Gallerie

Immagini di corpi che danno voce ai borsisti

L’esposizione è caratterizzata dalla diversità delle pratiche artistiche rappresentate, dalla letteratura alla creazione sonora, alla scultura, al restauro del patrimonio, all’architettura, alla fotografia e al video. Dall’ampia gamma di progetti emergono alcuni temi ricorrenti: il mondo vegetale, il corpo e le sue trasformazioni, le forme di resistenza, la dialettica tra esterno e interno, senza dimenticare la figura di Roma, città reale e fantastica.

Durante il loro anno nella capitale, i borsisti sono incoraggiati a vivere la residenza come un laboratorio di sperimentazione, che offre l’opportunità di condurre una ricerca a lungo termine, di esplorare nuove strade e di lasciarsi sorprendere e coinvolgere dai risultati degli incontri con altre pratiche artistiche e altre geografie. La mostra è un’estensione di questa esperienza, nonché un’opportunità per mettere in discussione il modo in cui vengono presentati i progetti che non rientrano nelle categorie espositive convenzionali.

Dalle oscurità sotterranee ai gorgoglii dell’acqua, dalle interpretazioni architettoniche dell’Antica Roma, con un’installazione di pietre, alle riflessioni sull’esilio di Hamedine Kane, (nato in Mauritania, vive tra Dakar, Bruxelles e Parigi,) propone un intervento sulla post-indipendenza di alcuni Paesi africani, con afro-nostalgia e afro-utopia, recuperando dall’Archivio Luce la testimonianza sul “Congresso mondiale degli scrittori” tenutosi a Roma nel 1959, portando avanti un progetto di ricerca su tre grandi scrittori afroamericani esiliati a Parigi nella seconda metà degli anni Quaranta e un sogno di libertà che stava per avverarsi.

Kapwani Kiwanga è un’artista franco-canadese che ha studiato antropologia e religione, con un progetto performativo “Remédiations” per affrontare il tema delle terre tossiche o contaminate e la possibilità di poterle curare, così come le nostre abitudini tossiche possono essere modificate per essere più sane.

Il mondo vegetale è al centro dei racconti raccolti dalla scrittrice Céline Curiol, che presenta, attraverso una postazione di ascolto, il racconto di storie d’amore aventi come pretesto, o oggetto, piante e fiori, raccontate delle voci di chi voleva offrirgliele. Anche il corpo, nei suoi diversi aspetti, rientra tra i temi affrontati da diversi residenti.

Il corpo visto da Jean-Charles de Quillacq attraverso i manichini mutilati, tra desiderio, allucinazioni, sdoppiamento, scomparsa, frammentazione, mimetismo sono alcune delle tecniche con cui il corpo supera i suoi limiti e si fonde come forma tra le forme. tre le sculture presentate sono state progettate per la mostra: organismi desideranti ed erotici che trasformano con la loro presenza lo spazio che occupano. Come spesso accade, una volta ricollocati nel laboratorio assumono una funzione scenografica per una performance dell’artista filmata da Ismaïl Bahri.

Séverine Ballon, musicista e compositrice, ha frequentato negli ultimi mesi il mercato di Piazza Vittorio, registrando le voci di chi lo anima e restituendo la loro presenza sotto forma di installazioni sonore e performance. Suoni casuali che incontrato i suoi per essere raccolti in una sorta di diario di voci canti parole che le ha raccolto durante un anno di frequentazione del mercato, incontrando la vivacità di un’ora prima del momento della chiusura, quando le associazioni di volontariato si occupano della distribuire il cibo e rimasto invenduto.

Laure Cadot presenta un calco in 3D del proprio cranio, per una sorta di test effettuato sulla propria persona, mettendo in discussione l’opportunità di presentare dei resti umani in un contesto espositivo, grazie anche a una serie di materiali di studio sul dibattito.

Il percorso si completa con le riflessioni di due scrittori. Justinien Tribillon con la sua riflessione sul rimpossessarsi del tempo nel ritagliarsi dei frammenti di pausa, all’interno dell’orario lavorativo, e dei materiali che trovano attorno a loro per dare forma alla propria creatività.

Mentre Pierre Adrian intervista Julie Hascoët, autrice delle fotografe capaci di raccontare i cambiamenti del paesaggio delle cave di marmo di Carrara: i luoghi raccontano la storia, l’economia, la politica di un paese; e, oggi, queste montagne rappresentano, più che un ricordo della Resistenza, il simbolo di un’abdicazione alle multinazionali straniere che acquistano terreni fino ad allora considerati bene pubblico e patrimonio dell’umanità.


A più voci
Mostra dei borsisti di Villa Medici
Dall’8 giugno all’8 settembre 2024

Accademia di Francia (Villa Medici)
viale della Trinità dei Monti, 1
Roma

A cura di: Cecilia Canziani e Ilaria Gianni, con Giulia Gaibisso (collettivo IUNO)

Con i 16 borsisti in residenza a Villa Medici:
Pierre Adrian, Mali Arun, Ismaïl Bahri, Séverine Ballon, Hélène Bertin, Alix Boillot, Madison Bycroft, Laure Cadot, Céline Curiol, Ophélie Dozat, Hamedine Kane, Kapwani Kiwanga, Laure Limongi, Morad Montazami, Jean-Charles de Quillacq, Justinien Tribillon

Informazioni:
tel. +39 06 67611


Quando in Libia entravamo come clandestini

Nelle mie ricerche di archivio nell’Ufficio Storico della Marina ho trovato alcuni documenti che riguardano le sorti della comunità italiana in Libia nel 1946 (1). In Libia era presente almeno lungo la costa una significativa comunità italiana formata soprattutto da agricoltori, artigiani, operai, pescatori e piccoli commercianti, più i militari e i funzionari dell’amministrazione coloniale. Erano circa 120.000, concentrati soprattutto intorno a Tripoli e Bengasi. Mussolini incoraggiò la creazione di grandi aziende agricole affidate a coloni veneti e meridionali e Balbo avrebbe voluto portare la colonia italiana – già il 13% della popolazione libica – a 500.000 unità, e forse ci sarebbe anche riuscito se non fosse finita come sappiamo: lui abbattuto dal fuoco amico (?), la Libia persa con la guerra. Gli Inglesi in un primo tempo lasciarono la situazione come era, visto che solo i coloni italiani potevano far funzionare quelle aziende agricole, ma gli sfollamenti di guerra e l’ostilità dei locali spinse molti a tornare in Italia. Così un altro rapporto riservato descrive la situazione a Roma (2) :

“La posizione dei profughi italiani d’Africa (ex colonie, Etiopia, Tunisia) è accuratamente seguita dal P.C.I.  – E’ da tener presente che questi profughi, malgrado la loro indigenza e la loro classe sociale (si tratta in genere di contadini, operai e piccoli artigiani, accolti nei campi profughi di Cinecittà a Roma e altrove nel Mezzogiorno) non sono in genere favorevoli alle ideologie dei partiti di sinistra, per l’atteggiamento anticolonialista di questi movimenti. Inoltre sono ancora troppo radicati in questi ex-coloni d’Africa i benefici ricevuti durante l’ex-regime fascista e il passato ricordo del prestigio degli italiani in Africa”.

Il documento prosegue descrivendo l’infiltrazione degli attivisti del P.C.I. tra quelli che, pur definiti “fascisti” e “colonialisti”, potevano comunque convertirsi alla causa. Nel documento si fa anche cenno al tentativo di togliere all’ex-Ministero delle Colonie l’assistenza ai profughi d’Africa per trasferirla al Ministero dell’Assistenza Post-bellica, diretto dal comunista Sereni, “onde eliminare dalla scena sociale una massa di individui, fatalmente portati a giustificare il colonialismo (o “imperialismo”) e a sostenere il ritorno italiano in Africa”. Analisi fredda ma storicamente corretta.

Ma molti italiani cercavano invece di ritornare in Libia per ricongiungersi con la loro comunità e tornare al lavoro nelle piccole industrie e nelle aziende agricole, che il rapporto definisce produttive:

“Alcune industrie si sono avvantaggiate della interruzione delle importazioni dato che, per compensare sul mercato la mancanza di merce di produzione italiana, lavorano a pieno ritmo. Nelle campagne, i cui raccolti delle ultime tre annate sono stati buoni, i coloni proseguono il loro lavoro malgrado la crisi dei prezzi dovuta a sovra produzione”.

Quello che oggi suona paradossale è l’ingresso clandestino dei nostri coloni:

“L’immigrazione degli italiani è un argomento che sta particolarmente a cuore alla nostra comunità, giacché molti sperano di riavere famigliari e parenti a suo tempo rimpatriati. L’ostilità degli arabi verso questi ritorni è alimentata dai partiti di ispirazione straniera, e3 specie dal Fronte di Unità Nazionale. L’Amministrazione ha largamente immesso nei reparti di polizia guardacoste personale arabo per controllare l’immigrazione clandestina. Secondo voci correnti, gli italiani che approdano clandestinamente, se sorpresi da arabi vengono anche derubati e malmenati. Il periodo di punta degli sbarchi clandestini in Tripolitania fu lo scorso agosto: in tal mese si calcola che siano entrati centinaia di italiani. Si ebbero proteste dei capi di partito arabi, ma non ci furono manifestazioni di ostilità da parte dell’opinione pubblica. Fino ad oggi gli immigrati clandestini sono stati circa 2.200, dei quali circa 300 rinviati in Italia. Le autorità hanno però dichiarato che in avvenire tutti quelli che tenteranno illegalmente lo sbarco saranno respinti”.

Situazione delicata: nel Trattato di Pace del 1947 l’Italia dovette lasciare libere dalla sua occupazione coloniale tutte le sue colonie, ma nel 1946 era stato un vano tentativo di mantenere la Tripolitania come colonia italiana assegnando la Cirenaica alla Gran Bretagna ed il Fezzan alla Francia; fino al 1951 la Gran Bretagna amministrò Tripolitania e Cirenaica, e la Francia il Fezzan, in gestione fiduciaria delle Nazioni Unite, mentre la Striscia di Aozou (ottenuta da Mussolini nel 1935) venne riconsegnata alla colonia francese del Ciad. Il finale della storia lo scrisse Gheddafi nel 1969, spodestando il vecchio re Idris, messo su nel 1951 dagli inglesi per via del petrolio, e fondando un regime durato fino al 2011. La colonia italiana – ormai circa 35.000 persone – fu cacciata nel 1970 e i loro beni confiscati.

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Note

  1. Fondo Santoni, Ufficio Trattati, Notizie sulla situazione in Tripolitania, copia del promemoria C3/H n. 230 del 14 novembre 1946.
  2. Fondo Santoni, Ufficio Trattati, La posizione dei profughi italiani d’Africa e il P.C.I., copia del promemoria C3/H n. 236 del 13 dicembre 1946.

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Saverio Ungheri: Il pulsante respiro dell’Arte

Non esiste solo la militanza politica o la critica militante modello anni ‘70 – ‘90, ma anche la militanza artistica, non solo basata su di un messaggio sociale o politico, ma quella aperta ad altri artisti, capace di andare oltre una individuale elaborazione, per una discussione comunitaria, rimanendo sospettosa verso gli altri artisti.

La militanza artistica vera, quella aperta agli altri, è quella che Saverio Ungheri ha portato avanti per anni, offrendo il suo spazio, il suo “Polmone Pulsante”, ad altri artisti la possibilità di mostrare i propri lavori in uno spazio espositivo avulso da burocratismi.

Il “Polmone Pulsante” era l’antro dell’artista-archimista Saverio Ungheri, salotto per disquisire di arte e di altro, passando dal tenebroso luogo dell’inventore di macchine, alla luminosità del palazzo per acquisire una nuova visione delle opere, non tanto di quelle pittoriche, ma soprattutto quelle robatiche.

Uno spazio, quello di via Merulana, dove la selezione di opere pittoriche, con una frammentazione a bande orizzontali o verticali per un’idea di finestre, si aprono a nuova vita e possono godere di un ampio confronto con i marchingegni robotici, con la sensibilità verso l’ambiente, individuando molti anni orsono la plastica come un pericolo, con la pittura Metapsitica e l’Astralismo di forme e colori.

Il “Polmone Pulsante”, grazie al figlio Andrea, ritornerà ad essere luogo di confronto artistico, dove ammirare le opere nello strano mondo del “protoscienziato” Saverio Ungheri e scoprire la Roma antica della salita del Grillo, dove un tempo sorgeva la chiesa di San Salvatore delle Milizie.


Saverio Ungheri
Visioni Metapsichiche
Dal 12 giugno al 25 agosto 2024

Palazzo Merulana
Roma

A cura di Andrea Romoli Barberini
In sinergia con Fondazione Elena e Claudio Cerasi e CoopCulture


Alla ricerca degli artisti perduti 9

LUIGI CRISCONIO (1893 – 1946)

Iscritto nel 1913 all’Accademia di Belle Arti di Napoli, se pure per temperamento fu avverso alla pittura accademica, fu grande ammiratore di Michele Cammarano, usufruendo del suo prezioso insegnamento.
Continuatore del tradizionale “Vedutismo” meridionale, se ne discosta per una vena tutta sua di disincantata malinconia in cui la tecnica eminentemente impressionista assume valenze di sintesi che saranno più tardi di un Sironi, di un Carrà.
Fu presente poi in importanti esposizioni in Italia e all’estero.
Non molto amato dalla critica ufficiale per la sua visione di un paesaggio che allude a venature crepuscolari e più introspettive, come solitamente accade, dopo la sua morte fu ampiamente rivalutato come addirittura il più grande pittore napoletano del XX secolo!

EGON SCHIELE (1890 – 1918)

Schiele è stato un “caso” a sé: intelligenza creativa e visione originalissima della realtà figurativa in modi precocissimi e già risolutivi fin dall’inizio del suo breve percorso artistico.
Espressionista fin dal profondo di sé, provenendo dai preziosi languori del Decadentismo europeo (Klimt ), ha subito preconizzato gli sviluppi della nuova figuratività nella drammatica interiorizzazione di un eros non felice né compiuto, come slancio disperato che ha in sé le conseguenze del “cupio dissolvi” della musica di Mahler, intuizione del germe mortale che già si insinua nei pallori, nei lividi verdi dei suoi adolescenti colti nella muta stupefazione del proprio esistere già contaminato dalla consapevolezza della propria fragilità.
Tutti esiti figurativi di altissima qualità che fanno di Schiele la promessa mantenuta dell’enfant prodige del neonato espressionismo, e per gli sviluppi imprevedibili che purtroppo non furono realizzati per la sua giovane vita recisa ad appena 28 anni dalla terribile “Spagnola”, la peste europea che tante vite distrusse nei primi venti anni del ‘900!

MARIO SIRONI (1885 – 1961)

La pittura di Sironi che tanto amo, forte, densa,quasi sbalzata dalla tela, con le sue stesure di terre corpose e calde, nella solitudine sospesa di una città in attesa di un evento surreale che pure non verrà; una solitudine che sa di silenzi e antiche malinconie.

Markus Yakovlevich Rothkowitz detto MARK ROTHKO (1903 – 1970)

…E’ INCREDIBILE COME IN ROTHKO STESURE APPARENTEMENTE PIATTE EVOCHINO INVECE PROFONDITA’,PIANI E PROSPETTIVE INSONDABILI E SORPRENDENTI: E’ LA STESSA MISTERIOSA PROFONDITA’ DELL’ANIMA CHE SI MANIFESTA…Non c’è la figura,né uno spazio determinato da coordinate prospettiche, ma c’è lo spazio dell’interiorità animica: il mistero più antico e arcano dell’Universo…..ed è sepolto in noi!

Julie Polidoro: dipingendo lo smarrimento

Quella di Julie Polidoro si può definire “una pittura anche senza pittura”, nel suo lasciare alcuni spazi della superficie pittorica senza pigmento, per evidenziare le luminosità dell’opera e per raccontare le differenti realtà.

Realtà di una Terra vista da un oblò, con le cromachie che fanno risaltare i momenti e le condizioni dello “scatto”, una diversificazione dei colori per i cambiamenti atmosferici, in una geografia geopolitica in continuo cambiamento, con nazioni che scompaiono e altre che si formano, in un continuo scindersi di stati liquidi dove l’unico elemento stabile è il cielo.

Poi le tele che catturano le immagini filtrate dallo schermo del pc, per una riflessione sulla condizione umana, sia di profughi che di lavoratori in condizioni di sfruttamento, ma in entrambi i casi viene raffigurata un’umanità sradicata dal suo abituale contesto per essere in ampi open space, dove ognuno cerca il suo angolo di quotidianità.

Le opere di Julie Polidoro, oltre ad essere caratterizzate da tele con dei “vuoti” di pigmento, portano in evidenza le pieghe del tessuto, come dei punti di riferimento, come delimitazioni, come delle coordinate geografiche che non esaltano solo i lavori cartografici, per ritrovare il luogo, ma anche per uscire dallo smarrimento dei continui cambiamenti distruttivi del clima, della disumanizzazione dei centri di detenzione.

Tele che si piegano per essere trasportate ovunque e poi srotolate, una sorta di moderna versione del cantastorie, aggiornato ai giorni nostri, accantonando le storie di paladini e nobili traditi, per illustrare ciò che l umanità riesce a fare ai propri simili e all’ambiente nel quale vive.


Julie Polidoro
Today is Yesterday’s Tomorrow
Dal 24 maggio al 20 settembre 2024

Dicastero per la Cultura e l’Educazione
piazza Pio XII 3
Città del Vaticano

Le visite alla mostra, tutte su prenotazione, potranno essere riservate scrivendo all’email eventi@dce.va