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Salvini e il Pensiero slegato


Chi scrive è sinceramente inorridito dallo stile di Salvini: anti-intellettuale, assertivo invece che dialettico, duro ma privo dell’elaborazione culturale del fascismo storico. Eppure il suo stile funziona, quindi va studiato, non fosse altro per combatterlo. Finora l’opposizione non lo ha fatto, anzi è scesa al suo livello: aggredisce invece di analizzare e in più confonde i modi con i contenuti, dimostrando scarse capacità di analisi. Certo che rispetto a non molti anni fa il linguaggio politico si è impoverito, all’analisi si è sostituita l’emozione. Il problema è che tutto questo funziona, almeno per ora, cioè fino al giorno in cui la gente chiederà ragione dello scarto fra le parole e i fatti. Se parli di blocco navale le navi della Marina devi farle uscire dal porto, altrimenti chiunque s’i infila e ti fa fesso. Ma prima di parlare devi anche verificare se questo te lo permette la legge, a maggior ragione se sei ministro dell’Interno. Ebbene, l’analisi del lessico di Salvini è ora contenuta in un libello di Stampa Alternativa, nella collana “Strade bianche”, erede dei Millelire e come tale breve – 30 pagine – ma corposo. Autrice è Francesca Vian, che ha smontato i messaggi di Salvini dal giugno 2018 a oggi, un anno in cui è successo tutto e il contrario di tutto, o niente. Intanto si stabilisce la differenza tra il Salvini che posta brevissime frasi sui social – aiutato da un’équipe guidata dal filosofo informatico Luca Morisi – e il Salvini in diretta, aggressivo e logorroico, che parla con tutti, accetta i selfie brandendo il cell come la spada del guerriero di Legnano, risponde a braccio e parla anche per ore senza leggere neanche un foglietto di appunti. Antitesi del politico che non esce dall’ufficio, in questo modo ha il polso del suo elettorato, né sarebbe una cattiva idea per l’opposizione tornare a camminare per strada e parlare con la gente invece che con altri politici. Ma torniamo al libretto. E’ diviso per paragrafi: lessico quotidiano, brevitas, notizie de-formate, auctoritas, negazione, ritmo, ripetizione… per ogni lemma ci sono esempi documentati. Ne esce un continuo disprezzo del nemico – deve sempre esserci un nemico – offeso e reificato in ogni modo. Il linguaggio è quello della guerra, sempre. Le ripetizioni e le assonanze sono continue, ossessive, le battute razziste derubricate a goliardata. Quello che è più grave, non si citano mai fonti documentate o nomi e cognomi dei responsabili: genericamente sono i ministri di Berlino, quelli di Bruxelles, la grande informazione, le banche, i signori dello Spread. Sulle ONG si va invece sul pesante attraverso accostamenti emotivamente suggestivi, ma che sono in realtà uno scarto tra la realtà e il resto, tipo: gli immigrati sulle navi delle ONG fanno lo sciopero della fame? I bambini poveri italiani lo fanno tutti i giorni, nel silenzio dei buonisti, dei giornalisti e compagni vari. E’ evidente che non si possono accostare realtà che appartengono a classi logiche diverse, eppure questo è il meccanismo. Naturalmente il nemico è sempre goffo, radical-chic, mezzo gay oppure criminale, magistratura compresa. Sicuramente è una reazione a certa sinistra preoccupata delle piste ciclabili ma incapace di varare un piano per il commercio. Per lui sono solo chiacchieroni da salotto buono, capaci di dire solo che non si tocca l’alberello e non dovete disturbare l’uccellino. Diciamolo: Salvini odia chi ha studiato e il suo elettorato ha trovato in lui il portavoce. Ma davvero l’Italia era tanto arretrata, impaurita e ignorante da andar dietro al pifferaio di turno?

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