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Cosa resta di Nassiriya

Dieci anni fa la strage di Nassiriya, dove rimasero uccisi diciannove italiani tra militari e civili e sette iracheni di cui nessuno di noi ha mai chiesto il nome. Come cittadino partecipai alle varie manifestazioni che si svolsero a Roma e scrissi anche almeno due articoli in argomento, uno dei quali molto critico sulle misure di sicurezza della nostra base. Ma sul momento qualsiasi analisi tecnica e politica era sommersa dall’emozione collettiva, mai spontanea e sentita come in quei giorni. Le istituzioni, dal canto loro, presero subito l’iniziativa di coordinare e gestire dall’alto l’angoscia popolare prima che le sfuggisse di mano. Ricordo come fosse adesso le migliaia di mazzi di fiori posati sulla scalinata dell’Altare della Patria e prima ancora del dolore, lo sgomento della gente. L’innocenza l’avevamo persa dieci anni prima a Mogadiscio, dove subimmo le prime perdite in combattimento dopo la seconda Guerra Mondiale, ma Nassiryia fu un trauma: eravamo andati in Irak per aiutare la gente e il mito del Soldato di Pace non era stato mai intaccato. Forse perché ci credevano pure i soldati, la tragedia avvenne inaspettata, anche se alcuni consigli furono inascoltati e la situazione sottovalutata. Quanto successe quel giorno fu unico e irrepetibile, visto che la lezione l’abbiamo imparata subito e non ce ne siamo dimenticati. Abbiamo perso altri soldati in Irak e in Afghanistan, ma mai più in quel modo né in quel numero. Ed era una facile profezia proiettare nel futuro il trauma nazionale di quel giorno: Nassiriya, come Adua o come l’8 settembre, pesa tuttora sull’immaginario collettivo e lo farà ancora per molto tempo a venire.

Quanto è successo quest’anno però rompe una continuità: intendo parlare dell’intervento della parlamentare del Movimento Cinquestelle Emanuela Corda (1) che in Parlamento il 12 novembre, durante la commemorazione nel decennale dell’attentato ha ufficialmente ricordato e giustificato  anche chi guidava quel camion: “il kamikaze era una vittima come loro”. Ora, a parte il termine improprio (ma usato anche dalla stampa – quello giusto sarebbe shahid, martire), la frase è grave: si trasferisce infatti anche l’assassino nell’elenco delle vittime; un esempio di relativismo che ricorda da vicino la santificazione di Priebke da parte di certa Destra, che considera anche lui vittima di un’ideologia che lo ha portato a diventare un boia. Tesi debole: è facile infatti osservare che sia lo shahid marocchino di Nassiriya che il tenente Priebke in quelle organizzazioni ci sono entrati di loro volontà e non hanno mai chiesto di uscirne. Se poi lo shahid fosse stato plagiato dai suoi capi, peggio ancora: significa che quei gruppi sfruttano instabili mentali e psicolabili, il che potrebbe pure anche avere un fondamento reale. Ma la cosa più grave è che l’opinione dell’on. Emanuela Corda è stata espressa ufficialmente nell’aula del Parlamento da un deputato regolarmente eletto da una parte degli italiani, quindi rappresenta qualcosa di più di un pensiero personale, sia pur discutibile. Personalmente lo vedo non solo come una voluta provocazione: è sintomo di una frattura nella coscienza degli italiani. Stigmatizzato da molte forze politiche e da associazioni militari e civili, l’atto della parlamentare Corda è stato sottovalutato e forse neanche compreso nel profondo. Non è solo questione di antimilitarismo, da noi sempre esistente, ma qualcosa di peggio: l’Italia resta come sempre e da sempre un paese diviso, senza una memoria condivisa che non sia continuamente rimessa in discussione dopo pochi anni. Come adesso.

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03 AdN 13112501 Cosa resta di Nassiryia nassirya1Note

(1)            Questa l’attività parlamentare finora svolta dall’onorevole Emanuela Corda (dal sito ufficiale della Camera dei Deputati). Si noti come l’unica proposta di legge presentata come prima firmataria è un provvedimento antimilitarista:

  http://www.camera.it/leg17/29?tipoAttivita=attivita&tipoVisAtt=&tipoPersona=&shadow_deputato=306031&idLegislatura=17