamo, un pizzo di Fiandra, un geroglifico gotico di trasparente eleganza, senza urla e senza eccessive malinconie: l’apparenza trasfigurata nella raffinata calligrafia di un poeta sicuro e preciso come un chirurgo dell’anima.

Giovanni Carnovali, (anche Carnevali) detto Il Piccio (1804-1873)

Pittore di scuola lombarda, fu artista di temperamento romantico ,ma di un romanticismo temperato e riflessivo, sopratutto nei ritratti in cui diede ottimi risultati, parimenti influenzato dal più classico Hayez e il più dinamico Delacroix.
Ma è nelle figurazioni mitico/allegoriche che il Piccio libera un temperamento arioso e innovativo in cui le figure si mescolano alla luce di una dissoluzione cromatica che prelude alla pittura di Segantini, e forse ancor più a certe liquide dissolvenze di Monet.

Telemaco Signorini – Strada della Capponcina.

Ecco uno scorcio apparentemente banale di vita paesana: una stradina, un muretto, una luce mattutina, un silenzio…Ma nella quotidianità di un vissuto semplice e scontato è la poesia vera dell’umana esistenza, una dimensione emozionale fortemente radicata nei suoi valori di tempo, di spazio, di luce e di memoria…che altro è la poesia?

Rubens

Non mi piacciono gli eccessi barocchi tipici in Rubens, eccessi che spesso non trovano ragione nella drammatizzazione della scena ma vivono del puro piacere estetico della forma; ma trovo straordinaria la dinamicità in questo dipinto, un movimento che trova nella curva del Cristo morto la chiave di volta quasi di uno spartito musicale…

Maurizio Cattelan: la fortuna di fare notizia

….Ancora e sempre “messaggi”, pretesa ironia, concetti, significati…Va bene, e l’opera? L’opera conta, la forma, il suo valore estetico; non si può fare un’opera d’arte solo con i “contenuti” e le pretese rivelazioni pseudo filosofiche…E’ come venderti una cornice che promette un dipinto che non c’è….In altri termini, non basta snocciolare la trama dell’Amleto: bisogna scriverne i versi, parola per parola, altrimenti sono solo fatterelli, pettegolezzi e ideuzze. Non prendiamoci in giro per favore!

Alla ricerca degli artisti perduti 11

Espressionismo

L’Espressionismo che sempre fu vivo negli artisti e nell’arte, secolo dopo secolo, dall’Ellenismo al Barocco, nell’alternarsi all’olimpico classicismo e il suo sogno di divina armonia (follia dionisiaca e solarità apollinea secondo Nietsche), volle invece dar voce all’umanissima e astrusa pena dell’esistere e delle sue ragioni, ora rabbiose, ora passionali, ora di rivolta, nell’indagare fin nel profondo e misterioso innervare di anima e carne, sangue, libido e disperare, il senso straziante o grottesco, irridente o spietato, d’una interiorità vissuta con anatomica sincerità, grandezze o miserie che fossero, deliri e sogni, d’un rivelatore viaggio agli inferi, alle voci celate o mascherate che s’annidano là dove sgorga la sorgente nascosta e primeva del nostro procedere, lento o turbinoso che sia; fino alla foce che tutto annienta, senza nulla spiegare…

Aubrey Beardsley ( 1872 – 1898)

Volle definirsi “grottesco”, ma più che grottesco Beardsley direi esasperatamente raffinato, di quella raffinatezza tipicamente decadente che fu la stagione della grande letteratura esausta, sensuale, dal gusto un pò deviante e tetro, e anche patetico se si vuole, come la “Patetica” di Chaicovsky, grondante il piacere della morte e l’autocompiacimento della dissoluzione, di astruse pene e implacabili tubercolosi, morti premature e, appunto, raffinatissime malinconie : Mahler, Debussy, Wilde, Proust, d’Annunzio ecc.. .Il fascino di un’epoca nel suo splendido languire, e una nuova stagione creativa che s’annuncia prepotente: il Novecento e le sue avanguardie!

La matrice Espressionista dell’arte contemporanea

… Più vedo, esamino, ricerco, commento, più prendo atto che la quasi totalità dell’arte contemporanea, dico contemporanea, non le cosiddette avanguardie storiche del novecento, è figlia geneticamente della matrice espressionista, laddove per espressionismo si determina la crisi della umana società che esamina e cauterizza spietatamente le proprie ferite e le proprie viscere..

Alla ricerca degli artisti perduti 10

Luciano Ventrone vs Caravaggio

… EPPUR, PAR VERO!… (la verosimiglianza non è tutto!)

Luciano Ventrone, ribattezzato da pregevoli critici ” il Caravaggio del XX secolo!”

.. .Non c’è niente di Caravaggio, né la sua passione profondamente umana, nè la sua disperata carnalità, nè la rabbia, né l’amore incondizionato per la vita misera e splendente che sia, le cose, gli uomini, i diseredati, la sua forza e la fiducia nella nobiltà dell’esistere, sia nella purezza, sia nelle sue contaminazioni….per non parlare della tecnica chiaroscurale, in Ventrone pura, ostinata accademia di frigida, capillare realizzazione!

Luigi Crosio (1835 – 1915)

Pittore di genere e di ambito piuttosto commerciale, grafico, illustratore…Fu un artista che rappresentò quella tipica tendenza del gusto borghese fine ottocento che amò le rievocazioni dell’antichità classica con una tecnica liberty tardo-romantica che molto ricorda (ma in chiave qualitativamente minore ) le composizioni erotico-floreali di Mucha e le scenografie classicheggianti di Laurence Alma-Tadema.

Tutto un sentire pseudo- romantico e illustrativo di una presunta romanità, nel gusto salottiero frutto di quell’ambito piuttosto angusto e senza pretese eroiche della Torino sabauda post-riunificazione italiana…

Tom Roberts (1856 – 1931)

Emigrato con la famiglia in Australia nel 1869, a Melbourne, iniziò a praticare la tecnica fotografica, studiando contemporaneamente pittura con Frederick McCubbin. In seguito tornò in Inghilterra dal 1881 al 1885, dedicandosi totalmente alla pittura.

Quindi ancora in Australia,nel periodo degli anni ’90 in cui risalgono i suoi dipinti più noti.

A parte gli anni della prima guerra mondiale e seguenti,dove lavorò in un ospedale, visse in seguito e fino al suo decesso nella sua casa a Kallista vicino Melbourne anni sereni e produttivi.

Nella tradizione dei grandi paesaggisti inglesi, Roberts trova un suo spazio basato su una qualità pittorica di notevole livello, dove la sua visione acquista un respiro originale e intenso, a mezza strada tra l’Impressionismo di Monet e le elegie malinconicamente aristocratiche di Whistler. D’altro canto si distingue nell’uso della sintesi pittorica e nella rinuncia del descrittivismo che in alcuni esempi ricorda addirittura le macchie essenziali di un Fattori (vedi la celebre ” Rotonda Palmieri”)!

“Deposizione dalla croce” (dettaglio)

Pietro Lorenzetti ( 1280-1348)

Nella raffinata eleganza formale della Sacra Composizione vive pure il respiro di un umanissimo dolore, nel legame d’un amore inscindibile tra la Madre e il Figlio.

nelle forme estenuate e sottili, nella testa riversa del Figlio che offre alle mani sottili e febbrili di Maria il fluire a cascata dei suoi capelli, nella guancia che si stringe alla sua fronte, e la bocca e gli occhi di Lei che più non ha lacrime da spargere su quel corpo esile e abbandonato: in tutto domina lo strazio, pur muto e contenuto, di una Fatalità che è la Fatalità dell’Agnello sacrificale, e della sua crudele necessità.

Le forme e i lineamenti, pur ieratici e preziosi come diamanti incastonati, aldilà della ermetica fissità bizantina, indicano la nuova strada che s’inoltra verso la luce meridiana dell’Umanesimo, ma qui ancora tenera d’una dolcezza adolescenziale, nella fanciullezza d’un dolore stupefatto di sé. ( “Mors stupebit et natura”!)