Archivi categoria: Schermo

La famiglia Belier

Siamo nella campagna bretone, dove una famiglia di allevatori manda avanti una fiorente azienda agricola e casearia. I coniugi Belier e il figlio adolescente sono sordi e un po’ strambi, mentre l’altra figlia Paula, una ragazzona sedicenne, è normale ed è un vero angelo: fa da interprete col linguaggio dei segni, lavora in stalla, aiuta i suoi al banco del mercato e frequenta la scuola. Lì si segna al coro non per amore della musica, ma di Gabriel, un compagno di scuola, come confida all’amica del cuore, la sveglia Mathilde. L’insegnante di canto, Thomasson, riconosce subito il talento di Paula e le propone un duetto proprio insieme a Gabriel per il saggio di fine anno. La canzone è un classico francese: “Je vais t’aimer”, di Michel Sardou, e per provarla Gabriel va anche a casa di Paula. L’insegnante ha loro consigliato di provarla abbracciati, ma lei ha le prime mestruazioni. Gabriel lo racconta a tutti e a scuola Paula viene presa in giro. Ceffone per Gabriel. Ma il vero problema è che Thomasson propone Paula per la selezione di Radio France a Parigi. Per lei è una scelta drammatica: significa abbandonare la famiglia, mentre il padre vuole persino presentarsi alle locali elezioni. Finché può glielo nasconde, ma quando è costretta a dirlo, i suoi la prendono male: andare a Parigi è un tradimento. Paula quindi rinuncia, ma proprio Gabriel la convince almeno a tornare alla scuola di canto. Il saggio di fine anno è un trionfo e i genitori di Paula, pur non sentendo la musica, vedono in diretta le emozioni che la loro figlia e Gabriel suscitano nel pubblico. La notte porta consiglio: il padre ci ripensa e Paula arriverà per tempo all’audizione, presente anche Thomasson al piano. Paula canta “Je vole”, sempre di Sardou, e viene accettata. Nella scena finale la famiglia Belier accompagnerà la figlia in partenza per Parigi.
Fare un film sui disabili non è facile e il regista sceglie la commedia, anche se i sordomuti francesi non hanno amato il film (quelli italiani non si sa), affermando che l’immagine che viene data non corrisponde alla realtà. Che dire? La famiglia Belier è in effetti un po’ stramba e certi suoi comportamenti rasentano il grottesco: sessualmente iperattivi, politicamente conservatori, impulsivi e generosi, sono comunque sicuramente simpatici e non si piangono mai addosso. La geniale soggettiva che li inquadra mentre non possono sentire il canto della figlia ma registrano le emozioni del pubblico è un vero pezzo di antologia. Paula è una adolescente che diventa donna e la famiglia le sta vicino quanto lei è vicina a questa insolita famiglia, la quale ha il coraggio di farla volare da sola. In un periodo di nubi oscure e di crisi sistemica, un film come questo ti riconcilia con la vita. E i francesi questi film li sanno fare.

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La famiglia Bélier
Titolo originale La famille Bélier

di Eric Lartigau
con Karin Viard, François Damiens, Eric Elmosnino, Louane Emera, Roxane Duran, Ilian Bergala, Luca Gelberg, Mar Sodupe, Jérôme Kircher, Stéphan Wojtowicz, Bruno Gomila, Céline Jorrion, Clémence Lassalas, Manuel Weber
Francia 2014
Commedia, Ratings: Kids+13
durata 100 min.
Bim

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Birdman, l’uomo—uccello vola su Broadway

Trionfa sui nostri schermi, come enfaticamente proclamavano i “provini” di una volta (leggi “trailers”), Birdman di Alejandro González Iñárritu, che stravince l’Oscar di miglior film dell’anno. Lo stile è molto, molto “americano”: agitato, convulso, drammatizzato agli ultrasuoni, sudato e frenetico.
È l’eterna temperatura dei drammoni teatrali di questo ancor giovane paese, da O’Neill a Tennessee Williams a Arthur Miller fino all’ultimo commediante, tutto è rigorosamente sopra le righe ed eccessivo e tutto sommato abbastanza ingenuo, come può esserlo la visione drammatica di una civiltà che vive senza mezze misure e sfumature i suoi abissi sentimentali. Da noi, in Europa, è tutt’altra storia: troppi secoli e troppa strada si è fatta per giungere ad altre raffinatezze, altre caute introspezioni; Cecov o Pirandello sarebbero impensabili nello stile Broadway! Infatti Birdman è molto “all— Broadway”: si tratta in breve delle angustie; miserie, ripicche, litigi e passioni intorno alla tormentata messa in scena di un dramma. Tranne alcuni esterni dove l’uomo—uccello torna a volare o inscena una corsa in mutande sotto la pioggia, i giochi sono tutti teatrali, chiusi nelle quinte anguste ed elettrizzate di un teatro newyorchese. Birdman è l’eroe, anzi il supereroe che ha avuto soldi e celebrità col suo costume alato, ma adesso vuole diventare attore vero e protagonista di una nuova scena, misurarsi fuori dai set hollywoodiani di serie B per dimostrare (soprattutto a sé stesso) che l’uomo vale anche senza penne da volatile.
Nel tortuoso percorso verso il sofferto successo, anzi verso la resurrezione dell’uomo—Fenice, non ci viene risparmiato proprio nulla delle tipiche maschere e dei luoghi comuni del teatro americano: l’attore impulsivo tutto genio, sesso e sregolatezza che violenta le convenzioni del teatro borghese, l’attrice fragile e frustrata, la figlia sputasentenze e incattivita dal solito padre “assente”, la moglie paziente e assennata, financo l’eterno nume—critico teatrale che dall’alto dei suoi corsivi attesi come oracoli dispensa vita o morte… Inoltre c’è la mitologia “yankee” dei supereroi e dei mostri fumettari (del resto noi abbiamo, di più antica data, Teseo e il suo Minotauro) e infine la folla isterica e plaudente alle follie dei protagonisti. Il tutto infine in salsa appunto agitata e frenetica come una maionese impazzita di andirivieni e alterchi senza riposo. Ma questa è l’America, con l’irrompere del suo genio ingenuamente corrosivo nell’attesa dell’inevitabile lieto fine e della nuova aurora in cui il protagonista dalle buie cantine e botole teatrali torna a librarsi sulle nuvole… A proposito, i superpoteri di Birdman sono realtà o sogno dell’attore? Ma forse poco importa.
A suo modo Birdman è un capolavoro, sincero fino all’eccesso, amaro e divertito coi suoi feticci e i suoi eroi immortalati dal “Web”.

Luigi M. Bruno

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Birdman

Un film di Alejandro González Iñárritu
Con Michael Keaton, Zach Galifianakis, Edward Norton, Andrea Riseborough, Amy Ryan, Emma Stone, Naomi Watts, Lindsay Duncan, Merritt Wever, Jeremy Shamos, Bill Camp, Damian Young, Natalie Gold, Joel Garland, Clark Middleton, Anna Hardwick, Dusan Dukic, Carrie Ormond, Kelly Southerland
Commedia, Ratings: Kids+13
USA 2014
durata 119 min.
20th Century Fox

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Naufraghi in città

Hae Lee Yun, regista coreano (classe 1973), nel 2009 praticamente esordisce con il suo lungometraggio “Castaway in the Moon” (Naufrago sulla luna), uno straordinario “pamphlet” o se volete una denuncia seppur ironica, tra il grottesco e il poetico, di una condizione umana contemporanea stravolta dall’escalation super tecnologizzata che ci aliena ogni giorno di più dalla sostanza e dal nodo essenziale della nostra sacrosanta umanità.
Attraverso il maldestro tentativo di suicidio del giovane protagonista che invece di annegare approda su un deserto isolotto in mezzo alla città dove resterà incredibilmente prigioniero, novello Robinson Crusoe, nonostante sia a un tiro di schioppo dalla metropoli che lo ignora, ci si spiega in termini brutali e paradossali come ognuno di noi viva perso e naufrago nel marasma di un mondo pur vicinissimo ma in realtà estraneo la condizione di una miserevole ed umiliata umanità. Così la lingua sabbiosa e la città diventano e sono per metafora e in concreto landa lunare e desolata in cui si svela totale la propria solitudine.
La favola, grottesca e crudele, ci racconta quindi che il ridicolo naufrago in mezzo ai detriti della città si spoglia ogni giorno di più dalla sua scorza di superficiale civiltà per sopravvivere riutilizzando con l’acume talvolta geniale della necessità i rifiuti che la marea gli depone ai piedi. Così l’uomo con l’essenzialità del suo necessario adattarsi riacquista le capacità elementari perdute nei meandri illusivi di una matrigna irrealtà tecnologica: ridiventa per forza cacciatore, pescatore, agricoltore, costruttore, edificando giorno per giorno una nicchia di sopravvivenza dove il poco o quasi niente ridiventa l’indispensabile.
Ma non basta; l’autore lancia un’altra geniale esca: una stralunata ragazzina, auto reclusa alla sommità di un grattacielo, circondata da ogni ben di Dio tecnologico scruta il mondo esterno pur rifiutandolo (la madre le passa i pasti sotto la porta e lei esce per le necessità corporali solo quando in casa rimane sola!).
Siamo agli estremi di una condizione addirittura comica nella sua mostruosità, ma l’assurdo si traduce poi nel poetico di una vita faticosamente riacquistata alla bellezza degli umani, imprescindibili sentimenti.
La fanciulla, anche lei “marziana” e straniera in mezzo alla città, anche lei naufraga nel suo isolotto di plastica e metallo, scopre dalla cima della sua torre col suo superteleobiettivo il buffo ometto ormai felicemente inselvatichito. È il “gancio” attraverso un singolare e improvviso innamoramento per vincere la sua paura del mondo: ha scoperto qualcun altro in mezzo alla luna, mentre lui coltiva pazientemente i suoi chicchi di grano e lei di notte fugge dalla sua prigione per lanciargli i suoi messaggi in bottiglia. Fino a quando l’incredibile naufrago, recuperato finalmente, riapproda malvolentieri sulla riva della “civiltà” e lei ritrova il coraggio per evadere definitivamente dalla sua prigione. Così Robinson e la sua leggiadra Venerdì, reduci entrambi dall’avventurosa follia di un mondo assurdo e straniante, fatalmente si incontrano e si riconoscono.
La tessitura dell’apologo, a tratti geniale, ci ammaestra e ci ammonisce pur con la leggerezza di un satirico poeta sui tratti essenziali di questa parabola curiosamente impietosa.
Un doppio naufragio stavolta a buon fine.

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00 Cinema Castaway on the Moon locandinaCastaway on the Moon
Titolo Italiano
Naufrago sulla luna
Registi: Hae Lee Yun
Anno: 2009
Sceneggiatore: Hae-jun Lee
Fotografia: Kim Byung-seo
Musica: Hong-jip Kim
Nazione: Corea del Sud
Durata: 116 minuti
Produzione: KIM Moo-ryoung – Banzakbanzak Film Production
Distribuzione Internazionale: CJ Entertainment Inc.
Cast
Jung Ryeo-won
Park Yeong-seo
Yang Mi-kyung
Min Kyoung-jin
Jang Nam-yeol
Yi Sang-hun
Jang So-yeon

Trailer

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Una morale da “Cecchino”

L’ultimo capolavoro di Clint Eastwood è ispirato alla biografia di Chris Kyle, il cecchino più micidiale delle forze armate americane (163 bersagli centrati), eroe della seconda Guerra del Golfo (dal 2003 in poi) e ucciso nel 2013 a trent’anni da un reduce squilibrato. Il film inizia con una doppia inquadratura, dove vediamo il cecchino appostato e il bersaglio inquadrato nell’ottica del fucile. Una donna con un bambino sta per lanciare un ordigno esplosivo contro una squadra di Marines che rastrellano l’isolato di un quartiere iracheno. Cosa fare, sparare o no? Salvare i propri compagni o uccidere una madre e un bambino? Per scegliere ci sono pochi secondi di tempo e la responsabilità è del singolo. Non siamo di fronte al solito film di guerra: qui l’uomo è posto di fronte a scelte morali che lo marcheranno a vita. Il cecchino è un soldato che uccide a sangue freddo, anche se Kyle non è un franco tiratore ma un militare inquadrato che deve coprire gli altri soldati. Siamo infatti nelle sgangherate periferie di Falluja e di Sadr City e il rastrellamento casa per casa si svolge in un ambiente ostile e pericoloso.
Le scene successive ci rimandano indietro. Chris e il fratello sono ragazzoni texani patriotticamente pieni di adrenalina, per loro arruolarsi nei Marines è una scelta normale. Chris è selezionato per i Navy Seals, gli incursori della Marina, e qui rivediamo le solite scene di addestramento alla Full Metal Jacket. E siccome è un bravo tiratore, Chris sarà addestrato come cecchino e mandato in quattro turni (tre anni in tutto) in Irak. Nel frattempo conosce una ragazza in un locale e la sposa appena in tempo prima di esser mandato al fronte. La moglie del soldato è in America un mestiere duro: si vive per mesi con altre mogli nei quartieri riservati delle basi militari e i bambini il padre lo vedono poco. Kyle ne avrà due e la moglie dimostra una grande abnegazione: in genere il tasso di divorzio nei corpi speciali tocca anche il 90%. Il vero problema è che ad ogni nuovo ritorno dal fronte la moglie capisce sempre meno il marito. Né potrebbe essere altrimenti: Chris non discute mai le sue idee ed è convinto che l’America sia nel giusto, ma la brutalità della guerra segna tutti i soldati, per cui anche lontano dal fronte il cervello è altrove. Tra l’altro c’è un pericoloso e crudele avversario da eliminare, un cecchino siriano ex olimpionico di carabina (storie già sentite in Bosnia), che è una sorta di alter ego demoniaco di Kyle, in una sorta di versione aggiornata di Duello al sole, dove l’Irak è il Far West e i cow-boy si sono arruolati nei Marines. Le ricostruzioni dei combattimenti sono attendibili, ma il film è comunque schematico: se il nostro Kyle si pone problemi etici, i nemici sono coraggiosi ma infidi, rozzi, crudeli e mafiosi, il che non è peraltro una novità: gli americani in guerra raramente sanno capire un’ideologia. Peccato, perché il film mette continuamente in gioco la responsabilità individuale del protagonista, il quale talvolta prende l’iniziativa anche in modo scoordinato dal proprio comandante (nei reparti speciali può capitare), col risultato di scatenare la reazione nemica prima dell’arrivo dei rinforzi, come avvenne a Mogadiscio nel 1993 (ricordate Black Hawk down ?). Memorabile l’esfiltrazione finale dei soldati americani da un isolato sotto assedio durante una tempesta di sabbia, in un inferno di ferro e fuoco dove alla fine si spara a casaccio. “Non puoi sparare a ciò che non vedi” aveva detto un commilitone a Kyle durante un’azione, ma qui è il caos. Kyle ha avuto però il tempo di centrare l’avversario cecchino da una distanza di quasi due chilometri, se il doppiaggio non ha confuso i metri con i piedi (altrove i genieri erano diventati ingegneri).
L’epilogo del film segue la reale biografia di Kyle: una volta a casa inizia a dar segni di squilibrio nervoso e viene mandato in terapia, dove gli consigliano di aiutare gli altri reduci e mutilati di guerra, opera che il nostro eroe fa volentieri. Ma verrà ucciso proprio da uno di loro, afetto da disturbi da stress post traumatico, sindrome che ha colpito migliaia di soldati dal Vietnam in poi. Il film si chiude con le immagini originali dei funerali di Kyle, seguiti da migliaia di americani.

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Regia di Clint Eastwood
Con Bradley Cooper, Sienna Miller, Cory Hardrict, Jake McDorman, Luke Grimes, Navid Negahban, Keir O’Donnell, Kyle Gallner, Sam Jaeger, Brando Eaton, Brian Hallisay, Eric Close, Owain Yeoman, Max Charles, Billy Miller, Eric Ladin, Marnette Patterson, Greg Duke, Chance Kelly

USA, 2015 – durata 134 min

Sceneggiatura: Jason Hall
Fotografia: Tom Stern
Montaggio: Joel Cox, Gary Roach
Produzione: 22 & Indiana Pictures, Mad Chance Productions, Malpaso Productions
Distribuzione: Warner Bros. Italia

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Un Paese di Speranze

Sulle tracce dell’eroe fenicio Cadmo, cui il mito attribuisce l’introduzione in Grecia dell’alfabeto, Nicola, trentenne incerto sul futuro, e il fratello Elia, dieci anni, intraprendono un viaggio in Italia alla ricerca di un nuovo linguaggio, per ridare alle cose il loro giusto nome e restituire un senso alle parole. In questo peregrinare, fatto di volti e luoghi, realtà dolorose e memorie storiche, la strada diventa percorso di formazione e insieme di esplorazione immaginaria. Al confine tra documentario e finzione, il film racconta le speranze del Paese che sarà.

Unicef Italia ha scelto Sarà un Paese per festeggiare la Giornata mondiale del Bambino e il 25° Anniversario della Convenzione Onu sui diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza (Convention on the Rigths of the Child), approvata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 20 novembre 1989. Per la prima romana del film, che si terrà proprio il 20 novembre 2014, sarà organizzata una serata-evento in collaborazione con UNICEF Italia.

La motivazione con la quale il Comitato Italiano per l’Unicef sostiene: «Il film è un viaggio per l’Italia attraverso lo sguardo di un bambino di dieci anni che cerca le tracce di un Paese migliore. I temi narrati con grande delicatezza e sensibilità spaziano dall’ambiente al diritto al lavoro e alla non discriminazione, fino alla cittadinanza per i bambini di origine straniera nati in Italia. L’attenzione all’equità e ai diritti dei bambini sono i cardini della missione dell’Unicef. La conoscenza e l’incontro si rivelano ancora una volta chiavi d’ingresso alla libertà, all’inclusione e a una crescita serena per lo sviluppo individuale e dell’intera società».

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06 Cinema Sarà un paese LocandinaSARÀ UN PAESE

Regia: Nicola Campiotti
Titolo Originale: Sarà un Paese

Con: Elia Saman, Raffaele Guarna, Matilde Gardini, Graziella Marota, Anok Deb, Greta Fink, Serge Latouche, Sista Bramini, Gianluca Foresi

Distribuzione: Distribuzione indipendente
Produzione: Indrapur Cinematografica
Paese: Italia, 2014
Durata: 77’
Genere: documentaristico
Sceneggiatura: Nicola Campiotti
Direttore della Fotografia: Leone Orfeo
Montaggio: Enrica Gatto
Destinatari: Scuole di ogni Ordine e Grado

Maggiori informazioni

Trailer

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