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Marche: Arte e battaglie a suon di fisarmonica

Richiamano alla memoria i pergolati e le tavolate delle trattorie di campagna, le feste nelle piazze di paese con piadine e ballo liscio, i cori stonati dai “giri” di buon vino. È la fisarmonica: strumento che in Italia, a Castelfidardo, nelle Marche, viene prodotto ancora artigianalmente. Seguiamone le note lungo un itinerario di gran pregio.

La cittadina marchigiana dl Castelfidardo è entrata nella storia per la battaglia che in quel luogo si consumò tra le truppe piemontesi e quelle pontificie nel 1860, uno scontro di modeste proporzioni che permise alle truppe regie di avere aperta la via per Napoli, ma per i cultori italiani, e non solo, della musica popolare è la patria della fisarmonica.

Di origine viennese [di Damian, 1829], appartenendo alla famiglia degli armonium, la fisarmonica ha trovato una patria adottiva in quel di Castelfidardo, come si suol dire una ridente cittadina della provincia anconitana, in posizione panoramica, protesa verso la costa Adriatica. Della battaglia resta per la memoria dei posteri la grande opera bronzea di Vito Pardo, raffigurante il generale Cialdini a cavallo che guida i piemontesi all’assalto di un roccione, della fisarmonica le diverse fabbriche e attività artigianali per la richiesta nazionale e per quella estera. Ben presto questo strumento, che si diffuse nei vari paesi compresa l’Italia, dove è nota anche con il nome di organetto, trovò nel popolo cultori appassionati e valenti suonatori. La fisarmonica infatti si presta moltissimo alle danze popolari o per riprodurre canzonette, arie di ballo; un raro esempio nella cosiddetta musica colta si ha nel secondo atto del Wozzeck di Alban Berg.

Il più conosciuto tra i virtuosi italiani di questo strumento è stato negli anni ‘60 – ‘70 Gorni Kramer. La fisarmonica è composta di un mantice a soffietto che, azionato dal movimento delle braccia del suonatore, si riempie d’aria. Alle estremità vi sono le tastiere, così a destra come a sinistra.

Alla fisarmonica, Castelfidardo ha dedicato un museo con oltre 150 esemplari collocati in un godibile allestimento presso il Palazzo Comunale. Sono di diversa grandezza e variano anche nella forma esterna; il loro timbro è molto simile a quello dell’armonium comune. Presso il Palazzo Mordini trova invece collocazione il Museo Risorgimentale con i cimeli della battaglia. Ma Castelfidardo non è solo fisarmonica e Risorgimento. È luogo di villeggiatura e di cura, ma anche di testimonianze culturali e artistiche nel territorio. Collocata nella valletta dell’Aspio, in vista del Monte Conero, è la piccola stazione termale di Aspio Terme, con le sue quattro sorgenti di acque fredde salso-bromoiodiche, variamente mineralizzate.

Una visita a Recanati si impone, soprattutto per la Pinacoteca  dove sono conservati alcuni dipinti di Lorenzo Lotto. La cittadina è anche il luogo nativo sia di Giacomo Leopardi che del tenore Beniamino Gigli e come Castelfidardo a Recanati nascono delle “scatole della musica”, gli organetti meno ingombranti delle maestose fisarmoniche.. A pochi chilometri da Castelfidardo, verso sud-est, Loreto con il santuario mariano costruito intorno alla Casa Santa, considerata la casa di Nazareth dove Maria era nata e Gesù visse fino al trentesimo anno. Nel Museo-Pinacoteca un gruppo di opere di Lorenzo Lotto e la collezione di ceramiche da farmacia. Verso nord-ovest, Osimo con il suo duomo in romanico-gotico del sec. VIII, con il presbiterio sopraelevato e il pavimento in mosaico di tipo cosmatesco del sec. XII. Molti albi sono gli esempi ben conservati di architettura ecclesiale romanico-gotica presenti nelle Marche. 1982-marche-santurbano-bn-esterno-retro-sxA ovest di Castelfidardo c’è l’abbazia di Sant’Urbano ad Apiro, isolata sulla sponda sinistra del torrente Esitante, affluente del fiume Esino. Ancora un passo verso la Ss. 76 e si arriva alla chiesa di Sant’Elena a Serra S. Quirico, una delle più importanti abbazie sorte lungo il corso del fiume Esino. Saltuariamente utilizzata, per visitarla occorre chiedere alla famiglia che abita a fianco.

In questo 1995, anno delle celebrazioni federiciane, è d’obbligo concludere il viaggio nella medioevale Jesi, dove Federico II venne alla luce nella piazza del Duomo. In posizione dominante, con la sua cinta muraria del ‘300, Jesi riveste il ruolo di guardiana della vallata del fiume Esino.

Gianleonardo Latini
da GAMBERO ROSSO n. 44
settembre 1995 pagina 18

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Aggiornamento:

1982-marche-santurbano-portaleOra le abbazie di sant’Elena e di sant’Urbano non offrono solo due importanti testimonianze della architettura religiosa dell’XI secolo, ma anche una struttura ricettiva, proponendo un pacchetto completo per chi organizza matrimoni.

Il complesso di Sant’Urbano è da alcuni decenni di proprietà del Comune di Apiro e comprende, oltre all’abbazia, vari fabbricati, sparsi su 162 ettari, come la casa di riposo e una country house a gestione familiare che garantisce una piccola struttura ricettiva e di ristorazione, non solo per matrimoni della suggestiva chiesa.

italia-itinerari-marche-arte-1977-08-13-marche-6x6-frati-bianchi-04-ieri-oggi-copiaAnche l’eremo dei Frati Bianchi, o delle Grotte, è un luogo ristrutturato, dopo secoli di abbandono e saccheggio, tra le vittime la ricca biblioteca e l’altare di maiolica della scuola Della Robbia, trasformato in un’imponente struttura per ospitare congressi, eventi culturali, mostre e cerimonie di prestigio.

 

 

La tomba del Tasso

img_20161223_084109-gianicolo-s-onofrioTorquato Tasso fu un grande poeta, scrittore e drammaturgo vissuto nella seconda metà del ‘500 e celebre per essere stato l’autore della “Gerusalemme Liberata”. E’ sepolto a Roma nella chiesa di Sant’Onofrio dopo aver vissuto gli ultimi giorni della sua vita tormentata nell’adiacente monastero.

La chiesa ora ricade nel territorio del Rione Trastevere mentre un tempo era situata in un’area extraurbana in quanto le mura Aureliane recingevano il rione secondo il percorso Porta Settimiana, Porta San Pancrazio, Porta Portese; la zona tra il Gianicolo e il Tevere era fuori delle mura finché nel ‘600 Papa Urbano VIII Barberini ampliò la cinta muraria collegando Trastevere a Borgo con una serie di bastioni lungo il crinale del Gianicolo; furono inglobate nella città tutte le abitazioni che nel frattempo si erano estese lungo la via della Lungara, che collega la Porta Settimiana in Trastevere con la Porta Santo Spirito in Borgo, e che si era arricchita di chiese, monasteri e di due palazzi principeschi alle estremità, Palazzo Salviati e Palazzo Riario poi Corsini.

L’edificio religioso nacque nel 1419 come eremo fondato dal Beato Nicolò da Forca Palena e fu trasformato in chiesa con lavori che iniziarono nel 1439 e che durarono per anni specialmente per quanto riguarda l’arredamento interno che contiene opere prodotte tra il ‘500 e l’800.

Alla chiesa, che è adiacente all’ospedale Banbino Gesù, si accede con img_20161223_084355-gianicolo-s-onofriouna scalinata che porta ad un prato con una fontana, su due lati si svolge un portico con lunette decorate ritenute opera giovanile del Domenichino; in fondo al portico sorge una piccola cappella intitolata alla Madonna del Rosario, sul davanti una lunetta con “Sibille” dipinte da Agostino Tassi, all’interno pitture settecentesche con finti sfondi architettonici e sull’altar maggiore una “Natività” di Francesco Bassano il Giovane.

L’interno della chiesa è a navata unica con cinque cappelle laterali, l’abside è interamente coperto di affreschi spartiti in tre registri e attribuiti al Peruzzi forse in collaborazione con il Ripanda.

La prima cappella a destra contiene una “Annunciazione” di Antoniazzo Romano, nella seconda affreschi di G.B. Ricci da Novara e sull’altare una “Madonna di Loreto” assegnata ad Annibale Carracci o alla sua scuola, nella terza a sinistra un dipinto del Domenichino nel monumento funebre del Cardinal Sega; nella prima, ampliata durante il pontificato di Pio IX, la tomba del Tasso, opera ottecentesca di Giuseppe Fabris, con ritratto del 1608 e arricchita da una lampada votiva di Duilio Cambellotti.

img_20161223_084026-gianicolo-s-onofrioDovunque nella chiesa lapidi e sepolcri di varie epoche, tra loro anche la lastra tombale del fondatore Beato Nicola; anche la sacrestia è ricca di dipinti ed affreschi. Per un piccolo andito si passa in un chiostro rettangolare, della metà del XV secolo, a doppio ordine con colonnine antiche ed archi a tutto sesto, le lunette rappresentano scene di vita di Sant’Onofrio e sono state dipinte in occasione del Giubileo del 1600; quattro sono opera del Cavalier d’Arpino le altre dello Strada e del Ridolfi.

Nel convento ha sede il Museo Tassiano con cimeli e ricordi del poeta. Proseguendo sulla strada che porta al Gianicolo si incontra, sulla sinistra, la “Quercia del Tasso” resti di un albero sotto il quale soleva riposare il poeta.

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Chiesa di Sant’Onofrio al Gianicolo
piazza di Sant’Onofrio, 2
Roma (Trastevere)

Informazioni:
tel. 06/6864498

Apertura della Chiesa
Lunedì-Venerdì / ore 9:00 — 13:00
Domenica / ore 9:00 — 12:00
Chiesa chiusa nel pomeriggio

Orari Santa Messa
Domenica e giorni di precetto
ore 12:00 celebrazione eucaristica

Gli orari possono subire cambiamenti. Si suggerisce di verificare contattando la chiesa

Nota | Note
In questa Chiesa
non si celebrano i matrimoni
Marriages are not celebrated
in this Church

La Chiesa è chiusa in agosto
The Church is closed in August

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Un restauro a San Pancrazio

roma-chiesa-san-pancrazio-pancrazio-sitoLa chiesa di San Pancrazio si trova appena fuori della cinta delle mura gianicolensi, oltre l’omonima porta; di origine antichissima fu fatta costruire all’inizio del VII secolo d.C. da Papa Simmaco e dedicata a San Pancrazio, giovinetto cristiano morto martire nel 304 durante la persecuzione di Diocleziano. Sotto la chiesa si trovano delle catacombe, piuttosto povere, dove era sepolto il martire il cui cranio è ora conservato in chiesa, nella navata destra, in una teca nel muro.

La chiesa ha avuto nei secoli numerose vicende ricostruttive ma gran parte dell’aspetto attuale risale al restauro dei primi del ‘600 per opera del Cardinal de Torres il cui stemma appare più volte. Al ‘900 risale invece la ridipintura del catino absidale e della cappella in fondo alla navata destra.

Lungo le pareti delle navate laterali, sorrette da massicci pilastri sovrastati da festoni di puttini, si dispongono numerosi bassorilievi in stucco con episodi di vita di santi; il soffitto è in legno intagliato risalente al 1609. Il presbiterio è sorretto da colonne romane di spoglio e nella parte superiore si trovano affreschi rappresentanti santi come fossero statue inquadrate da finte architetture; risalgono ai primi del ‘600 e sono variamente attribuiti al Cavalier d’Arpino o ad Antonio Tempesta. Va notato che la chiesa fu coinvolta nei combattimenti sul Gianicolo all’epoca della Repubblica Romana e l’edificio e l’adiacente convento furono gravemente danneggiati e l’archivio andò perduto.

Nel 1662 il complesso fu affidato ai Carmelitani Scalzi che tuttora reggono la parrocchia. I frati sono devoti a Santa Teresa d’Avila, appartenente al loro Ordine, mistica spagnola vissuta tra il 1515 e il 1582, autrice di molti scritti devozionali, beatificata nei primi anni del XVII secolo; a lei era dedicata la cappella in fondo alla navata di sinistra decorata con un quadro celebrativo dipinto dal frate Luca de Nivelle distrutto da soldati francesi nel 1798. Fu sostituito con un’opera di analogo soggetto del pittore neoclassico Tommaso Conca.

In un anno imprecisato tra il 1838 e il 1848 i Carmelitani di Santa Maria della Scala, in Trastevere, donarono ai loro confratelli di San Pancrazio un quadro di Jacopo Palma il Giovane del 1615, come risulta da data e firma dell’autore; era stato nella originaria sede per oltre due secoli poi, forse per un cambio di allestimento, risultò in eccesso e fu donato. A San Pancrazio stette poco nella cappella della Santa, fu gravemente danneggiato nel 1849, arrotolato e conservato nel convento; nel 1928 fu recuperato e restaurato da Alessandro Frattini che praticamente lo ridipinse e tornò nella cappella di Santa Teresa. L’autore era stato il pittore tardo manierista Jacopo Negretti più noto come Palma il Giovane per distinguerlo da un prozio omonimo conosciuto come il Vecchio.

Rappresenta la Santa con un angelo che le trafigge il cuore con una lancia in un contorno di angioletti svolazzanti mentre un Cristo avvolto in un manto azzurro contempla dall’alto la scena; è il soggetto ripreso anni dopo, in scultura, dal Bernini, in Santa Maria della Vittoria, con un tono carnalmente sensuale mentre il Palma infonde al dipinto un aspetto dolce, tranquillo, composto.

Il Negretti, pittore famoso ai suoi tempi, fu allievo prediletto di Tiziano e non risulta sia mai stato a Roma. quindi l’opera fu dipinta a Venezia e poi inviata a Santa Maria della Scala.

Dopo il restauro del 1928 il quadro mostrava segni di degrado per cui due associazioni, Verderame Progetto Cultura e LoveItaly, hanno deciso di provvedere alla sua risistemazione promovendo una raccolta di fondi tra i parrocchiani e vari sponsor e donatori, mancano ancora 10.000 Euro che le due associazioni sperano di raccogliere tra mecenati pubblici e privati.

Per il momento il restauro ha fatto sparire le ridipinture novecentesche facendo riapparire il dipinto originale in pessime condizioni ma le restauratrici contano di poter riportare il quadro a buone condizioni di visibilità.

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San Pancrazio fuori le Mura
piazza San Pancrazio, 5/D
Roma

tel. 06/5810458

 

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Qualcosa di più:

Continuano le sofferenze delle chiese “dimenticate”

Una chiesa dimenticata

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Dove, forse, fu martirizzato San Pietro

chiese-san-pietro-in-montorio-img_20161114_162452 Secondo la tradizione l’Apostolo fu crocifisso nell’Ager Vaticanus, praticamente dove ora sta la Basilica, ma una leggenda secondaria lo da invece ucciso in una parte del Gianicolo in seguito definita Mons Aureus da cui prende il nome la chiesa di San Pietro in Montorio.

L’edificio inizia ad apparire nelle fonti intorno al X secolo e poi è più volte citato nei passaggi di proprietà da un ordine religioso all’altro; nel 1472 Papa Sisto IV lo concesse alla Congregazione Francescana del Beato Amedeo da Silva che fece demolire la chiesa iniziando la costruzione di una nuova attraverso l’opera di Baccio Pontelli. o più verosimilmente di Meo del Caprino, e con il finanziamento di Isabella di Castiglia e Ferdinando d’Aragona, coniugi e Reali di Spagna, che assunsero il patronato del complesso monastico. Durante il pontificato di Papa Alessandro VI, nel 1500, la chiesa fu consacrata ma i lavori continuarono per un intero secolo.

L’edificio sacro subì danni durante l’occupazione francese di Roma in età napoleonica e successivamente nei combattimenti del 1849 tra le truppe francesi del Generale Oudinot e le forze della Repubblica Romana guidate da Garibaldi.

Nel 1876 il governo italiano concesse chiesa e monastero al Regno di Spagna che vi collocò la Reale Accademia di Spagna, la residenza dell’ambasciatore e il Liceo Cervantes, istituzioni tuttora operanti.

La facciata della chiesa, di fine ‘400, in bianco travertino è visibile da molte zone della città; è divisa in due parti, con in alto un rosone, e scompartita nella parte inferiore da quattro paraste, sul portale campeggia lo stemma marmoreo dei Re di Spagna.

L’interno è a navata unica con cinque cappelle, di varie dimensioni, per lato. La prima a destra è decorata da un affresco ad olio su muro rappresentante la “Flagellazione” opera notissima di Sebastiano del Piombo, nella cappella successiva campeggia un affresco, trasportato dall’esterno, con l’effigie della “Madonna della Lettera” attribuito a Nicolò Circignani detto il Pomarancio.

La terza contiene dipinti del ‘700 mentre sull’altare della quinta il Vasari dipinse la “Conversione di San Paolo”; nel transetto grande cappella con le tombe del padre e dello zio di Papa Giulio III del Monte con statue scolpite da Bartolomeo Ammannati.

Sull’altar maggiore campeggiava fino ai primi anni dell’800 la grande pala della “Trasfigurazione” di Raffaello; fu fatta asportare da Napoleone, riportata a Roma nel 1816, dirottata nella Pinacoteca Vaticana e sostituita da una copia dipinta dal Camuccini del quadro di Guido Reni la “Crocifissione di San Pietro”. Sul retro dell’altare era stata posta la tomba di Beatrice Cenci che fu purtroppo distrutta dai soldati francesi nel 1798.

Notevole nella terza cappella di sinistra il dipinto di Antoniazzo Romano “S. Anna, la Madonna e il Bambino” mentre la seconda è opera, della metà del ‘600, del Bernini a cura e spese della famiglia Raymondi.

La prima a sinistra è stata dipinta a fine ‘500 da Giovanni De Vecchi. A fianco della chiesa il chiostro del convento che presenta su di un lato delle lunette affrescate.

Al centro il bellissimo ed armonioso tempietto rotondo del Bramante, chiese-san-pietro-in-montorio-img_20161114_162646è a pianta circolare contornato da dodici colonne doriche ed è sovrastato da una cupola a costoloni: l’interno è diviso in due parti, nella superiore una statua cinquecentesca di S. Pietro, nell’inferiore episodi della vita del Santo in stucco ed un foro che la devozione ritiene trattarsi del luogo dove fu infissa la croce dell’Apostolo.

Nell’interno dell’antico convento un altro chiostro con lunette affrescate con episodi della vita di S. Francesco. Nella piazza antistante la chiesa sorge una colonna sovrastata da una croce eretta a metà ‘600. Una strada a gradoni collega la piazza alla sottostante via Garibaldi, è decorata da una Via Crucis in terracotta policroma istallata nel 1957 in sostituzione di una precedente deteriorata.

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chiese-san-pietro-in-montorio-img_20161114_162602Chiesa di San Pietro in Montorio
piazza di San Pietro in Montorio, 2 (Gianicolo)
Roma

Informazioni:
tel. 06/5813940
Sito web

Orario:
tutti i giorni ore 8.00-12.00 / 15.00-16.00

Messe:
Festivi ore 8.00 e ore 12.00
Durante la celebrazione della Santa Messa non è possibile visitare la chiesa

Per visite guidate di gruppo è obbligatorio un preventivo appuntamento telefonico

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Due piccole chiese molto simili

chiese-ss-callisto-e-egidio-img_20161101_073055Grosso modo a destra e a sinistra della basilica di Santa Maria in Trastevere si trovano due chiese abbastanza simili per aspetto e per buona parte della loro storia: San Callisto e Sant’Egidio. La prima si trova nell’omonima piazza e sorge sul luogo dove per tradizione si ritiene sia stato martirizzato San Callisto Papa, ucciso e gettato in un pozzo durante tumulti anticristiani intorno al 220 d.C.. Si ha notizia di un originario oratorio edificato durante il pontificato di Papa Gregorio III nell’VIII secolo e più volte restaurato nel corso del medioevo.

Nel 1610 per opera dell’architetto Orazio Torriani la chiesa fu completamente ricostruita e decorata sulla facciata con lo stemma di Paolo V papa regnante all’epoca, a fianco, nel Palazzo San Callisto, fu sistemato un monastero Benedettino. L’aspetto esterno è di tipo tardo cinquecentesco suddiviso in due ordini, l’inferiore è spartito da quattro paraste con al centro il portale sovrastato da un timpano.

L’interno è ad una navata con una cappella per lato: nella cappella di destra è posto un dipinto rappresentante “ San Mauro Abate” ,opera di Pier Leone Ghezzi, affiancato da due angeli ritenuti opera di Bernini e della sua bottega, in quella di sinistra il “Martirio di San Callisto” dei primi decenni del ‘600, sull’altar maggiore “San Callisto ed altri Santi adorano la Vergine” di Avanzino Nucci anch’esso dei primi del XVII secolo.

Accanto il pozzo dove fu gettato il santo. Dopo il 1870 il monastero fu confiscato ed adibito a caserma; restituito alla Santa Sede fu in parte demolito insieme ad alcune case private, fra cui quella in cui nacque Alberto Sordi; al suo posto, durante il pontificato di Papa Pio XI, fu costruito nel 1936 un imponente palazzo, nello stile dell’epoca, destinato ad accogliere uffici vaticani e godente di extraterritorialità.

La chiesa è abitualmente chiusa ma fino ad alcuni anni fa era stata affidata alla comunità copta cattolica egiziana che si è poi trasferita. Per eventuali visite ci si può rivolgere al Vicariato.

chiese-ss-callisto-e-egidio-img_20161101_072411L’altra chiesa, Sant’Egidio, si trova nell’omonima piazza ed ha anch’essa una storia molto antica; in un documento di Callisto II del 1123 risultano nella zona due chiesette citate come S. Lorenzo de Curtibus e S. Biagio de Janiculo, in seguito è nota la chiesa dei Santi Crispino e Crispiniano di proprietà della Confraternita dei Calzolai.

Nel 1610 il ricco macellaio trasteverino Agostino Lancellotti fece riedificare la chiesa dandole la nuova dedicazione a Sant’Egidio, contemporaneamente, su intercessione di una principessa Colonna, Papa Paolo V Borghese autorizzò la costruzione vicino alla chiesa di un monastero che fu affidato alle Carmelitane Scalze. Nel 1630 con l’autorizzazione di Papa Urbano VIII Barberini fu completato il monastero e ricostruita la chiesa dedicata a Sant’Egidio e alla Madonna del Carmine.

Dopo il 1870 chiesa e monastero furono confiscati ed affidati al Fondo Edifici del Culto; le monache, molto ridotte nel numero, hanno abbandonato la loro antica sede che in parte è stato destinata dal Comune di Roma ad ospitare il Museo di Roma in Trastevere che contiene numerosi reperti di vario genere illustranti la vita e la società della Roma del 7/800. Nella rimanente parte dell’edificio dal 1973 ha sede la Comunità di Sant’Egidio, meritoria associazione cattolica che si occupa del dialogo interreligioso e dell’assistenza a tutte quelle persone che le vicende della vita hanno relegato ai margini della società: poveri, disabili, migranti, senzatetto.

La facciata della chiesa è ad un solo ordine, scompartita da paraste giganti che terminano in un frontone aggettante; l’interno a navata unica con volta a botte ha una cappella per lato. In quella di sinistra, sull’altare, una tela di Cristoforo Roncalli, detto il Pomarancio, del 1610, rappresentante “Sant’Egidio abate”. Sull’altar maggiore e nel presbiterio varie icone di tipo bizantino sistemate dalla Comunità per esaltare il rapporto con le altre chiese cristiane; sull’altar maggiore l’Icona del Volto di Cristo o Mandylion, tavola dipinta di origine Russa del ‘600 riproducente un panno che avrebbe avuto impresso il volto di Cristo, nel presbiterio l’Icona della Pentecoste, moderna, e l’Icona della Madonna di Kiev del XVII secolo. Su una parete un Cristo ligneo senza braccia detto “ il Cristo dell’Impotenza”. Ai lati della porta d’ingresso due bei sepolcri seicenteschi. La chiesa è visitabile il sabato dalle 10 alle 12.

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Roma

San Calisto
Piazza di San Calisto, 16
Tel. 06/69886466 (Vicariato)-06/5895945

Sant’Egidio
Piazza di Sant’Egidio
Tel. 06/5895945

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Il magico e il sacro a Trastevere ricordando la peste

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