La guerra è una parola

Immagino i futuri libri di scuola: “Dopo oltre 70 anni di pace in Europa garantita dall’equilibrio tra le nazioni, dal benessere sociale, dalla ricchezza dei commerci e dai trattati internazionali, nel 2022 l’invasione russa dell’Ucraina fu l’inizio della Terza Guerra Mondiale, che rimise in gioco equilibri e conquiste civili consolidate”. Ma guai a chiamare le cose con il loro nome: la guerra è fatta anche di parole che negano la sua stessa realtà: è un’ “azione speciale”, anche se dura da quattro mesi invece che quattro giorni, mentre il nemico è privo di identità: “l’Ucraina è Russia”, che ricorda “Trst je nas” <Trieste è nostra> del Maresciallo Tito. Cito dal convegno “Guerra e Pace”, democraticamente svolto a Montecitorio il 29 giugno 2022:

«A oltre quattro mesi dall’inizio dell’operazione speciale militare in Ucraina secondo la versione russa o invasione secondo la speculare versione euroatlantica cominciano a emergere le prime avvisaglie di una frattura all’interno del cosiddetto fronte occidentale che si riflette nelle società civili dei vari paesi europei»

Ma come ci ha insegnato il linguista Noam Chomsky, con la parola la politica non descrive il mondo: lo crea. Sono proprio le parole a marcare i cambiamenti. Ricordo Balkan Express di Slavenka Drakulic’, un libro uscito al tempo della guerra civile jugoslava (anni ’90 del secolo scorso); ma oggi citerei la scrittrice  e sceneggiatrice di Kharkiv (per i russi: Kharkov) Marina Višneveckaja, la quale  nel suo Dizionario dei cambiamenti (è una comunità Facebook) traccia dal 2011 il modo come la lingua cambia nel tempo, soprattutto nei suoi aspetti socio-politici. Il tempo di osservazione deve essere piuttosto lungo; i cambiamenti sono significativi se diventano stabili nel tempo, quindi il Dizionario dei cambiamenti esce ogni 2 o 3 anni. Lo scorso aprile è stata presentata l’edizione del 2022, relativa al periodo 2017-2018. Parole che scompaiono e altre che assumono nuovi significati (vetera verba novata significatione , direbbero gli antichi manuali di retorica). Ebbene, guarda caso il lessico politico russo inizia a cambiare dal 2014, anno dell’invasione della Crimea, l’ operazione speciale”, che riuniva alla Russia il porto militare di Sebastopoli e costituisce di fatto l’inizio della nuova politica estera di Putin.

La ‘Parola dell’anno’ fu non a caso il neologismo Krymnash, cioè ‘La-Crimea-è-nostra’: sulla bocca di alcuni era un’esclamazione di giubilo, sulla bocca di altri era un soprannome per i patrioti sciovinisti. Bene, il nostro dizionario include parole come Krymnashist (un sostenitore dell’annessione della Crimea alla Russia) e Krymnashism (l’ideologia dei krymnashist). Contemporaneamente, compariva nella nostra lingua l’espressione “Guerra civile fredda”, che descrive la spaccatura avvenuta nella società” (citato da un articolo su Il Foglio del 3 giugno 2022)

E se posso dare un consiglio, leggetevi con cura le fonti russe e/o “collaborazioniste”.  Un italiano si firma p.es. “Angelo Vendicatore” e riempie con i suoi interventi il sito di discussione Quora (https://it.quora.com/ ). A parte qualche grossolano falso storico e ideologico, fornisce un quadro preciso non tanto della macchina del consenso, ma rende leggibili alcuni concetti che noi “occidentali” tardiamo a capire. Già, perché una cosa sono i comunicati per l’opinione interna russa, altro è quanto riservato ai media occidentali, si suppone siano più informati e meno controllati di quelli russi. Cito ad esempio un articolato contributo del colonnello Jacques Baud, un ex-ufficiale di stato maggiore svizzero che aveva avuto anche incarichi di alto livello. S’intitola “La vera storia della guerra in Ucraina: parla un ex colonnello di ONU e NATO” e ne cito la versione pubblicata su www.renovatio21.com (ne circolano varie traduzioni, quindi è un documento ufficiale). Un punto mi ha colpito in modo particolare:

“Molti commentatori occidentali si sono meravigliati del fatto che i russi abbiano continuato a cercare una soluzione negoziata mentre conducevano operazioni militari. La spiegazione è nella concezione strategica russa, fin dall’epoca sovietica. Per gli occidentali, la guerra inizia quando cessa la politica.  Tuttavia, l’approccio russo segue un’ispirazione clausewitziana: la guerra è la continuità della politica e si può passare fluidamente dall’una all’altra, anche durante il combattimento. Questo crea pressione sull’avversario e lo spinge a negoziare.  Da un punto di vista operativo, l’offensiva russa <iniziata il 24 febbraio 2022, ndr.> fu un esempio nel suo genere: in sei giorni i russi si impadronirono di un territorio vasto quanto il Regno Unito, con una velocità di avanzamento maggiore di quella che fece la Wehrmacht nel 1940”

A parte il sinistro e controproducente riferimento alla Wehrmacht, c’è l’ammissione ufficiale della Guerra come Valore, la vera discriminante fra l’Europa democratica e la Russia di Putin. Che la guerra sia la continuazione dell’azione politica lo aveva teorizzato Carl von Clausewitz dopo le guerre napoleoniche e il suo trattato Della Guerra è la bibbia delle scuole militari. Solo che dopo la seconda G.M. la nazioni europee hanno rinunciato alla guerra come strumento di pressione politica e l’Italia addirittura l’ha inserito nella Costituzione. La Russia no. La questione è tutta qui.

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