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Piani di Guerra

“Un piano funziona finché non viene applicato alla realtà” (Erwin Rommel)

A cent’anni dall’inizio della Grande Guerra si stanno naturalmente moltiplicando gli studi storici e questo libro del col. Filippo Cappellano, (Ufficio storico SME) esplora un campo finora poco esplorato: i piani di guerra del nostro Stato Maggiore. Si parte dal lontano 1861 per finire al 1915, coprendo un arco di oltre mezzo secolo, durante i quali si mantiene un’impostazione difensiva, per poi elaborare piani di attacco che poi non funzioneranno, come del resto non funzionarono quelli tedeschi, né quelli degli altri eserciti. Il pregio del libro, oltre a quello di una precisa documentazione d’archivio, consiste nell’inquadrare il problema geopolitico, per poi collegarlo alle oscillazioni della politica estera italiana.
Cominciamo appunto dalla geografia e dal modo in cui essa condiziona la politica. L’Italia è in fondo un paese fortunato: il mare da tre lati e l’arco alpino sono confini naturali che la Polonia si sogna. Se le coste sono vulnerabili – ma cent’anni fa non esistevano i mezzi da sbarco usati vent’anni dopo dagli Americani nel Pacifico e in Normandia – l’esercito può facilmente difendere la frontiera alpina, e non per niente abbiamo creato gli Alpini. Il problema strategico è identificare il nemico, e qui emerge il limite strutturale della politica estera italiana: la sua discontinuità. Il giovane Regno d’Italia si è dovuto confrontare con l’egemonia francese nel Mediterraneo e con l’Impero Austro-Ungarico per i 600 km che vanno dal Trentino fino a Trieste, arrivando a firmare con quest’ultimo e con la Germania la Triplice Alleanza nel 1882, ma senza mai sentirsi con le spalle coperte, una mancanza di fiducia peraltro ricambiata dall’inizio alla fine dagli Austriaci. In realtà la strategia militare italiana fu impostata quasi sempre sulla difensiva: lo consigliavano le dure esperienze precedenti e la debolezza strutturale italiana. Gli Austriaci combattevano da mille anni ed erano superiori per risorse militari, economiche e demografiche, mentre il giovane Regno d’Italia, anche se militarista, era carente sul piano industriale e ancora poco coeso su quello sociale. Niente di strano dunque che i piani di guerra fossero impostati sulla difensiva e sulla controffensiva, anche se – secondo la situazione politica – poteva cambiare il settore di arco alpino da difendere. Alla fine del 1914, però, col ribaltamento delle alleanze, lo Stato Maggiore dell’Esercito aggiornò la pianificazione operativa in senso offensivo. Il gen. Luigi Cadorna progettò così un ambizioso piano offensivo, mirato all’invasione della Duplice Monarchia che si fondava sulla cooperazione delle forze russe e serbe, nel frattempo entrate in guerra. Si scartò l’invasione del Trentino perché troppo difeso (il nostro esercito difettava di artiglieria e di munizioni adeguate) per concentrarsi sul Cadore e su Gorizia, trascurando il Tarvisio (da cui si penetra a Klagenfurt e poi a Graz) e finendo invece per incunearsi nella lunga valle dell’Isonzo, in modo da puntare su Lubiana e poi ricongiungersi alle truppe russe e serbe. Così descritto un piano del genere sembra quasi realistico, mentre invece era pura follia.
Intanto, se era giusto pensare alla cooperazione con altri eserciti, nel 1915 Russi e Serbi erano già stati fatti a pezzi. Secondo, se le Alpi sono per noi una barriera difensiva, lo sono anche per gli Austriaci. Per chi non avesse chiara la geografia, diciamo che in Austria si può penetrare da pochi valichi: da ovest a est, rispettivamente dal Brennero o la Val Pusteria; dal Cadore via Cortina; dal Tarvisio venendo da Udine, oppure si può risalire la valle del Tagliamento da Tolmino via Caporetto sino a Lubiana. Più facile a dirsi che a farsi: la guerra sul fronte alpino fu qualcosa di unico nella storia militare per l’impegno richiesto a cinque milioni di soldati italiani mandati a vivere e combattere sulle montagne, ma soprattutto fu uno spreco di risorse. Il piano di Cadorna era affrettato e l’autore lo dimostra dati alla mano. Il rovesciamento delle alleanze sorprese dunque anche i militari, abituati da cinquant’anni a una strategia difensiva. Ma nessuno aveva mandato ufficiali osservatori a studiare la guerra sul fronte francese, così la fanteria andava all’attacco con tattiche superate e armi inadeguate, mentre il nemico sbarrava gli accessi alle vallate strategiche. In realtà nessun piano elaborato dagli Stati Maggiori dei grandi eserciti europei funzionò, a cominciare dal collaudato piano Schlieffen dei Tedeschi per invadere la Francia. Si trattava di elucubrazioni di generali nati tutti nell’Ottocento e incapaci di adeguare il loro cervello alla tecnologia del Novecento, fatta di mitragliatrici, cannoni, gas, radio, aerei, camion e mezzi meccanici. Il piano di Cadorna era nel migliore dei casi molto ottimistico, ma in fondo i suoi colleghi europei non erano migliori di lui e quelli che furono all’epoca celebrati come grandi generali, oggi sarebbero rimossi dall’incarico entro un mese. Ma a cento anni di distanza dalla Grande Guerra ancora non abbiamo imparato due lezioni fondamentali: che una guerra costa più di quanto ottiene, e che una guerra nuova non somiglia mai a quella precedente.

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Libri Piani di guerra 001Autore: Filippo Cappellano
Titolo: PIANI DI GUERRA dello Stato Maggiore Italiano contro l’Austria-Ungheria (1861-1915)
Editore: Rossato, 2014
Pagine: 168

Prezzo: € 19.00
Isbn 978-88-8130-127-0
Fotografie, cartine e illustrazioni: 71

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