Tutti gli articoli di Marco Pasquali

Descrivere la guerra

L’anno ora chiuso ha visto solo guerre: fra Russia e Ucraina, fra Israele ed Hamas ed Hezbollah, in Sudan, e a fine anno il crollo del regime siriano di Assad e una serie di effetti collaterali dal futuro incerto e di difficile analisi. Una situazione generale dove ognuno ha fatto quello gli pareva e le Nazioni Unite e le loro agenzie (Unifil per prima) hanno dimostrato la loro assoluta inutilità, non essendo capaci non dico di tenere separati gli avversari o scortare i convogli umanitari, ma neanche di proteggere i propri funzionari e soldati dai proiettili di chi dovevano controllare. Ma, soprattutto, le Nazioni Unite si sono dimostrate per quello che sono: una sovrastruttura, incapace di modificare nel profondo la politica e i rapporti fra le nazioni. Ma quello che voglio qui proporre è una breve analisi del modo in cui queste guerre vengono descritte da alcuni mass-media. Naturalmente prevale sempre la narrazione che svilisce il nemico ed esalta il proprio esercito, ma possiamo avere anche sorprese.

La stampa svizzera, p.es., non è mai di parte essendo la Svizzera neutrale da sempre. Sono consultabili in linea in lingua italiana sia il sito della Radiotelevisione Svizzera Italiana (RSI), sia il Corriere del Ticino (CDT) (siti: www.rsi.ch e www.cdt.ch ). Gli articoli sono molto equilibrati e dimostrano di avere cronisti e analisti indipendenti. Ovviamente di parte è invece la stampa quella ucraina, il cui sito ufficiale è solo in russo e ucraino (www.unian.ua), mentre altri notiziari sono in inglese. Comunque si può ricorrere ai traduttori automatici per avere una discreta resa in italiano. Facebook invece è piena di brevi video girati più o meno artigianalmente dai soldati, spesso con sottofondo di musica rock o canti popolari, mentre non esiste materiale russo nella stessa quantità. Difficile comunque distinguere le divise, quasi uguali per chi non è pratico; lo stesso vale per alcuni mezzi e armi. I brevi video russi hanno la sigla “Ruslan Rus”, quelli ucraini la bandiera gialloblu o il tridente bizantino simbolo nazionale. Video più politici si vedono scorrendo VK.com (la FB russa), con lunghi titoli come: “In poche settimane la situazione è cambiata ed è peggiorata notevolmente. I russi hanno notevolmente accelerato la loro offensiva, stanno riconquistando molti territori nella regione di Kursk che occupavano gli ucraini, e stanno avanzando ogni giorno”. Le traduzioni sono decenti, mentre molto meno lo sono quelle del sito “Recensione Militare”, versione italiana dell’agenzia militare ufficiale russa (https://it.topwar.ru/ ), il quale però ha il pregio immenso di dare ogni giorno una cartina con le postazioni e i movimenti dei due eserciti, anche se dovremmo sentire anche l’altra campana. Molti italiani che hanno avuto un parente che ha combattuto con l’ARMIR nella seconda Guerra Mondiale troveranno familiari alcuni toponimi, ma per i più restano solo nomi slavi dispersi in una landa piatta (a parte il saliente di Kursk, dove si è combattuto anche allora). Quello che distingue invece i brevi filmati di fonte ucraina è l’apparente mancanza di censura: si vedono i soldati quarantenni che in trincea fanno la vita del topo come mio nonno nel 15-18, mezzi che arrancano nel fango o nella neve, mortaisti e artiglieri all’opera, carristi chiusi nel ristretto spazio interno del loro mezzo, ma spesso si vedono droni che vanno in caccia libera di mezzi nemici, trincee o soldati isolati. Ogni dieci filmati ce n’è poi  sempre uno dove i soldati e le soldatesse ballano, scherzano e buffoneggiano, sicuramente per attenuare lo stress. Buffi siparietti introvabili nei video russi.

E passiamo ora su un altro fronte: Gaza e il Libano. Seguo ogni giorno JBN, Jewish Breaking News (https://jewishbreakingnews.com/), presente anche sui canali Whatsapp e Telegram. Le fonti giornalistiche israeliane sono molto aperte, non c’è una censura stretta e soprattutto non vengono diffuse notizie false, anzi sconcerta la brutale chiarezza con cui vengono proposti brevi filmati dove si vedono palazzi di dieci piani buttati giù in pochi secondi dai bombardamenti aerei o dalle cariche esplosive piazzate dai genieri, o la pericolosa esplorazione di chilometri di gallerie. Gaza e alcune zone di Beirut sono ridotte a un cumulo di macerie e loro lo mostrano senza nessuna limitazione. Non mancano mappe con l’allarme per i razzi nemici o immagini esplicite dei danni da loro provocati. Non mancano appelli per famiglie in difficoltà, e in più ogni tanto c’è la scheda e la foto memoria di un soldato morto in azione, e sono tutti molto giovani. Quello però che incuriosisce è ogni tanto l’appello di un reparto militare – formato in genere da specialisti – che chiede apertamente ai civili una sottoscrizione per migliorare il proprio equipaggiamento: chi ha bisogno di stivali nuovi, di medicinali o di giubbetti antiproiettile, di elmetti o addirittura di razioni di cibo. Anche se è un esercito formato in gran parte da riservisti, a tutto ciò non dovrebbe provvedere l’intendenza? Un amico ebreo m’ha dato la spiegazione: è un modo per rinsaldare i legami fra un reparto e la comunità che lo sostiene.

Scrivere & Vendere

Google e Facebook, si sa, non si fanno mai gli affari propri. Cercavo informazioni su alcuni editori e da due settimane mi ritrovo sommerso da agenzie che promettono di insegnarmi non solo a scrivere un best seller ma soprattutto a pubblicarlo, venderlo e promuoverlo in poco tempo e con un ritorno economico più che intrigante. Alla fine questi promotori si somigliano tutti: appare un video dove un giovane imprenditore o una bella ragazza ti chiedono se hai scritto o vuoi scrivere o vendere un romanzo o far soldi come redattore pubblicitario (copywriter). Tutto gratis, almeno all’inizio, devo solo cliccare e vedermi il video promozionale, dove si promette un metodo per scrivere un libro in due ore o addirittura in sessanta minuti (con l’AI, immagino). Amazon addirittura spinge a “vendere libri senza scriverli” , come se uno potesse vendere la merce senza prima fabbricarla. Uno promuove “L’angolo unico”, un altro “L’idea magnetica “ (sic) che ricorda la vecchia “diagonale dinamica” dei corsi di sceneggiatura americani venduti a Roma. Un altro pretende di insegnarmi a scrivere un documento ma strapazza le maiuscole: “L’elemento più Importante per Scrivere un Libro che Attira Clienti e Vende Senza Sforzo (e non è quello che pensi)” – poco male, ho visto comunicati che stampano in maiuscolo anche le preposizioni. Del resto, “Sai che se non hai scritto un libro sei fuori dal mercato?”. Già, ma quale mercato? E se ti propongono di scrivere bestseller narrativi, perché prendere a modello un libro americano intitolato “Profit First”, forse ispirato da Trump? Un altro specifica che quel corso online “26.000 autori l’hanno già seguito”. Insomma, dopo le scuole di scrittura creativa e le agenzie letterarie è il momento dei corsi capaci di unire tutte le fasi dell’editoria, dalla scrittura alla redazione del testo, poi la successiva stampa e promozione. Sicuramente chi vuole scrivere un libro ha molto da imparare, nel senso che anche dopo averlo scritto e pubblicato in autoeditoria, resta il problema della promozione e della distribuzione, ora comunque facilitata dalle vendite online e l’appoggio alle catene librarie. Ma a guardare bene tutti questi siti e video dicono più o meno le stesse cose: datevi da fare per creare un sito, seguite ogni giorno i social (mezzo di diffusione della letteratura per adolescenti di recente sviluppo), andate in giro per librerie e circoli, siate simpatici, mettete su un ufficio stampa. Oppure pagate chi sa farlo. Ovviamente, quelli che ti hanno venduto il corso. I quali magari vanno in giro con una macchina di seconda mano.

Cinema in fumo

Mi ero già occupato su questa rivista della misteriosa fine del Museo Internazionale del Cinema e dello Spettacolo (Mics), museo di storia del cinema fondato e diretto unicamente da José Pantieri (1) ma nel frattempo non sono ancora riuscito a capire dove è finito tutto il materiale. Qualcuno mi ha suggerito un paio di nomi, ma aver frequentato quel matto di Pantieri – perché matto lo era – di per sé non è una prova di furto, perché di furto si tratta: una preziosa anche se disordinata collezione è stata sottratta alla fruizione pubblica in un clima di omertà: nessuno sa l’indirizzo del magazzino (o dei magazzini) dove furgoni privati hanno trasferito il materiale. Il sindaco era all’epoca Alemanno, sicuramente meno attento di Veltroni ai problemi del cinema, ma neanche quest’ultimo mi risulta abbia sollecitato un’indagine che rompa il muro di omertà che circonda il museo e il suo intrattabile fondatore e direttore. Già, perché se le cose sono andate come sappiamo è anche per via del suo carattere nevrotico, incapace di mediare con le istituzioni e di avere collaboratori. Ora una brutta notizia: nello strano rogo che ha interessato lo scorso 8 giugno il Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma sono andate distrutte 220 pellicole (e non 500, come si pensava in un primo momento). Non che fosse la prima volta: incendi nei depositi delle pellicole infiammabili custodite nel Centro erano stati registrati anche prima (18 giugno 2009, 446 rulli persi; 27 ottobre 2009, 4 rulli; 8 luglio 2015, 893 rulli; 8 agosto 2018, 40 rulli). Forse sarebbe meglio investire di più nella sicurezza antincendio. Ma quello che è peggio è che sono andate in fumo anche le pellicole straniere facenti parte della collezione privata di Pantieri, prese in carica dalla Cineteca dopo la sua morte. Questo il comunicato ufficiale:
“È stata ufficialmente informata la Soprintendenza Archivistica e Bibliografica del Lazio, titolare del deposito di gran lunga prevalente nel cellario distrutto, il fondo del collezionista José Pantieri, fondatore del Mics (Museo Internazionale del Cinema e dello Spettacolo). È stato concordato con la Soprintendenza un sopralluogo che si è svolto il 21 agosto alla presenza anche dell’Arma dei Carabinieri”. (due mesi dopo!)
Che film erano? Difficile dirlo, visto che non erano stati ancora catalogati scientificamente. Per farlo bisogna vedere ogni “pizza” in moviola e spesso i film del cinema muto non sono facili da identificare. Ricordo p.es. che un raro film ungherese fu scoperto in Germania ma con un diverso titolo per il mercato tedesco. Come si vede, il mistero del Museo Fantasma si è arricchito di un altro capitolo. Se fossi uno scrittore di libri gialli penserei che in mezzo a quei reperti di cineteca c’era qualcosa da far sparire, una pellicola nascosta in mezzo alle altre con scene compromettenti. Fatto sta che – incidente o sabotaggio che sia – abbiamo perso quel poco che restava del Museo Internazionale del Cinema e dello Spettacolo. E il mistero continua.

8 racconti fantastici

Firmati da Marguerite Gautier, questi racconti sono in realtà scritti a quattro mani (1) e presentano tratti originali: ambientati ora in società distopiche, ora in laboratori di ricerca, ora in società tradizionali; sono frenetici nel loro sviluppo e propongono un’insolita, curiosa integrazione fra scienza e religione, dove gli elementi tradizionalmente fiabeschi si mescolano con teorie quantistiche e fisica della materia. I titoli stessi dei racconti suggeriscono un calendario liturgico: Strenia – Epifania, Nel cuore di Cupido – San Valentino, Dante’s Feminine Carnival – Carnevale, Hovo Sapiens – Pasqua, Gloria – Assunzione della Beata vergine a Ferragosto, Santi – Ogmissanti, Ritorno al Futuro – Commemorazione dei Morti, Il Natale di Natale – Natale. Difficile descrivere i singoli racconti, dinamici come sono e pieni di simboli, né farò lo spoiler. Mi limito a dire che la narrazione si basa sul contrasto dinamico tra due prospettive antitetiche, cristiana e matematico-scientifica, col Tempo inteso come dimensione fisica e metafisica. Quasi tutti i personaggi loro malgrado sono catapultati da un momento all’altro in dimensioni spazio-temporali diverse, con un meccanismo che ricorda i “varchi” de I banditi del tempo di Terry Gilliam (1981), mentre la sontuosa festa in costume di Dante’s Feminine Carnival l’accosterei invece alle barocche messe in scena di Goltzius and the Pelican Company (2012) di Peter Greenaway. Il primo racconto Strenia – Epifania rimanda invece a Metropolis (1927), archetipo delle collaudate città speculari, distopiche e classiste. C’è in questi racconti una forte immaginazione visiva e il senso del movimento, per cui è istintivo pensare a uno sviluppo cinematografico, sempre che il regista trovi i fondi necessari per le sue visionarie scenografie. E leggendo Gloria – Assunzione della Beata vergine a Ferragosto, nello sviluppo dell’azione non è difficile riascoltare l’eco degli Infiniti Mondi di Giordano Bruno: teologia e natura dialogano e interagiscono tra di loro stimolando l’integrazione fra religione e scienza. Curioso poi è il trattamento della dimensione temporale: più di un personaggio si trova sbalzato da un’epoca all’altra e si rivede alla fine spettatore della scena da cui è uscito o più spesso scappato inseguito da malintenzionati. Personalmente avrei approfondito in almeno due racconti (San Valentino e Ritorno al Futuro) la tecnica del tempo circolare, qui appena suggerita. Nel cinema è rara e a memoria d’uomo la ricordo solo in Giulia e Giulia (1988) e Allacciate le cinture (2014). Comunque vale senz’altro di leggere questi otto racconti: sono mozzafiato.


Note:

  1. Autori ne sono Margherita Lamesta Krebel (attrice, giornalista, sceneggiatrice) e Gualtiero Serafini (regista, sceneggiatore e docente di sceneggiatura).
    Scheda:

8 racconti fantastici / Marguerite Gautier. Prefazione di Enrico Vanzina, prresentazione di Maria Grazia Bianco. Milano, Rossini editore, 2023. 230 pag. , 14.99 euro. Distribuito anche da IBS


Eppure si vive anche così – storia di un’esperienza missionaria

Selene Pera è una simpatica volontaria lucchese poco più che trentenne, che dal 2012 svolge attività con la Congregazione delle suore di santa Gemma Galgani e in dieci anni ha lavorato nelle missioni nella Repubblica Democratica del Congo e a Betlemme. Questo libro è il diario degli ultimi tre mesi passati nel 2023 in Africa, nella zona est attigua a Ruanda e Burundi, separata dal lago Tanganica. Un’area povera e politicamente instabile da sempre, dove le Ong e le missioni cristiane fanno quello che possono dove lo Stato non può arrivare.

Selene torna in Africa dopo dieci anni ma ha già un bagaglio di esperienze e contatti nel volontariato, lo fa con gioia e sa bene che l’aspetta una vita scomoda, ma è serena e preparata (è laureata in scienze sociali). Le prime pagine parlano di saluti ad amici, parenti e suore, più le vaccinazioni e l’elenco di cosa portare con sé: in Africa mancano sempre le cose più cretine. Il volo la porta a Bujumbura (Burundi) e si prosegue con un pick-up carico verso la regione di Uvira (R. Dem. Congo), dove si trova la comunità. Sono solo 30 km, ma alla frontiera i controlli vanno per le lunghe e quando vedono un bianco (Muzungu in svahili) cercano sempre di farsi dare soldi, cosa che avverrà spesso in quei tre mesi. La zona dove Selene e le suore operano è turbolenta: la parte orientale del Congo ex-belga poi Zaire ed ora Repubblica Democratica del Congo è campo di battaglia per più formazioni armate (Movimento M23, Forze Democratiche di Liberazione del Ruanda o FLDR), guerriglieri, bande tribali o comuni briganti. Chi scrive si ricorda ancora dei Katanga, di Bob Denard, di Jean Schramme e dei suoi duri mercenari al servizio dell’Union Minière che resero il Congo degli anni ’60 un inferno sulla terra. Sia le forze armate regolari (FARDC) che  le forze di pace dell’ONU (MONUSCO) portano avanti operazioni militari, ma la posta in gioco resta sempre la stessa – lo sfruttamento delle risorse minerarie – e i risultati modesti: la zona di Kivu è pericolosa e nel 2023 a Goma è stato ucciso il nostro ambasciatore Ugo Attanasio (1). In sostanza il conflitto è endemico e farne le spese è sempre la popolazione dei villaggi, regolarmente vessata da regolari e ribelli.

Detto questo, torniamo alla nostra Selene. E’ accolta dalle suore con gioia, alcune le conosceva già (suor Adacieuse, nomen omen), e sempre con gioia svolge il suo lavoro di apostolato laico: assistenza nel dispensario alle giovani madri con bambini, visita agli ospedali, distribuzione di viveri. La sanità congolese è a pagamento e non passa i pasti, per cui chi non ha parenti deve affidarsi alla carità o appunto a organizzazioni missionarie autorizzate dal governo centrale. Selene resta sbalordita dalle cifre per noi irrisorie (ma non per loro) che uno deve spendere per una lungo degenza o per una protesi, al che interviene di tasca sua con una somma donatagli dall’amico Fiorenzo. E qui la classica riflessione di chi ha operato in Africa: basta poco per assicurare alle famiglie cibo e assistenza; per noi sono realmente cifre accessibili se non ridicole, ma non per la poverissima gente dei villaggi e delle periferie urbane. Ma una volta che uno vede certe scene di miseria e malnutrizione non sarà mai più lo stesso. Un bambino – Emmanuel – all’inizio pesa tre kg e mezzo! Selene e le sue compagne hanno una serenità e una resistenza fisica fuori del comune, si adattano ai tempi lunghi, ma anche gli africani hanno una vitalità e un’allegria che rimane impressa: in ogni luogo dove vanno, o a messa, sempre danze e tamburi (anche nella liturgia) e gente gioiosa per l’arrivo di queste donne che non chiedono niente. C’è una socialità diffusa a tutti i livelli e compensa dalle fatiche: difficile fare progetti quando sei impegnato ogni giorno in una routine ben organizzata dalle suore, le uniche che sanno anche cavarsela ai posti di blocco dei malpagati doganieri, le sole che sanno districarsi tra fango e baracche. I nomi dei luoghi citati sono tanti ma li ho voluti esaminare uno per uno con Google Maps e immagini di corredo. Alla fine dalla terra rossa e dal verde della vegetazione esce sempre fuori l’esteso agglomerato di case basse e di baracche privo di un centro e di un’organizzazione razionale dello spazio. Ho visitato la chiesa cattolica di Kavimira, ma ho anche esplorato il santuario di Kibeho (Ruanda), la cattedrale di Butare (id.), Bukavu (Congo), dove oltre la chiesa c’è un centro di orientamento e istruzione per ragazzi e ragazze di strada (CTEO). Ho anche visto l’esterno della Prison Centrale de Bukavu (una muraglia di mattoni con una scritta a caratteri cubitali), dove le nostre cercano di assistere alcune ragazze ma non riescono a contattare Emanuel, un ragazzo che aveva seguito una brutta strada. Inutile descrivere le condizioni di vita delle patrie galere del Congo o delle bidonvilles, sono state descritte più volte. A rimanere impressi sono i ritratti delle persone: Maombi, la moglie del soldato, la Petite, suor Esperance, suor Agnes e le altre – e soprattutto l’atteggiamento positivo e pratico di Selene e delle sue colleghe, il suo inguaribile ottimismo e le descrizioni di luoghi e persone senza retorica. Spesso sono persone che non rivedrà più – la discontinuità delle relazioni è parte dell’intenso volontariato, mentre rimane la rete delle amicizie con le suore e altri volontari. E rimane fermo l’appello che papa Francesco fece nel 2015: Se tu vuoi trovare Dio, cercalo nell’umiltà, cercalo nella povertà, cercalo dove Lui è nascosto: nei bisognosi, nei più bisognosi, nei malati, negli affamati, nei carcerati”.

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NOTE:

  1. https://www.ilriformista.it/cose-la-guerra-mondiale-africana-il-conflitto-nel-quale-e-maturato-lattacco-allambasciatore-luca-attanasio-198403/amp/

Eppure si vive anche così. Viaggio missionario nella Repubblica Democratica del Congo / Selene Pera. Lucca, Maria Pacini Fazzi editore, 2024. 119 pag., 12 euro. Quanto ricavato dalla vendita del libro sarà devoluto alla missione di Kavimvira.