Archivi tag: Islamici

L’islamia: preda e predatrice

Mentre nel Nord Africa due Generali hanno aperto la caccia degli islamisti, nel medio oriente iracheno è la crudeltà jadeista ad offrire l’occasione di un’ufficiosa collaborazione tra Usa e Iran per fronteggiare l’avanzata dell’Isis (Stato islamico di Iraq e Siria) o Isil (Stato Islamico in Iraq e nel Levante) che dir voglia.

L’esercito iracheno è impegnato, se non si arrende, in ritirate “strategiche” davanti alle milizie dell’Isil e a quelle tribali sunnite. Per ora a fronteggiare l’avanzata rimangono i peshmerga curdi che avevano che già 6 mesi fa avvertirono Baghdad e gli 007 occidentali sul pericolo islamista-sunnita.

L’arretramento dell’esercito iracheno ha anche aperto un varco verso l’indipendenza, come ha affermato il Presidente del Kurdistan iracheno Massoud Barzani, del Governo regionale del Kurdistan dall’Iraq.

Il vero problema per un Iraq unito di sciiti, sunniti e kurdi è l’attuale presidente iracheno sciita Nuri al-Maliki, con la sua intransigenza nel condividere la gestione del governo con le altre popolazioni e non fomentare l’odio.

Il Ramadan porta l’annunciano jihadista della nascita del Califfato in Iraq e Siria e Abu Bakr al-Baghdadi è il suo califfo per ripercorrere il sogno dell’unificazione dei “credenti” sotto un’unica autorità. Non più tanti stati islamici, ma un’unica nazione da levante ad occidente.

Le forze governative irachene, per riconquistare il territorio dichiarato Califfato, non basteranno i consulenti militari statunitensi e iraniani, ma forse i 5 caccia russi Sukhoi potranno dare uno stimolo alla controffensiva del frantumato governo di Nuri Al-Maliki contro le milizie di Abu Bakr al-Baghdadi.

In Egitto si discute del trionfo “gonfiato” di Al Sisi e della sua intransigenza verso ogni opposizione, e non solo quella dei Fratelli musulmani bollati come terroristi, mentre in Libia l’ex generale Khalifa Haftar ha aperto una sua personale caccia alle milizie islamiche per una pacificazione laicizzata, anche attraverso un golpe, del paese che rischia così la sua frammentazione in Tripolitania, Cirenaica e Fezzan.

In Libia nel silenzio si sono svolte le elezioni politiche caratterizzate dalla violenza (è stata uccisa l’avvocato per i diritti umani Bugaighis), e la grande astensione.

Entro il 2013 si doveva tenere a Roma la Conferenza internazionale sull’assistenza alla Libia, con la partecipazione dei principali Paesi coinvolti. Nel frattempo Enrico Letta è decaduto da premier e Matteo Renzi ha una moltitudine di impegni in ambito italiano ed europeo, perdendo l’occasione per esercitare un ruolo nel Mediterraneo.

Affermare che il Mediterraneo è inquieto, e non solo per tutta quell’umanità che rischia in fatiscenti imbarcazioni l’attraversata per trovare un luogo dove vivere in pace, può apparire minimizzare la situazione senza contare il conflitto siriano che Bashar al Assad vuole risolvere anche con raid aerei in territorio iracheno contro i miliziani dell’Isil. Miliziani che il regime di Bagdad ha inizialmente stimolato nella loro organizzazione come elemento disturbatore tra le file dell’opposizione siriana.

Nel groviglio iracheno è troviamo delle tacite alleanze di governi che in altri scenari si confrontano tramite i loro “protetti”.

Brutal infighting persists among Syria insurgents

 

 

 

 

 

********************

L’Isis istituisce il Califfato “Siamo la guida dell’Islam”
I jihadisti: sotto il nostro controllo i territori dal nord della Siria alla zona orientale dello stato iracheno. A Baghdad arrivano i caccia russi

29/06/2014

L’esperto Usa: “L’Iraq non verrà diviso E l’Isis è al limite delle proprie capacità” La creazione di un «califfato islamico» che va dall’ovest dell’Iraq all’est della Siria e che comprende importanti città del Medio Oriente è stata annunciata oggi da miliziani qaedisti, contro i quali a giorni l’aviazione irachena userà per la prima volta aerei militari russi arrivati oggi a Baghdad.

mercoledì, giugno 25th, 2014
Iraq: gruppi qaedisti Al Nusra e Isil si riuniscono al confine con la Siria

Si sta delineando uno scenario preoccupante in Iraq dove secondo quanto ha riferito l’Osservatorio nazionale per i diritti umani in Siria (Ondus), l’ala siriana di al Qaida e miliziani qaedisti dello Stato islamico dell’Iraq e del Levante (Isil) hanno deciso di unirsi con un accordo raggiunto ad Abukamal, cittadina situata nei pressi del valico frontaliero iracheno di al Qaim.

 

02 OlO Islamia Egitto Libia Iraq e milizie islamiche iraq-siria-califfato-tempi-copertina
L’Iraq, la Siria e poi? Così l’esercito del terrore vuole marciare su Baghdad e portare la guerra santa in Occidente
giugno 22, 2014 Leone Grotti
Il califfato islamico sognato fin dal 2006 dall’allora nascente Stato islamico dell’Iraq (Isi), oggi è realtà sotto la guida di Abu Bakr Al Baghdadi, che lo guida dal 2010 e a quel primo progetto ha aggiunto la Siria, trasformando il gruppo in Stato islamico dell’Iraq e del Levante (Isil).

 

********************

Iraq: peshmerga, 6 mesi fa avvertimmo Baghdad e 007 Occidente su pericolo Isil

Le forze curde peshmerga hanno preso il controllo di tutte le aree curde irachene dopo la ritirata dell’esercito iracheno a Mosul la settimana scorsa e tra queste anche la provincia contesa di Kirkuk.

Egitto, il trionfo “gonfiato” di Al Sisi
L’affluenza alle urne al 48 per cento
L’ex generale protagonista della cacciata dei Fratelli musulmani lo scorso luglio, ha conquistato la presidenza con il 95% dei voti. Ma oltre la metà non va ai seggi
Francesca Paci
INVIATA AL CAIRO
28/05/2014
Il Cairo, balli e caroselli per la vittoria di Al Sisi

Scontri a fuoco a sud di Tripoli
Libia ancora nel caos, attacco al Parlamento

Prosegue la battaglia tra l’esercito paramilitare e le milizie integraliste islamiche. 79 morti e 140 feriti a Bengasi, spari anche vicino al Parlamento a Tripoli

Libia generale Khalifa Haftar sostiene di vincere la guerra contro le milizie islamiche

Mary Fitzgerald da Bengasi
theguardian.com, Martedì 24 Giugno 2014 13.15 BST
Generale Khalifa Haftar è evasivo quanti uomini ha direttamente sotto il suo comando.

Khalifa Haftar: renegade general causing upheaval in Libya
Commander has managed to rally influential bodies in offensive against post-Gaddafi government but is dogged by old CIA link

Libia: nuovi scontri a Bengasi, 4 morti e famiglie in fuga
Bengasi (Libia), 15 giugno 2014

Khalifa Haftar, l’ex generale libico che ha dichiarato guerra ai miliziani islamici a Bengasi, ha sferrato un nuovo attacco nella critta della Cirenaica; e gli scontri hanno subito innescato la fuga di decine di famiglia dalla città portuale. Negli scontri sono già morte quattro persone e ci sono 14 feriti. Nella città c’e’ un black-out perché un missile ha colpito un impianto di distribuzione elettrica.

 

C’è ancora molta confusione in Libia: domenica pomeriggio nella capitale sono arrivati i carri armati della milizia che viene dal nord del paese.

di Redazione
19 maggio 2014
In Libia è guerra civile

CONTRO AL QAEDA
Volontari delle milizie sciite irachene.
Iraq, l’esercito e le milizie sciite combattono a Sud
Riconquiste vicino a Tikrit. L’Iran invia truppe. In attesa degli Usa.

 

********************

img1024-700_dettaglio2_Libia-Bengasi-Afp

 

Da un emisfero all’altro l’etica traballa quanto le valute

L’Argentina e la Turchia sembrano accomunate non solo dalla difficoltà delle rispettive valute, ma anche da un’instabilità politica.

Un raro esempio quello della Turchia e dell’Argentina dove la politica influenza l’andamento finanziario e non il contrario.

Le difficoltà di due paesi che cercano di emergere mettono in ansia quelli cosiddetti “industrializzati” e gli Stati uniti non aiutano ritirando gli stimoli monetari della Federal Reserve e frenando il Quantatitive easing, l’immissione di nuovi quantitativi di dollari.

Con il recente Discorso dello Stato dell’Unione Barack Obama dà grande risalto alla timida ripresa statunitense e ne approfitta per sfidare il Congresso con una serie di riforme volte a  marcare la sua presidenza, riforme  che dovrebbero aprire la società alla regolarizzazione di milioni di migranti e dare nuove opportunità alle famiglie americane aumentando il salario minimo di alcune centinaia di migliaia di impiegati federali ed eliminare la disparità salariale tra uomini e donne.

Riforme che contemplano la creazione di un fondo pensioni sostenuto dal governo e che dovrebbero essere varate scavalcando l’iter legislativo del Congresso, minacciandolo con il veto presidenziale su ogni proposta atta a inasprire le sanzioni contro l’Iran, puntando alla diplomazia per sciogliere il nodo del programma nucleare iraniano, sventolando la bandierina del raggiungimento dell’indipendenza energetica sino a ribadire il suo impegno per chiudere Guantanamo nel 2014.

Nelle priorità statunitensi ci sono anche lo sviluppo di nuovi accordi commerciali con l’Ue nonostante le periodiche minacce europee di bloccare i negoziati di libero scambio e  con l’Asia del Pacifico che aiuteranno a fronteggiare l’egemonia cinese e a creare posti di lavoro in America.

Un palliativo rispetto a un default di Detroit e il rischio che altre città statunitensi o d’interi territori come quello di Porto Rico possano seguirne l’esempio. L’ex paradiso caraibico e protettorato degli Stati Uniti è sconvolto dalla crisi economica, dal malgoverno e dalla delinquenza dilagante che ha innescato un esodo.

L’Europa, come il resto del mondo, è a caccia dei ricchi cinesi, ma in Cina non è tutto oro quello che luccica e come ogni paese che si crede industrialmente avanzato sta vivendo al di là dei propri mezzi, accumulando una montagna di debito, non solo derivante dall’acquisto dei titoli statunitensi per sostenerne l’economia, ma anche dallo sviluppo immobiliare indiscriminato, dalle migliaia di nuovi musei in costruzione, che solo con le opere degli artisti autoctoni non saranno sufficienti a riempirli. Tutto questo è una minaccia per la sua crescita.

George Soros, il miliardario investitore, afferma che “Ci sono alcune somiglianze inquietanti con le condizioni finanziarie che hanno prevalso negli Stati Uniti negli anni precedenti il crollo del 2008” ritenendo che la Cina “è a corto di vapore”.

La Cina si sta esponendo troppo con l’acquisto smodato di terre, con il Land grabbing, principalmente nei paesi africani con l’agricoltura e l’estrazione mineraria, offrendo in cambio finanziamenti e infrastrutture.

Un’espansione che potrebbe portare la Cina a una possibile crisi che vuol affrontare non solo agevolando la migrazione, ma puntando anche su una “deportazione” di massa di 250 milioni di cinesi e portare il settanta per cento della popolazione in città, rendendo appetibile lo sviluppo immobiliare e favorendo il consumismo nonostante le nuvole di smog perennemente stazionate sulle principali metropoli.

Così i paesi emergenti come quelli raccolti sotto l’acronimo dei Brics (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica) cominciano ad accusare il fiatone, magari per far posto al Mint (Messico, Indonesia, Nigeria e Turchia), dopo anni di grandi conquiste e risultati sui mercati per una galoppata del Pil, che si sta trasformando in trotto, sempre superiore al blando passo dell’Occidente per aver focalizzato il loro impegno sull’industrializzazione e sulla conquista di fonti energetiche permettendo grandi guadagni per le minoranze, senza preoccuparsi di realizzare i cambiamenti sociali necessari a rendere stabili le singole economie.

L’Argentina aveva impostato la sua rinascita su una forma di autarchia che teoricamente avrebbe dovuto dare dei benefici a tutti se i profitti fossero stati reinvestiti nell’economia argentina e non in fughe valutarie, mostrando una scelta fragile e obbligando la presidentessa Kirchner, certamente non aiutata dai recenti risultati elettorali delle politiche parziali, a svalutare il peso e allentare le restrizioni in vigore da oltre due anni sugli acquisti di valuta estera, passando da un fittizio cambio alla pari con il dollaro negli anni ’90 agli attuali 8 pesos per un biglietto verde. Uno choc per la maggioranza degli argentini che già prima doveva essere attenta al bilancio famigliare per  scelte economiche influenzate dal panico e da calcoli elettorali.

Una svalutazione quella argentina che doveva essere effettuata prima che fosse risultata impopolare in occasione delle elezioni. Prima e con oculatezza, senza ricorrere a espedienti demagogici come quelli di un sostegno ai giovani dai 18 ai 24 anni senza lavoro o con un lavoro “ufficioso” o quello di sperperare il denaro pubblico per facilitare il pagamento delle bollette elettriche e del gas in modo indiscriminato.

Ricchi che godono delle stesse agevolazioni dei poveri, mentre quelli del ceto medio guardano in alto e fanno gli scongiuri per non cadere nel baratro degli indigenti e all’orizzonte appare lo spettro del default a Buenos Aires.

La Turchia delle grandi opere e dei bassi salari si è andata a scontrare con il dinamismo della Magistratura e della Polizia nell’indagare su una serie di azioni corruttive che vedono coinvolti i familiari di alcuni esponenti di primo piano del governo Erdogan.

Erdogan, al pari della Kirchner e di altri capi di stato, non ha niente di meglio che gridare al complotto, ma la verità è che i governanti si fanno imbambolare da palliativi d’immediato effetto, mancando di lungimiranza per realizzare una solida struttura sociale che sollevi dalle difficoltà la maggioranza della popolazione e non punti sullo sfrenato consumo delle minoranze facoltose per propagandare un benessere diffuso.

Due paesi quelli dell’Argentina e della Turchia che non hanno un gran peso nello scacchiere economico internazionale, ma sono capaci, come ogni granellino di sabbia, di creare dei problemi nell’ingranaggio.

Gli argentini come i turchi e tutta l’umanità dei paesi emergenti, emersi o sottomessi, non possono confidare nei capricci delle ricche minoranze o sperare di vincere la lotteria per uscire dal quotidiano conteggio delle entrate e delle uscite del bilancio familiare.

Quella della lotteria è una soluzione presa in considerazione dal Portogallo per combattere la frode fiscale, favorendo l’utilizzo degli scontrini, validi solo con il codice fiscale dell’acquirente, come ricevute delle giocate. Il Portogallo è stato preceduto dalla Cina, dal Brasile, nello stato di San Paolo, dall’Argentina e da Taiwan.

Non si disquisisce sull’incremento del Pil agganciato alla crescita per sognare migliori condizioni di vita della maggioranza dei cittadini, ma si deve puntare sulla ridistribuzione della ricchezza con scelte stabili che non prevedano repentine svalutazioni per dare spazio alle esportazioni che arricchiscono le classi privilegiate ma per far lavorare i molti, rivalutando la moneta e acquistando a prezzi vantaggiosi le materie prime necessarie alla produzione.

Non può essere così semplice ridurre tutto a un teorema focalizzato su salari bassi e maggior produttività, perché il fine ultimo della merce è essere comprata, non solo messa in vendita e il 10% dei ricchi non potranno comprare tutto quello che si produce.

Sembra che la felicità di alcuni dipenda dall’infelicità di molti in un susseguirsi di sali e scendi tellurici, ma chi attualmente ha in un mondo globalizzato la forza di giocare ai rialzi e ai successivi ribassi delle quotazioni valutarie e finanziarie senza far infuriare le altre nazioni?

Forse sarebbe opportuno ripensare non solo a un riordino bancario finanziario, ma soprattutto come e cosa offrire ad ogni costo sullo sterminato scaffale del consumo e poi come smaltirlo quando si scopre obsoleto.

La situazione non è circoscritta solo all’Argentina e alla Turchia, ma anche alla Spagna che nei riguardi del paese latinoamericano si trova esposta con le sue banche, alla Russia che accusa l’indebolimento del rublo e alla Samsung, in Corea del Sud, che si trova in difficoltà rispetto alla concorrenza multi produttiva dell’Apple, Lenovo e Huawei; solo per citare i casi più evidenti. Ma anche la Grecia e il Portogallo che avevano tirato un respiro di sollievo rivivono gli equilibrismi dei loro titoli di Stato, come anche l’Italia che ha visto lo spread superare quota 200 per poi stabilizzarsi al di sotto.

Probabilmente sono solo “rimbalzi tecnici”, come amano stigmatizzare i broker davanti alle periodiche cadute in borsa, o sono i segni premonitori di ulteriori cambiamenti nello scacchiere internazionale, che mescolano interessi “privati” a quelli delle speculazioni e dei contratti commerciali ad ogni costo, a quelli pubblici, alla guerra al terrorismo ed ai cambiamenti climatici, mescolando fino all’eccesso, trasformando le insalate in passati di verdura dove ogni ingrediente è indistinguibile dall’altro.

L’etica esce nuovamente sconfitta dalle tante morali dove il fare affari non guarda in faccia all’interlocutore con il quale stipularli e i freddi rapporti di numeri e statistiche non tengono conto dei disagi sociali. Una situazione paragonabile a quella pre-Primavere arabe, dove diplomatici e politici non si erano accorti di quanto stava bollendo nel pentolone dello scontento per poi correre ai ripari in ordine sparso, facilitando involuzioni e caos separatisti.

La finanza islamica, presente da decenni nella City londinese, propone i Sukuk, nel nome riecheggia la musicalità del mercato arabo conosciuto come Suk, un titolo ligio ai principi islamici, eticamente apprezzabile nell’escludere investimenti di natura speculativa come i derivati, ma accettando le attività immobiliari. Bandendo i commodity futures o gli investimenti nei settori come la pornografia, il tabacco, la carne di maiale, le bevande alcoliche e gli armamenti, i Sukuk sono dei bond “halal” a tutti gli effetti.

La storia dei Sukuk, strumenti finanziari dalle radici antiche, può essere ripercorsa nel libro Bond islamici alla conquista dei mercati (2012) di Federica Miglietta.

Ma l’etica potrebbe dimostrarsi il tallone di Achille delle banche islamiche con la loro scelta di ridurre al minimo le riserve liquide, apparendo come dei soggetti a maggior rischio rispetto alle altre banche, dimostrando che le buone intenzioni non pagano.

Il Mondo si sta aprendo a un multipolarismo, come viene prospettato nel dossier dell’Ispi (Istituto per gli Studi di Politica Internazionale), che ridimensionerà il ruolo statunitense e di tutto l’Occidente con sviluppi difficilmente prevedibili dove uno dei fattori variabili è proprio il sistema finanziario.

 

02 OlO Da un emisfero all'altro traballa la valuta Argentina la moneta ai minimi storici l'ombra della crisi02 OlO Da un emisfero all'altro traballa la valuta Argentina la moneta ai minimi storici l'ombra della crisi Mint