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In difesa della geografia

La geografia abolita dai programmi scolastici, persino da quelli dell’Istituto nautico ( !? ) e forse mantenuta (quella economica) in quelli dell’Istituto tecnico per il commercio? Quand’era ministro della P.I. l’on. Berlinguer le cambiò il nome in Scienze della Terra, ma per fortuna non andò oltre. L’ultima assurdità è invece in linea con l’americanizzazione della scuola italiana: se i padroni del mondo sono infatti così notoriamente ignoranti in materia è perché essa viene insegnata solo per due anni alle medie. Si parla ora di introdurre nuove scienze: la geostoria, la geopolitica, la geosocietà, la scienza dei luoghi e delle comunicazioni integrata nell’ora di storia, senza chiarirne il senso e la strutturazione. Sia chiaro: la distinzione dello spazio e del tempo e la loro organizzazione concettuale in geografia e storia, come materie o come discipline diverse (se non addirittura separate) non ha senso, perché chi cresce e apprende le percorre e le costruisce contestualmente. Ma la giustificazione didattica consisterebbe nel fatto che oggi, in un mondo globalizzato, con le comunicazioni fisiche e simboliche sempre più intensificate (i trasporti, i media, il web) lo spazio non è più quello di vent’anni fa…

Il problema in realtà è mal posto: la materia non essendo costituita dallo spazio in sé ma, dalla sua percezione e dalla sua strutturazione simbolica. Prima della motorizzazione di massa gli orizzonti spaziali e temporali della gente erano limitati; nel medioevo lo erano ancora di più, mentre l’uomo del Rinascimento vive in una dimensione nuova. Ricordo uno stupendo film del regista portoghese Manuel de Oliveira, dove due gentiluomini discutevano del Mondo Nuovo. Dietro di loro, a parete, c’era una grande carta geografica, aggiornata con le nuove esplorazioni. E chi è stato a Lisbona, sa che oltre la torre del Belèm c’è solo l’Oceano. Questo per dire che lo spazio geografico o nautico esistono solo se riusciamo a organizzarlo mentalmente, a comprendere qual è il nostro posto e il nostro rapporto al suo interno e verso di esso. Questo spazio possiamo,anzi dobbiamo percorrerlo, ma possiamo anche solo immaginarlo: la geografia medioevale si rifaceva a Tolomeo, ma era ormai congetturale, priva di verifica: gli antichi descrivevano spazi ormai interdetti al viaggiatore, come oggi  per noi sono la Siria o la Somalia. E se il deserto per noi è l’ignoto, per un Taureg o un Tebu esso non ha segreti perché il nomade ci vive da sempre e col tempo e l’esperienza ne ha organizzato mentalmente la struttura, allo stesso modo in cui un nocchiero se la cava in mare aperto, di giorno con venti e correnti e la notte con le stelle. Anche l’astronomia è parte della geografia, si tratta solo di alzare gli occhi al cielo invece che guardare verso il basso o in direzione di quattro punti cardinali. E anche l’astronomia ormai ha ampliato i suoi orizzonti, l’Universo è in continua espansione. Ma la sua strutturazione simbolica era stata già intuita da Giordano Bruno quando parlava apertamente di Infiniti Mondi: la strutturazione simbolica dello spazio può precorrere di secoli la sua verifica scientifica.

Oggi invece molti viaggiano sapendo l’ora di partenza e di arrivo dell’aereo e la direzione del viaggio, ma senza idea alcuna del luogo fisico. E’ la c.d. geografia di punto, svincolata dalla sintesi spaziale, come se le coordinate indicate da un GPS non producessero che un punto assoluto in uno spazio indefinito o al massimo un angolo di rotta che unisce un punto noto ad un punto di arrivo che non ci interessa localizzare in un insieme. Si può anche vivere così, facendo a meno di strutturare lo spazio esterno, ma è consigliabile? Mi è capitato di seguire un giorno una tirocinante di Istituto tecnico per il turismo che lavorava in un’agenzia di viaggi. Ebbene, sapeva tutto sulle tariffe e gli orari per andare a Bologna, ma non sapeva dov’era Bologna. Non era tutta colpa sua, visto che sui muri dell’agenzia non c’erano carte geografiche, ma anche la decenza ha un limite. Si dice pure che la geografia si apprenderebbe pressoché spontaneamente nel contesto sociale, ma allora tanto vale non insegnare più l’italiano perché ormai in casa non si parla più in dialetto. Proprio il paragone con la linguistica insegna invece che il parlante ha competenza ma non coscienza linguistica, quindi deve imparare a conoscere leggi e struttura della lingua madre non solo per trasmetterla ad altri, ma per costruirsi un’identità forte verso l’esterno. Come la linguistica, anche la geografia si occupa infatti di un problema delicato: stabilire i rapporti spaziali e temporali con la realtà esterna, rapporti che necessariamente sono simbolici e devono essere strutturati in modo coerente e razionale. La visione del mondo può cambiare da cultura a cultura, ma ogni civiltà sente il bisogno di organizzarne una, e lo fa scientificamente. Non per niente lo studio della geografia è anche studio della matematica. Il problema quindi non è quello della disponibilità oggettiva di quanto una volta era uno spazio remoto, ma dell’incapacità soggettiva nel saper costruire da soli le coordinate spaziali e la strutturazione dello spazio intorno a noi. L’orientamento forse lo risolvono bussola e GPS, ma lo spazio non è solo un insieme discreto di punti: è Natura, Cultura, paesaggio, insediamento umano, mare, montagna, ecologia, viaggio, campo di battaglia, luogo di commercio…

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