COVID- ECONOMY

Avevo immaginato un racconto in cui una giovane coppia di disoccupati reclusi come tutti noi altri per tre mesi nel loro appartamento, per campare s’inventano una videochat erotica a pagamento, vincendo le proprie inibizioni pur di poter fare la spesa guadagnando la percentuale sulle loro prodezze sessuali. Mi accorgo invece di esser arrivato tardi: in una simpatica intervista su Youtube una giovane coppia siciliana che vive però a Tenerife (Canarie) spiega come fa da mesi a guadagnare un sacco di soldi in rete rivendendo ai fan e agli abbonati il loro “recitar scopando”. Mamma all’inizio non era d’accordo, ma ora ha capito… l’intervista è un capolavoro di ottimismo, morale liquida e spontaneità: a sentir loro, è un lavoro molto creativo, proficuo e naturale, e i video più visti non sono quelli più “penetranti”, ma quelli dove la coppia esprime amore e passione. Romantico! Visti i tempi che corrono, manca solo la benedizione di papa Francesco per sdoganare questo modo di vivere candido, sincero e naturale. Quei due sono arrivati a mettere su Pornhub (una piattaforma specializzata in linea) anche 14 video al mese, il che non è poco, visto che la postproduzione include sfraso, editing e montaggio. Non solo: all’impresa si sono associate altre coppie, unite dall’utile e il dilettevole. Certo, se diventa un lavoro non è sempre un divertimento, visto i limiti fisiologici maschili, ma evidentemente il lavoro di gruppo ridistribuisce meglio le energie e le risorse. E devono saperci proprio fare, visto che sono censiti fra i primi venti “performer” o “model” più gettonati in rete, ora che la disintermediazione del web ha distrutto quello che prima era un mondo chiuso, ovvero il porno industriale. Se andate a curiosare in certi siti o piattaforme, vi accorgerete che basta una telecamera HD, un buon collegamento di rete, uno spazio privato da usare come set e quel tanto di fantasia e faccia tosta che ti permettono di esibirti davanti agli altri, magari dopo un buon bicchiere di cognac. Per i pagamenti si ricorre a carte di credito o trasferimenti di valuta simili a Western Union, basati all’estero e al di fuori delle leggi nazionali che regolano certi ambiti: vendersi pur virtualmente, in Italia rientra nel reato di sfruttamento della prostituzione. Ma ora la pacchia è finita: i grandi circuiti come Mastercard hanno bloccato i pagamenti verso Pornhub e altre piattaforme simili, in seguito a una serie di denunce penali. Il problema è il solito: in rete nessuno controlla i contenuti e i provider si ritengono esenti dal farlo, anche se è impossibile passare al setaccio milioni di documenti. E’ successo con Youtube,  Facebook e Istagram, e in genere a propugnare azioni legali sono i detentori di copyright più che le associazioni civiche. Nel porno però la questione è delicata: dalle denunce penali dei privati si evince che non sempre attori e attrici sono consenzienti e maggiorenni e che la documentazione allegata è spesso falsa. In effetti, almeno a scorrere i filmati postati gratis (su quelli riservati a chi paga non posso pronunciarmi) qualche sospetto può anche affiorare: a parte l’età degli attori e delle modelle, non sono rare scene di sesso violento, né è inverosimile l’uso di droghe. In più, le modalità di certi gruppi porno colombiani e venezuelani, vere e proprie paranze del sesso, suggeriscono una certa prossimità con ambienti criminali. Fatto sta che Pornhub ha eliminato di corsa centinaia di video non certificati, ma non per questo ha evitato il blocco dei pagamenti deciso dai grandi circuiti delle carte di credito. Questo ha dimezzato in poche ore i proventi dei “sex workers”, come gli americani chiamano pragmaticamente tutti quelli che usano per ferro del mestiere i loro organi sessuali. Crisi del settore? Disoccupazione per migliaia di lavoratori e lavoratrici, oneste o meno? Scioperi? Quello che era  finora visibile era solo la punta dell’iceberg.

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