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Mediterraneo, una storia di conflitti

Sulla storia del Mare nostrum c’è una stupenda letteratura: dall’opera di Pirenne a quella di Braudel passando per Matvejevic, Quilici e Cardini (1). Questo breve libro di Luciano Canfora (2016) in meno di cinquanta pagine li sottende e aggiunge di suo. Era in realtà il testo di una conferenza – un po’ come le Lezioni americane di Calvino – e in fondo, diciamolo, i piccoli libri sono sempre i migliori: leggibili, concisi, razionali.
Intanto, il Mediterraneo è un mare chiuso dalle colonne d’Ercole; il canale di Suez prima non c’era, al punto che nella geografia di Tolomeo l’oceano Indiano era visto come chiuso e simmetrico. Platone però affermava (2) che il Mediterraneo è solo una piccola parte della terra, in cui “abitiamo come formiche o rane attorno allo stagno”, dimostrando dunque di vedere molto più in là degli altri. Ma quando è stato unificato il Mediterraneo? Un primo tentativo lo fanno i Greci di Siracusa per eliminare i Fenici dalla Sicilia, seguiti dagli Elleni ateniesi che cercano di conquistare Siracusa (3). Ma Atene e Sparta possedevano risorse limitate: una aveva la flotta, l’altra la fanteria. Con la prima si possono esigere tributi dai porti, con la seconda si tiene il terreno, ma per governare sul serio ci vuole un Impero. La risposta è quindi ovvia: il Mediterraneo diventa un lago quando Roma prima unifica prima l’Italia e poi elimina Cartagine e trasforma lo spazio intorno alla penisola in Mare nostrum. Quando discuto con uno straniero non è facile spiegare per quale motivo l’Italia è da secoli e anche oggi luogo d’invasione invece che padrona di un mare nel quale occupa una posizione assolutamente centrale. E l’ultima figuraccia risale a ieri, quando il nostro vuoto politico è stato occupato dalla Francia di Macron. Ma le invasioni sono di antica data: il Mediterraneo è come un ampio anello le cui rive e isole sono state raggiunte prima o poi da tutte le migrazioni afro-asiatiche. “Rodon”, la rosa, è una parola che i Greci hanno trovato sul posto, e chissà quante altre. Se l’Europa è un concetto medievale, il ratto di Europa è ancestrale: come a dire che ciò che vien da fuori, una volta varcati i Dardanelli diventa altro. Ma proprio sul Bosforo – a Troia – si svolge la guerra più antica di cui abbiamo testimonianza grazie a Omero. L’Iliade è la guerra degli Achei – Elleni, non asiatici – contro i popoli d’Anatolia. Gli stessi Elleni secoli dopo bloccheranno i Persiani di Serse e i loro discendenti romanizzati saranno sconfitti e occupati per sempre dai Turchi solo nel 1453, quando cade dopo mille anni l’Impero Romano d’Oriente. Alessandro Magno aveva orientalizzato il proprio potere per proiettarlo in Asia ma il suo impero fu breve, mentre l’impianto fondato dall’imperatore Costantino si dimostrò ben più solido e duraturo. Questo per dire che il Mediterraneo presenta una frattura originaria che non contrappone solo nord a sud, ma piuttosto ovest contro est. Canfora nota con preoccupazione la recente, progressiva egemonia della Turchia di Erdogan su Siria, Egitto e Libia, sviluppata ora appoggiando l’Isis, ora proponendosi nella mediazione fra le parti in conflitto (è di oggi il vertice di Tunisi), e la vede come una costante: al mare cercano di arrivare i popoli che scendono dalle aride montagne, mentre i popoli civilizzati cercano sempre di combattere i barbari, anche se prima o poi l’esito è scontato. Anche la guerra moderna vive di proiezione ancestrale, e non importa se non sappiamo più combattere e apriamo la porta all’invasore: è il principio quello che conta, la memoria è indelebile. Ovviamente parlo per metafore, quindi nessuno si offenda.
La frattura tra nord e sud si deve invece all’espansione dell’Islam, e qui la tesi di Pirenne, anche se formulata nel 1939, resta valida, nonostante il revisionismo di Cardini, il quale sembra rimuovere il concetto stesso di conflitto per trasformarlo in uno scambio tra culture diverse. E’ vero che certi traffici non si sono mai interrotti del tutto, ma la storia del Mediterraneo è una storia di guerre, di uomini finiti in fondo al mare e di rotte commerciali da difendere o sfruttare a tutti i costi. I secoli bui si devono anche all’interruzione del flusso di cultura e merci tra Oriente e Occidente, come la rinascita segue la ripresa dei flussi arabi che dall’Oriente tornano in Spagna, fin quando i Turchi – musulmani ma alieni – s’impongono prima su Baghdad e poi su Bisanzio. Una storia di lacerazione, ma anche d’incroci e scambi di ogni genere. L’essenza del Mediterraneo è la mescolanza, come diceva il compianto Pino Daniele.
A ricomporre l’unità del Mediterraneo sarà nel secolo XIX il colonialismo europeo: Marocco, Algeria e Tunisia diventano francesi, la Libia italiana, l’Egitto inglese. Ma è un dominio che dura poco più di un secolo, e si dimostrerà per quello che era: superficiale. Come un secolo – dal 1918 a oggi – dura l’assetto del Medio Oriente, seguìto alla dissoluzione dell’Impero Ottomano (accordi Sykes-Picot) e la nascita di nuovi stati. Fino all’attuale rinascita del Califfato o Daesh che sia, che spazza i confini geometrici tirati sulla carta con squadra e compasso. E una storia non finita, visto che ora si prevede il riflusso dei guerrieri verso la Libia e l’Africa subsahariana. L’autore ovviamente non è un indovino, quindi non può dire come andranno le cose. Fa comunque un’ultima osservazione: la Siria – tirannide minacciata da ben altra tirannide – è il paradigma della fine di un progresso laico, di quel nazionalismo militare modernista che aveva avuto nell’Egitto di Nasser il suo più ambizioso protagonista. Sogno infranto – aggiungo io – dall’unico stato realmente moderno e “occidentale”: Israele.
Infine, è inquietante pensare a una frase di Braudel, già citato: “L’unico destino dell’Africa è invadere l’Europa. L’unico destino dell’Europa è accoglierla”. E’ solo questione di tempo? In mancanza di una vera politica, sicuramente.

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Mediterraneo, una storia di conflitti.
Della difficile unificazione politica del mare nostrum in età classica (e oggi?)
Luciano Canfora
Editore: Castelvecchi (Irruzioni), 2016, pp. 43.
Prezzo: € 5,00
EAN: 9788869447129

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NOTE
1. Maometto e Carlomagno / Henry Pirenne, 1939 e ristampe; Il Mediterraneo : lo spazio e la storia, gli uomini e la tradizione / Fernand Braudel ; con la collaborazione di Georges Duby, 1987; Breviario mediterraneo / Predrag Matvejevic ; introduzione Claudio Magris, 1988; Mediterraneo / Folco Quilici, 1980; Incontri (e scontri) mediterranei : il Mediterraneo come spazio di contatto tra culture e religioni diverse / Franco Cardini, 2014. – sono cinque libri di cui non si può fare a meno, che e offrono una scelta di documenti e opinioni affascinanti.
2. Fedone, 109 b
3. “Greci” erano chiamati esattamente gli Elleni che avevano colonizzato la Magna Grecia, come dire “Americani” invece che “Inglesi”. Se volete far felici i vostri amici greci, chiamateli sempre “voi Elleni”.

Arabia In-Felix

Sull’Arabia Saudita le opere in italiano non sono molte e il libro di Liisa Limatainen riempie un vuoto, visto che il documentato libro di Pascal Menoret, Sull’orlo del vulcano. Il caso Arabia saudita risale al 2004 e ha un taglio accademico, mentre la Limatainen è una nota giornalista finlandese che da anni vive a Roma, ma ha scritto già un libro sull’Iran (non ancora tradotto) ed ora ci offre uno spaccato trasversale dell’Arabia saudita, una nazione strategicamente importante quanto ideologicamente arretrata, ai limiti del medioevale. E se il libro di Menoret si preoccupava delle future conseguenze dell’immobilismo della famiglia reale e della dirigenza religiosa, il crollo del prezzo del petrolio ha messo ora in crisi il patto sociale che manteneva stabile la società saudita: benessere senza diritti civili. Stiamo parlando di un paese dove non esiste parlamento né codice civile e penale strutturato, dove le esecuzioni capitali avvengono sulla pubblica piazza e la polizia religiosa bastona i trasgressori; un paese dove la popolazione ha una scarsa coscienza dei diritti civili e l’estesa famiglia reale ha il monopolio di tutte le attività politiche e produttive. Ma è anche un paese dove più della metà della popolazione è giovane, ma oggi è disoccupata e non può comprar casa. Quanto alla condizione femminile, l’Arabia saudita vieta alle donne di guidare l’automobile e praticamente prevede una tutela continua di un familiare maschio. Peccato che le donne siano ben più colte degli uomini – molte hanno studiato all’estero – e stiano anche lavorando sul Corano per discuterne il reale messaggio sociale. E proprio con molte donne Liisa ha parlato: attiviste politiche, avvocate, impiegate, ma anche donne comuni, pur con il limite di un interprete. E’ stato un lavoro paziente e sistematico, ma alla fine esce un quadro anche diverso da come ci s’immagina una società in realtà molto complessa e diversificata sia per zone geografiche che culturali, ma che continua a confondere la modernizzazione con la modernità e ha re islamizzato un paese islamico pur di battere la concorrenza degli integralisti religiosi. Integralismo che sta alla base dello stato stesso, che non è – si badi – uno stato teocratico, ma condizionato da un’alleanza di ferro fra un clan tribale originario e il clero rigorista wahabita. Ora, per capire la differenza tra questa corrente rigorista e il resto dell’Islam, si tenga presente che la fonte del diritto è naturalmente il Corano e l’insieme dei detti del profeta, ma le scuole coraniche non rigoriste accettano anche l’enorme corpus del diritto consuetudinario che gradualmente si è formato attraverso migliaia se non milioni di sentenze dei tribunali islamici. Questo ha perlomeno adattato alla modernità usi e costumi pensati mille anni fa da una società di allevatori nomadi, analogamente all’interpretazione della Bibbia rielaborata dai nostri teologi. E’ chiaro che il Diritto Romano nulla deve alla divinità, ma stiamo parlando di un altro mondo. Ora, l’interpretazione wahabita non tiene conto proprio delle sentenze del diritto consuetudinario, congelando il diritto alle prime due fonti e di fatto rifiutando la modernità e costringendo la gente ad applicare le regole in modo dogmatico e rigido. E qui subentra la famiglia reale – in realtà un clan tribale superficialmente modernizzato – dagli anni Trenta del secolo scorso è custode dei luoghi sacri del Corano, a cominciare dalla Mecca, e questo dà un prestigio immenso nel mondo musulmano. In più, naturalmente, il petrolio, che ha permesso di stabilire con gli Stati Uniti un patto che risale agli anni Trenta del secolo scorso: protezione in cambio di petrolio e ruolo di mediazione con gli altri paesi arabi. Le forze armate saudite hanno più mezzi che soldati, e proprio ieri gli USA hanno venduto loro armi per 100 miliardi di dollari. Questo non toglie che negli ultimi anni i rapporti tra i due paesi non sono buoni: gli Usa non sui sono mai intromessi nel sistema medievale con cui è governata l’Arabia saudita, ma il finanziamento neanche tanto occulto con cui i salafiti foraggiano il terrorismo islamico e centinaia di moschee integraliste ha provocato reazioni che hanno modificato comunque i rapporti diplomatici tra i due paesi. L’Iran è un antagonista, l’Arabia saudita un ambiguo alleato dell’Occidente, ma anche la pazienza ha un limite. Ma che il paese abbia un peso lo indica il suo ruolo all’ONU nella Commissione per i diritti umani, che è come affidare il ministero degli Interni ad Al Capone. E qui arriviamo al punto nodale: se il livello di civiltà di un paese si misura sulla base del rispetto dei diritti umani e delle libertà democratiche – afferma la Limatainen (ma potrebbe dirlo chiunque) – allora l’Arabia saudita è uno degli stati più retrogradi della Terra e in più opprime le donne in maniera patologica, e il libro è pieno di esempi.

Il lettore intelligente si chiederà a questo punto: ma quanto può durare uno stato simile? La guerra in Yemen è costosissima, l’economia non è diversificata, la metà dei giovani non può comprar casa o trovare lavoro e quindi non può sposarsi subito. Nonostante il petrolio la metà della popolazione vive in povertà, la scuola non prepara i tecnici e la modernità non può essere governata con un codice buono per i beduini. Quello che è peggio, i giovani militarmente addestrati all’estero o in patria, quando tornano diventano i più pericolosi nemici della famiglia reale, e in questo la politica saudita alleva piccoli Frankenstein, come dice la Limatainen. Ma nemmeno la popolazione normale è ferma: pur in un regime di censura, nei soli ultimi cinque anni è esploso il Web, tutti i giovani sono connessi e possono farsi un’idea di come vivono gli altri. Il confronto non è tanto con il corrotto e infedele Occidente, ma proprio con i paesi vicini e affini – Oman, Emirati arabi, Dubai, col risultato di vedere che si vive meglio e con un minimo di diritti civili. Le strade sono dunque solo due: una lenta, progressiva apertura verso una rappresentanza politica delle classi sociali, unita a una modernizzazione legislativa e scolastica adeguata ai tempi. Se la famiglia reale sarà capace di trasformare il potere in una monarchia costituzionale, bene. Altrimenti è facile prevedere una serie di rivolte sanguinose entro pochi anni. Staremo a vedere.

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Titolo: L’Arabia Saudita. Uno Stato contro le donne e i diritti
Autore: Liisa Liimatainen
Titolo originale: Saudi-Arabian toiset kasvot. Rohkeita naisia ja Kybernuoria
Traduzione: Irene Sorrentino
Editore: Castelvecchi, 2016, p. 284
Prezzo: 19,50 euro

EAN: 9788869446498

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