Il vascello fantasma

Erebus è per i greci un dio degli Inferi; è anche il nome dato dagli esploratori a un vulcano attivo in Antartide. Infine, è anche il nome di un veliero partito nel 1845, disperso tra i ghiacci alla ricerca del Passaggio a Nord-Ovest e ritrovato quasi intatto in fondo al mare nel 2014 da una spedizione oceanografica in una delle zone meno ospitali del pianeta: la fascia a nord del Canada, punto di incontro fra mari diversi, ma anche di ghiacci, nebbie e tempeste che ne rendono ancora oggi antieconomica la traversata. Ma nell’800 ancora non era stato scavato il Canale di Panama e per passare da un oceano all’altro le navi dovevano scendere fino in Patagonia e forzare il Capo Horn, sferzato dai Quaranta Ruggenti, i vènti che s’incuneano da Ovest scorrendo la costa cilena e argentina, permettendo ai lunghi, invelati cutter inglesi di portare il tè a Londra dalle Indie in poche settimane. L’Erebus  invece somiglia molto al Bounty: una solida, lenta nave da guerra convertita alle esplorazioni scientifiche. Esse erano finanziate dall’Ammiragliato e dalla Royal Geographic Society e univano il progresso delle scienze alla ricerca di nuove rotte commerciali e di espansione coloniale. Gli Inglesi avevano il dominio del mare, idee chiare e capitani coraggiosi. Studiare venti e correnti, registrare le variazioni del nord magnetico o perfezionare il cronometro marino significava anche rendere più sicure le rotte marittime. Nel libro che ho davanti, la vita a bordo è ricostruita al dettaglio e ammiriamo l’energia dei suoi ufficiali e marinai. Il libro è la storia di una nave, ma anche di chi l’ha governata in mezzo a tempeste, correnti, iceberg, nebbie, venti oceanici e onde lunghe. Anche se bloccata dai ghiacci, l’Erebus è la nave di legno che prima di Amundsen più si è avvicinata ai poli Nord e Sud, perdendo in tanti anni pochi uomini (la spedizione finale è un altro discorso), anche grazie a comandanti come James Clark  Ross, che ha dato il nome a toponimi situati in zone estreme, raggiunte dopo aver navigato mezzo mondo in condizioni di mare abominevoli. Autore del libro è Michael Palin, appassionato ricercatore più noto come attore comico dei Monty Python e produttore dei documentari Palin’s Travels. La sua personalità eclettica rende la lettura del libro ben diversa da quella di un testo accademico. Palin sa scrivere, ma ha esplorato con metodo gli archivi della Royal Navy e della Royal Geographic Society, dove sono conservati i disegni della navi, i diari di bordo, la corrispondenza e tant’altro, riuscendo a comporre un quadro d’insieme che ci fa quasi vivere a bordo con i marinai. Erano ben pagati, ben nutriti e ben trattati, almeno secondo gli standard dell’epoca; eppure i ritmi di lavoro erano rigidi, la disciplina dura e prevedeva anche le frustate. Gli alloggi degli ufficiali erano razionali, ma gli altri sessanta uomini, pur curando l’igiene, vivevano pur sempre in una nave di trenta metri. Merci, attrezzature e provviste erano stivate fino a saturare gli spazi; la dieta dei marinai non era bilanciata e pochi campavano oltre i sessanta. I viaggi dell’Erebus duravano anche due anni, ma era nel conto: gli esperti equipaggi erano reclutati nelle isole a nord della Scozia o in Irlanda, dove a terra si viveva peggio che in mare. Gli scali dispersi negli oceani offrivano agli ufficiali una vita sociale adeguata – abbiamo resoconti da Città del Capo, da Hobart (Tasmania), da Sidney, mentre i marinai in franchigia – se non disertavano – andavan per bettole e donne: dal diario di un giovane scienziato imbarcato, la descrizione di una trentina di ragazze creole a Rio suggerisce uno sfiorato infarto. Nel frattempo la nave veniva riparata e rifornita di provviste, si smistava la posta e si mandavano in patria mappe, relazioni e campioni di piante e animali ignoti e minerali da sfruttare. Gli ufficiali dovevano pagarsi di tasca loro vitto e vita sociale, ma diverte l’idea che spendessero non solo per le posate d’argento personali, ma anche per i costumi di scena per il teatro e le feste di bordo, con cui si passava il tempo libero tra uomini: nel libro sono riportate le immagini del rituale di bordo al passaggio dell’Equatore e di un surreale capodanno in maschera su un lastrone di ghiaccio in Antartide, con tanto di musica e alcoolici. La razione di ‘grog’ era parte del vitto e tale tradizione è stata dismessa non troppi anni fa. Purtroppo nel corso delle lunghe navigazioni la dieta si rivelava povera di alcune vitamine, e lo scorbuto era una piaga tipica dei marinai. Ma questo è noto.

Parliamo ora dei viaggi dell’Erebus. Se in guerra pattugliava il Mediterraneo, in tempo di pace fu attrezzata per le esplorazioni polari. Dal 1829 al 1833 al comando di John Ross e di suo nipote James Clark Ross la nave arriva al Polo Nord magnetico, ma resta bloccata dai ghiacci e tutti rischiano di morir di fame, prima di essere salvati da una baleniera. Nel 1839 l’Erebus insieme alla Terror viene equipaggiata per la spedizione in Antartide di James Clark Ross. Dopo uno scalo in Tasmania nel 1840 salpa per l’Antartide, superando il 1 gennaio del 1841 il Circolo Polare Antartico e percorre la Grande Barriera Australe (poi ribattezzata Barriera di Ross). Torna in Tasmania per preparare la seconda spedizione antartica, che raggiunge i 161° W e i 78° 9’ 30” S per poi riparare alle Falkland/Malvine. Una terza spedizione salpa nel 1842 ma è costretta a rinunciare per i ghiacci che rischiano di bloccare la nave. James Clark Ross ha sempre saputo fermarsi al punto giusto e quando torna a Londra è nominato cavaliere. Nel 1845 l’Erebus viene equipaggiata per trovare il Passaggio a Nord-Ovest dopo i fallimenti precedenti. Il comando viene affidato al sessantenne John Franklin, già veterano della sfortunata spedizione del 1819 ed ex governatore della Tasmania. Ross sconsiglia l’uso di navi grandi e lente, ma la sua esperienza non viene tenuta in debito conto. L’Erebus e la Terror saranno avvistate per l’ultima volta a fine luglio 1845 nella baia di Baffin. Da quel giorno tutti cercheranno per anni le navi fantasma e la vedova del capitano Franklin sarà la promotrice delle ricerche.

Che era successo? Verranno inviate tre spedizioni di soccorso fra il 1847 e 1848, due delle quali guidate da Ross, ma senza esito. La verità si saprà nel 1854, vista anche la ricompensa di 10.000 sterline in palio. John Rae, un medico-geografo della società che gestiva la baia di Hudson, mentre sta mappando la costa artica viene a sapere dagli inuit (una volta si chiamavano eschimesi) che quegli uomini erano tutti morti: le navi erano rimaste incastrate nei ghiacci nell’Isola di re Guglielmo e le navi abbandonate nel 1848. Tutti erano morti di freddo e malattie cercando di andare a sud. John Rae era diverso da loro: si vestiva e viveva come gli inuit e da loro aveva imparato a sopravvivere tra i ghiacci artici. Proprio gli inuit narravano nelle loro saghe di questi autentici vascelli fantasma alla deriva fra nebbie e ghiacci, e questo ha permesso a una nave oceanografica guidata proprio da un inuit di rilevare fra il 2014 e il 2016 la sagoma delle due navi sul fondo del mare, ben conservate nell’acqua gelida. Un’esplorazione condotta con un drone subacqueo ha permesso di sapere molto di più della nave e del suo sventurato equipaggio. Solo nel 1906 Amundsen sarebbe riuscito a forzare il Passaggio a Nord-Ovest, ma con una nave più piccola e un equipaggio di marinai e sciatori norvegesi addestrati a vivere come gli inuit.

Infine, una nota sull’edizione. Che dire? Traduzione scorrevole, ottimi indici e tante mappe dettagliate, spesso assenti in altri editori. I termini marinareschi sono tradotti con competenza. Unico neo: le misure sono espresse solo in piedi, galloni, yarde, fathom, miglia, pinte, pollici e libbre. Fa molto Old England, ma crea difficoltà al lettore ‘continentale’.


Il mistero dell’Erebus
Michael Palin
Traduttore: Ada Arduini
Editore: Neri Pozza, 2020, pp. 416
Prezzo: €19,00
ISBN: 978-88-545-1990-9
EAN: 9788854520912
EBOOK


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