Nel momento in cui la Libia è fonte d’instabilità in seguito alla maldestra “guerra umanitaria preventiva” del 2011, è interessante capire come ci siamo entrati la prima volta, nel lontano 1911. Gli avvenimenti vengono riscostruiti da due storici, Franco Cardini e Sergio Valzania e l’analisi copre sia gli aspetti bellici che diplomatici ed economici della nostra espansione coloniale nel Mediterraneo. Molte furono infatti le forze che spinsero verso l’avventura libica: le banche, i circoli politici frustrati dall’annessione della Tunisia alle colonie francesi (1881), gli alti ufficiali, i nazionalisti. Tra i politici, Giovanni Giolitti capì sicuramente – come Francesco Crispi prima di lui – l’importanza di una trionfale impresa coloniale ai fini di politica interna: il colonialismo italiano, oltre che tardivo, è sempre stato antieconomico, ma con una forte valenza ideologica sfruttata fino in fondo dalla classe politica borghese e dai militari. Ancora nel 1936 si sarebbe giocata la carta coloniale per risolvere i problemi sociali e politici interni, anomalia tutta nostrana: le potenze europee hanno sfruttato mezzo mondo per arricchirsi, non per deflettere lo scontento sociale, collezionare medaglie o rinforzare un governo di coalizione. E siccome dopo la sconfitta di Adua (1896) pochi volevano sentir parlare di imprese coloniali, fu organizzata la macchina di propaganda. Se la classe dirigente era militarista, la popolazione era nel complesso estranea se non ostile di fronte all’idea di una guerra lontana e priva di una forte motivazione nazionale, come poteva invece essere la difesa dell’arco alpino dagli Austriaci. All’epoca era comunque ancora facile raccontar balle alle masse di contadini analfabeti e alla piccola borghesia urbana, anche se i portuali si rifiutavano di caricare i convogli per la Libia e i ferrovieri di movimentare le tradotte dei soldati. Gaetano Salvemini definì subito la Libia “lo scatolone di sabbia”, e tale rimase fino alla possibilità di estrarre il petrolio, operazione all’epoca tecnicamente prematura.
Ma c’è di più. Nel 1911 l’Italia non fece guerra a un “bey” locale, ma all’Impero Ottomano; il quale, per quanto in crisi, era pur sempre una potenza internazionale. Non prevedere le ripercussioni nei rapporti tra le potenze europee e l’estensione del conflitto ad altre zone del Mediterraneo o addirittura dei Balcani fu una leggerezza imperdonabile. La diplomazia italiana era di buon livello, ma si puntò tutto sulla forza. I Turchi in realtà erano pronti a cedere la sovranità dei porti di Tripolitania e Cirenaica – erano province povere e autonome – ma a patto di salvare la faccia. Se si pensa che l’Egitto, pur gestito dagli Inglesi, rimase sempre formalmente parte integrante dell’Impero Ottomano e addirittura entrò nella Grande Guerra a fianco degli alleati contro i Turchi, è chiaro che una soluzione diplomatica era sempre possibile. Ma Giolitti e il Re volevano proprio la guerra e i nostri marinai nel 1911 sbarcarono a Tobruk, un nome che ancora dice qualcosa a chi ha fatto l’ultima guerra. Seguì l’occupazione di Tripoli e poi di Bengasi, all’inizio con poche truppe e trascurando la reazione della popolazione islamica e la possibilità di una guerriglia alimentata dai beduini che vivono nell’enorme deserto libico. Pensare di tenere la costa senza controllare l’interno fu un errore già fatto dagli antichi Romani. Come spesso avviene nelle guerre italiane, compresa la recente seconda impresa di Libia del 2011, il paese entrò in guerra senza una strategia coerente e soprattutto senza avere una chiara consapevolezza delle sue conseguenze. Noi italiani entriamo in guerra sempre con un assetto militare sottodimensionato e poco energico nella fase iniziale, salvo poi rinforzare il contingente per necessità. La guerra di Libia non smentì questa prassi tuttora consolidata, col risultato di non sfruttare il vantaggio iniziale. Altro calcolo sbagliato fu ritenere che la popolazione oppressa dall’Impero Ottomano passasse dalla nostra parte. A parte che niente fu fatto per associare al potere almeno parte dei notabili di Tripoli e delle altre città portuali, sottovalutare l’Islam e la sua facile presa su masse totalmente analfabete fu un’imperdonabile leggerezza. La guerra santa contro gli infedeli non fu certo inventata nel 1911, e tuttora ne sappiamo qualcosa: soprattutto a Bengasi esisteva ed esiste tuttora una forte componente islamista da non sottovalutare. Alla fine l’esercito italiano si trovò letteralmente insabbiato e privo di quelle capacità di manovra che pochi anni più tardi sarebbe stata offerta dai veicoli a motore. Ma la repressione delle rivolte fu sempre dura e sanguinosa, né ci ha mai fatto onore.
Altra conseguenza fu l’estensione del conflitto fuori della Libia. Per avere Tripoli si finì per spostare il centro di gravitazione della battaglia nell’Egeo e nei Dardanelli, dove la nostra Marina fece miracoli. Ma questo inquinò i fragili equilibri tra l’Impero Ottomano e le varie nazionalità greche e balcaniche, col risultato di preoccupare giustamente Austriaci e Tedeschi. L’Italia faceva parte della Triplice Alleanza e i Turchi erano militarmente assistiti dai Tedeschi, mentre nei Balcani era da tempo iniziata la corsa dell’Impero Austro-Ungarico per subentrare come potenza egemone e frenare le spinte slave che miravano agli stessi obiettivi. Se gli Austriaci avevano sperato che la guerra di Libia stornasse le nostre mire irredentiste, ora trovarono la situazione peggiorata. Difficile capire l’inizio della prima Guerra Mondiale se non si comprende questo scontro tra faglie tettoniche in attrito tra di loro. E la piccola Italia, ultima arrivata fra le medie potenze, dichiarando guerra all’Impero Ottomano offrì per prima l’esempio della capacità di usare le forze armate per ottenere quello che voleva, salvo capire dopo che una guerra costa molto più di quanto ottiene. Giovanni Giolitti se ne rese conto tardi, ma nel 1915 non fu un interventista. Nel resto dell’Europa nessuno capì la lezione.
LA SCINTILLA
Da Tripoli a Sarajevo: come l’Italia provocò la prima guerra mondiale
Franco Cardini – Sergio Valzania
Editore: Mondatori, 2014 – 2015
Prezzo: € 19,00
Pagine: 200
ISBN 9788804648307
EAN:9788804636489
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Disponibile come ebook
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