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Filologia 2.0

Il caso Camilla Läckberg ha smosso il mondo della critica letteraria: non sarebbe lei (o solo lei) l’autrice di alcuni gialli scandinavi di successo, come La gabbia dorata (2019) e Ali d’argento (2020). C’è anche la mano di Pascal Engman, che peraltro lavora per un editore. A scoprirlo è stato il giornalista Lapo Lappin, che ha analizzato i romanzi della Läckberg attraverso un programma che analizza le impronte stilistiche degli scrittori, cogliendo parole e strutture più frequenti; quello che è definita tecnicamente come intertestualità. Lappin ha usato il software JGAAP, (Java Graphical Authorship Attribution Program) usato nelle perizie di tribunale (1), inserendo i libri di altri otto giallisti svedesi. Valersi di scrittori ombra o ghostwriters non è certo una pratica rara, ma un conto chiedere la collaborazione di specialisti per arricchire le descrizioni d’ambiente o descrivere correttamente procedure tecniche, altro è farsi aiutare a scrivere i libri. Per La grande fuga dell’Ottobre Rosso è chiaro che Tom Clancy ha pagato un ufficiale sommergibilista per rendere credibili i tecnicismi, ma la strutturazione del racconto è opera sua. Altro è pagare uno scrittore e nasconderlo. Sia chiaro: lo fanno sicuramente gli sportivi quando scrivono libri che non avrebbero tempo o competenze per farlo, ma nessuno pretende troppo da loro, mentre da una autore noto a livello internazionale il lettore pretende l’onestà. In questo caso una scrittrice di successo ha cercato di mantenere i ritmi imposti dalle aspettative dei suoi lettori e dagli interessi del suo editore.

La novità è casomai l’uso dell’informatica per fare quello che per secoli hanno fatto i critici letterari: riconoscere e ricostruire la rete di relazioni che quel testo intrattiene non solo con i suoi possibili modelli letterari, ma anche con altri testi dello stesso autore. Si tratta anche di analizzare il lessico, gli stilemi, la lunghezza dei periodi. La filologia classica queste cose le fa da secoli, esercitandosi su una serie finita di testi sui quali si sono cimentati migliaia di studiosi. Usando l’Intelligenza Artificiale facciamo semplicemente prima.

Ma con l’intelligenza artificiale ben altri orizzonti si aprono alla filologia (2). Leggiamo ora “porfyras” (porpora)” in uno dei papiri di Ercolano, grazie a una tecnologia all’avanguardia in grado di individuare le tracce di inchiostro nei rotoli carbonizzati dall’eruzione del Vesuvio. Ma non è l’unico contributo della tecnologia allo studio dei testi antichi: il programma Ithaca è frutto della collaborazione internazionale tra diverse università (tra cui la Ca’ Foscari di Venezia) e DeepMind di Google. Promette di aiutare con grande precisione gli storici nel restauro e nella collocazione geografica e temporale delle iscrizioni greche, e chissà che non si applichi presto anche a quelle latine raccolte nel monumentale CIL, Corpus Inscriptionum Latinarum. Ancora: con il progetto Electronic Babylonian Literature l’intelligenza artificiale è stata addestrata a leggere la scrittura cuneiforme – gli specialisti sono un centinaio in tutto il mondo –  rendendo più semplice il lavoro di identificazione di nuovi frammenti. In più, i ricercatori dell’Università di Tel Aviv (TAU) e dell’Università di Ariel hanno sviluppato un modello di intelligenza artificiale in grado di tradurre automaticamente in inglese i testo in accadico scritto in cuneiforme. L’accadico era una lingua usata nei commerci e nelle relazioni internazionali e la scrittura cuneiforme fu adattata a questa lingua. Come si vede, la capacità di analizzare e sintetizzare enormi mole di dati anche diversi per classe apre nuovi orizzonti. Ci saremmo arrivati lo stesso? Sicuramente impiegando molto più tempo.

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NOTE

  1. http://evllabs.github.io/JGAAP/
  2. https://www.academia.edu/35968989/Artificial_intelligence_and_linguistics

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Scritture misteriose e Intelligenza artificiale

Gli archeologi in genere sono molto gelosi del loro mestiere e non gradiscono intrusioni, ma il problema è mal posto: decifrare scritture antiche è compito del filologo, mentre loro devono preparare e ordinare il materiale, come fece negli anni ‘50 John Chadwick (archeologo) nei confronti di Alice Kober (latinista) e Michael Ventris (architetto, paleografo e crittografo). Ventris decifrò in modo convincente la c.d. Lineare B cretese dimostrando che era un greco arcaico, eppure in certi ambienti ancora si sente dire che Ventris era un dilettante. Tale era Schliemann, mentre invece Ventris lo definirei più correttamente un professionista prestato all’archeologia. Né era un dilettante Giovanni Maria Semerano, bibliotecario e filologo, morto nel 2005. Non ha mai avuto una cattedra universitaria e ha subìto l’ostilità di un archeologo come Salvatore Settis, ma la sua interpretazione p.es. delle c.d. Lamine di Pyrgi (documento etrusco bilingue) è per certo più convincente di quella di Pallottino, che pur ha il merito di aver messo ordine nel Corpus Inscriptionum Etruscarum. Semerano era un grande conoscitore delle lingue semitiche come l’accadico (sorta di assiro-babilonese) e metteva in dubbio l’esistenza dell’ Indoeuropeo, mito politico oltre che linguistico. E soprattutto, ha messo in collegamento lingue diverse tra loro.

Nel frattempo il mestiere di filologo si è arricchito delle potenzialità offerte dall’Intelligenza artificiale (IA). Nel 2022 sono stati decifrati i simboli della scrittura del Regno di Elam, una delle culture più antiche del mondo, esistita in Persia nel III millennio a.C. e conquistata dall’Impero Persiano nel VI secolo a.C. , ma di cui sono rimasti solo una quarantina di testi scritti. E ora l’Università di Bologna ci prova col cipriota-minoico, una scrittura sillabica indecifrata usata nell’isola di Cipro durante la tarda età del bronzo. Ma nel frattempo sempre con l’aiuto dell’IA si cerca di mettere ordine nelle tavolette cuneiformi assiro-babilonesi ( progetto Electronic Babylonian Literature). I testi antichi non si presentano regolari e ben ordinati come nei libri di scuola e le varianti grafiche sono infinite, per cui analizzare grandi insiemi di dati è un lavoro improbo e ora gli algoritmi di apprendimento automatico “imparano” analizzando enormi insiemi di dati. Qualsiasi lingua può cambiare solo in determinati modi essendo una macchina logica, ma per le lingue antiche non puoi interagire coi parlanti e hai comunque un numero di testi non sempre enorme. Nel caso della scrittura cuneiforme, ora grazie agli sviluppi dell’IA, i computer vengono addestrati a leggere e tradurre i segni grafici e soprattutto a rimettere insieme tavolette frammentate per ricreare antiche biblioteche e, quando è possibile, ipotizzare frammenti di testo mancanti. Nel caso poi di una documentazione scritta abbondante, come quella in greco antico, ancora meglio: l’enorme quantità dei dati (più di tre milioni di parole di iscrizioni risalenti dal 600 a.C al 400 d.C.) ha incoraggiato i ricercatori dell’Università di Oxford a sviluppare Pythia (la sacerdotessa indovina dell’oracolo di Apollo a Delfi), un software che ha sbaragliato i pur bravi studenti di Oxford, riuscendo a completare quasi tremila iscrizioni con un tasso di errore pari al 30% (contro il 57,3% degli studenti) in pochi secondi. Da qui poi una revisione delle datazioni di molte epigrafi. Che dire? Speriamo che questa procedura venga presto applicata al CIL, il Corpus Inscriptionum Latinarum.