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Quando un sottomarino fa acqua

Il 15 novembre 2017 il sottomarino ARA San Juan della Marina argentina perde i contatti con la base navale di Ushuaia, in Mar del Plata. Da quel momento inizia una frenetica ricerca del battello, ostacolata dalle proibitive condizioni meteo nel sud Atlantico. È una serie di false tracce, dichiarazioni contraddittorie e speranze mal riposte, finché la dura realtà emerge il 28 novembre, quando la Marina argentina rivela la causa della scomparsa del sommergibile. L’ultimo messaggio inviato dal San Juan il 15 novembre avvertiva: “Acqua è entrata dallo snorkel (la presa d’aria, ndr.) nella sala delle batterie elettriche e questo ha causato un cortocircuito e un principio di incendio. Procediamo in immersione con metà potenza. Vi terremo aggiornati”. Ma è l’Organizzazione del Trattato di proibizione totale dei test nucleari (Ctbto), integrata nel sistema dell’Onu, a riferire che due sue stazioni idroacustiche hanno rilevato “un evento impulsivo subacqueo avvenuto alle 13.51 GMT del 15 novembre” a una latitudine di -46,12 gradi e longitudine di -59,69 gradi. L’ultima localizzazione del sommergibile è la zona del Golfo San Jorge, a 268,5 miglia dalla costa argentina, 30 miglia dall’ultima posizione nota (1). Di sicuro dopo quel messaggio del 15 novembre non saprà più nulla del battello e dei 44 militari dell’equipaggio, tra cui la prima donna nella storia della Marina Argentina, Eliana Maria Krawczyk.
Questa la cronaca. Cerchiamo ora di capire cosa può essere successo, valendoci di fonti specializzate. Intanto il battello: classe TR-1700, varato in Germania nel 1983 ed entrato in servizio nel 1985 per la Marina argentina (ARA) con la sigla S-42, il San Juan era un classico battello a propulsione mista diesel /elettrica, 66 metri di lunghezza, 2116 tonnellate di dislocamento, 2264 in immersione (2). I motori diesel vengono usati normalmente in emersione, mentre quelli elettrici, non consumando aria, assicurano il movimento in immersione. Gli accumulatori vengono ricaricati dai motori diesel in modo analogo alle attuali macchine a motore ibrido.
Quel giorno il San Juan navigava sicuramente in immersione, le condizioni del mare in superficie essendo proibitive: vento oltre i 45 nodi e onde anche di 9 mt. E siccome il moto ondoso decresce con la profondità, non c’era motivo per navigare in superficie e venir sballottati come un tappo. E infatti il contatto radio è possibile solo se l’unità naviga in superficie o comunque con l’antenna oltre il pelo dell’acqua. Ma torniamo all’ultimo messaggio: “l’acqua è entrata dallo snorkel nella sala delle batterie elettriche e questo ha causato un cortocircuito e un principio di incendio. Procediamo in immersione con metà potenza”. Lo snorkel (dal ted. Schnorkel, trachea) è un lungo tubo di presa d’aria esterna collegato a una pompa, che serve sia al ricambio dell’aria che all’alimentazione dei motori diesel, che dell’aria non possono fare a meno. Navigando almeno a quota periscopica lo snorkel viene attivato, altrimenti la valvola di testa è chiusa ermeticamente. A sentire i tecnici, l’acqua può anche entrare nello snorkel, ma mai con effetti devastanti. Lo snorkel ha infatti almeno tre valvole: una in testa della canna (head valve) per prevenire l’ingresso delle ondate – è una sorta di boccaglio – e due in prossimità dello scafo resistente per resistere alla massima quota. Dopo la canna in genere c’è un sistema di raccolta per evitare che l’acqua entrata possa iniziare a scorrere lungo le condotte, sistema che dovrebbe avere delle sicurezze che fanno chiudere le valvole resistenti. La valvola di testa ha due contatti elettrici che in acqua vanno in corto e chiudono automaticamente la valvola. Se il battello scende sotto la quota di snorkel il valvolone si chiude e a bordo se ne accorgono subito: il diesel è in funzione pomperà l’aria dall’interno del battello, creando un’improvvisa depressione. Poca acqua può anche entrare se il mare è in tempesta, ma viene raccolta in un apposito pozzetto che poi viene esaurito con pompe di drenaggio. Ma se il valvolone di testa ha un difetto meccanico o elettromeccanico, allora di acqua ne entra tanta e rapidamente. Nel caso del San Juan la reazione dell’equipaggio può essere stata tardiva: il messaggio radio parlava di acqua passata dallo snorkel ed entrata nella sottobatteria di prora, provocando un principio di incendio. Non è chiaro se l’incendio si è sviluppato nel locale o sugli interruttori di sicurezza, né è chiaro se le batterie avessero perso di potenza prima ancora di andare in corto a contatto dell’acqua salata. Perché infatti risalire a quota snorkel con quel mare se non per dover ricaricare gli accumulatori coi motori diesel? Credevano quindi di aver arginato il problema, poi qualcosa è andato storto. Il vano batterie è per ovvii motivi ben isolato, quindi suggerisco l’ipotesi di una progressiva perdita di potenza o un’avaria grave alle batterie precedente alla manovra di risalita e all’ingresso dell’acqua dallo snorkel, che ha mandato tutto in corto producendo gas tossici (cloro, idrogeno). Questo può aver paralizzato la reazione dell’equipaggio: anche un’avaria al quadro di propulsione (che smista l’energia elettrica delle batterie e dei generatori) doveva comunque permettere l’emersione di emergenza (nel San Juan ad aria, a idrazina nei battelli più moderni. Si tratta di una sostanza che a contatto con l’acqua sviluppa gas e gonfia i cassoni). Non solo: ogni battello è dotato di più di un dispositivo di sicurezza capace di comunicare in caso di avarie posizione o comunque lanciare un SOS. Non c’era la boa EPIRB, che si stacca automaticamente e lancia un segnale satellitare di soccorso, ma doveva esserci almeno il trasmettitore subacqueo di emergenza, che si attiva manualmente o automaticamente e funziona a batteria anche per 10 giorni. Ma il vero problema è che il battello, ormai senza energia elettrica e/o appesantito dall’acqua entrata, quindi con le pompe di esaurimento e gli impianti per l’emersione di emergenza pressoché bloccati e un’aria interna degradata da gas, fumo e fiamme, a quel punto è andato a fondo con tutto l’equipaggio. Non esiste mai una sola causa e i nostri sommergibilisti sono addestrati in modo maniacale agli interventi di emergenza, in modo da sviluppare automatismi comportamentali. L’emersione rapida è possibile se il battello è dotato di un impianto di esaurimento rapido delle casse zavorra con funzionamento manuale e non solo elettrico, e comunque la manovra manuale è lenta, sempre che ci sia il tempo di attuarla. Sicuramente è mancata la propulsione, un grande aiuto per tornare verso la superficie, forse per i danni dell’incendio o forse per l’allagamento delle altre sottobatterie. La rotta era al limite della piattaforma continentale, ma l’implosione è avvenuta a una profondità relativamente bassa (388 mt.), causando la morte istantanea di tutto l’equipaggio fino a quel momento sopravvissuto.
Ma passiamo dunque alle batterie e alla loro presunta combustione senza fiamma. Il San Juan aveva subito tra il 2008 e il 2014 una revisione, eseguita dai cantieri argentini Cinar di Buenos Aires, un’azienda statale. Furono sbarcati e revisionati completamente o sostituiti i quattro motori diesel, il motore elettrico di propulsione e i 960 elementi delle batterie. Ma per permettere lo sbarco degli elementi di grandi dimensioni che non potevano passare dai due portelli d’imbarco esistenti a bordo, durante i lavori fu necessario tagliare letteralmente in due lo scafo del San Juan che venne poi nuovamente saldato. Come si può facilmente immaginare, visto che i sottomarini sopportano forti sollecitazioni, non sono lavori che può fare un cantiere qualsiasi, in un paese afflitto oltretutto da una lunga e devastante crisi economica e aziendale. Un’indagine del ministero della Difesa argentino ha dimostrato poi che la Marina del paese ha commesso violazioni nelle regole per l’acquisto delle batterie: i rappresentanti della Marina non avevano seguito le norme regolamentari per la riparazione del sottomarino e la sostituzione delle batterie, e l’acquisto delle batterie era stato gestito nell’interesse di alcuni fornitori. I risultati di questa indagine coincidono con i dati della Gestione generale del controllore dell’Argentina, che conferma la presenza di irregolarità. Anche i tecnici di controllo hanno scoperto che, a causa del ritardo del processo di acquisto, sono state acquistate batterie scadute. Secondo informazioni dei portali tedeschi BR Recherche e ARD-Studio Südamerika, due aziende tedesche si sarebbero accaparrate la sostituzione dei dispositivi pagando delle tangenti e installando prodotti di qualità scadente per risparmiare. In occasione di una revisione completa del “San Juan” conclusasi nel 2011, la Ferrostaal e la EnerSys-Hawker avevano ottenuto un contratto per la consegna di 964 celle per un importo di 5,1 milioni di euro. Secondo quanto indicato da alcuni politici argentini, è praticamente certo che le due aziende tedesche abbiano pagato delle tangenti per ottenere quella commessa. Un’accusa depositata nel 2010 in tal senso era finita in un insabbiamento. Riguardo alla qualità della merce consegnata, ecco il commento ufficiale: «Sussiste il sospetto che le batterie non fossero, in parte o per niente, della qualità che avrebbero dovuto essere … non sappiamo nemmeno da dove venissero, se dalla Germania o da un altro Paese». Purtroppo il prezzo l’hanno pagato i marinai.

NOTE

 

 

Arabia Saudita: Le donne si ribellano al controllo maschile

olo-le-donne-si-ribellano-al-controllo-maschile-35938970_303Nel 1963 Lesley Gore cantava, con voce suadente e ferma, You Don’t Own Me (Tu non mi possiedi) e nel testo si ribadisce: «E non dirmi che cosa fare / E non dirmi cosa dire / Per favore, quando esco con te / Non mi mettere in mostra».

Un remissiva Mina, nel 1966, invece pubblica il 45 giri Sono come tu mi vuoi, per la tranquillità di un “sano” rapporto di abituale dipendenza.

Mezzo secolo è passato, ma non è cambiato molto nel vedere la donna come trofeo e proprietà esclusiva, ed è su questo concetto che le donne saudite hanno proposto una petizione contro la tirannica custodia maschile delle loro vite.

Un primo risultato si è avuto con il tweet del principe saudita Alwaleed Bin Talal, noto miliardario e filantropo da sempre schierato in favore delle donne, con il quale chiede di rimuovere il divieto alle donne di guidare, ma non tanto per una questione di eguaglianza, o almeno non solo per questo, ma soprattutto perché toglie forza all’economia del Regno.

Si deve calcolare l’inutile spreco di tempo e denaro che comporta olo-le-donne-si-ribellano-al-controllo-maschileall’oltre 1milione e mezzo di donne saudite nel dover raggiungere il proprio posto di lavoro con i trasporti pubblici, taxi o autisti stranieri, senza contare le volte che i parenti maschi si vedono costretti a dover prendere un permesso dal lavoro per accompagnare mogli, figlie e sorelle, per un ricovero in ospedale o una visita specialistica.

La dura risposta di Riad ai sempre più numerosi atti di sfida alla “tutela” maschile è l’arresto di una ragazza che si è fatta fotografare con abiti occidentali e pubblica l’immagine sul web.

Dall’altra sponda del Mar Rosso, al Cairo, le donne manifestano per tornare a indossare liberamente gli abiti occidentali come negli anni’60 ( né per questo le donne venivano molestate ) prima che il velo aspettasse il titolo di difensore della moralità.

È dagli anni ’70 che già la propaganda islamista consigliava l’uso del velo alle donne per proteggerle dagli sguardi indiscreti, ma il risultato stranamente è nell’aumento dei casi di violenza.

Quello del controllo è una mania che l’Oriente e l’Occidente maschilista condividono, nell’imporre o vietare il velo, senza chiedersi cosa le donne vogliano.

Un’ossessione che ha un esempio traumatico con la “cerimonia dello svelare” che il potere coloniale francese impose ad alcune donne musulmane, obbligandole a sottomettersi nel bruciare il proprio velo in una piazza d’Algeri il 13 maggio del 1958, in una sorta di “missione civilizzatrice”.

Missione che ieri era rivolta all’emancipazione delle indigene, oggi è per volerle liberare dal giogo dell’islamismo maschilista, ma cosa vogliono davvero le donne ?

La spiaggia diventa il campo di battaglia per chi vuol vietare il bikini, ma anche per gli altri che chiedono di togliere il divieto di prendere il sole in topless.

Le donne possono essere coperte o nude, ma ciò che le accumuna in Africa come nel subcontinente indiano, nelle Americhe come in Europa, è il poco rispetto che ricevono per quel che è loro dovuto, come per l’eguaglianza di genere in ogni ambito.

A woman holds a banner reading "Equal pay women/men now" as people take part in a march as part of the annual May Day workers' events on May 1, 2011 in Paris. Hundreds of thousands of people around the world attended May Day rallies today to defend workers' rights many say are under fresh attack, and to press for social justice and democratic reform. From Hong Kong to Indonesia, Moscow to Paris, protesters marched and rallied in largely peaceful demonstrations for international Labour Day. AFP PHOTO / MIGUEL MEDINA (Photo credit should read MIGUEL MEDINA/AFP/Getty Images)

A Parigi le donne sono scese in piazza per rivendicare l’uguaglianza di salario, in Argentina manifestano contro i femminicidi non solo perpetrati nel Sudamerica, con lo slogan Ni Una Menos, olo-le-donne-si-ribellano-al-controllo-maschile-argentinaQahera l’eroina del fumetto egiziano, combatte le discriminazioni con il velo, mentre le scacchiste vogliono boicottare i mondiali di scacchi in Iran per l’obbligo che viene fatto loro indistintamente di coprirsi con l’hijab (il velo), in programma per il febbraio del 2017 a Teheran.

 

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Qualcosa di più:

Donne e Primavera araba. Libertà è anche una patente

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Da un emisfero all’altro l’etica traballa quanto le valute

L’Argentina e la Turchia sembrano accomunate non solo dalla difficoltà delle rispettive valute, ma anche da un’instabilità politica.

Un raro esempio quello della Turchia e dell’Argentina dove la politica influenza l’andamento finanziario e non il contrario.

Le difficoltà di due paesi che cercano di emergere mettono in ansia quelli cosiddetti “industrializzati” e gli Stati uniti non aiutano ritirando gli stimoli monetari della Federal Reserve e frenando il Quantatitive easing, l’immissione di nuovi quantitativi di dollari.

Con il recente Discorso dello Stato dell’Unione Barack Obama dà grande risalto alla timida ripresa statunitense e ne approfitta per sfidare il Congresso con una serie di riforme volte a  marcare la sua presidenza, riforme  che dovrebbero aprire la società alla regolarizzazione di milioni di migranti e dare nuove opportunità alle famiglie americane aumentando il salario minimo di alcune centinaia di migliaia di impiegati federali ed eliminare la disparità salariale tra uomini e donne.

Riforme che contemplano la creazione di un fondo pensioni sostenuto dal governo e che dovrebbero essere varate scavalcando l’iter legislativo del Congresso, minacciandolo con il veto presidenziale su ogni proposta atta a inasprire le sanzioni contro l’Iran, puntando alla diplomazia per sciogliere il nodo del programma nucleare iraniano, sventolando la bandierina del raggiungimento dell’indipendenza energetica sino a ribadire il suo impegno per chiudere Guantanamo nel 2014.

Nelle priorità statunitensi ci sono anche lo sviluppo di nuovi accordi commerciali con l’Ue nonostante le periodiche minacce europee di bloccare i negoziati di libero scambio e  con l’Asia del Pacifico che aiuteranno a fronteggiare l’egemonia cinese e a creare posti di lavoro in America.

Un palliativo rispetto a un default di Detroit e il rischio che altre città statunitensi o d’interi territori come quello di Porto Rico possano seguirne l’esempio. L’ex paradiso caraibico e protettorato degli Stati Uniti è sconvolto dalla crisi economica, dal malgoverno e dalla delinquenza dilagante che ha innescato un esodo.

L’Europa, come il resto del mondo, è a caccia dei ricchi cinesi, ma in Cina non è tutto oro quello che luccica e come ogni paese che si crede industrialmente avanzato sta vivendo al di là dei propri mezzi, accumulando una montagna di debito, non solo derivante dall’acquisto dei titoli statunitensi per sostenerne l’economia, ma anche dallo sviluppo immobiliare indiscriminato, dalle migliaia di nuovi musei in costruzione, che solo con le opere degli artisti autoctoni non saranno sufficienti a riempirli. Tutto questo è una minaccia per la sua crescita.

George Soros, il miliardario investitore, afferma che “Ci sono alcune somiglianze inquietanti con le condizioni finanziarie che hanno prevalso negli Stati Uniti negli anni precedenti il crollo del 2008” ritenendo che la Cina “è a corto di vapore”.

La Cina si sta esponendo troppo con l’acquisto smodato di terre, con il Land grabbing, principalmente nei paesi africani con l’agricoltura e l’estrazione mineraria, offrendo in cambio finanziamenti e infrastrutture.

Un’espansione che potrebbe portare la Cina a una possibile crisi che vuol affrontare non solo agevolando la migrazione, ma puntando anche su una “deportazione” di massa di 250 milioni di cinesi e portare il settanta per cento della popolazione in città, rendendo appetibile lo sviluppo immobiliare e favorendo il consumismo nonostante le nuvole di smog perennemente stazionate sulle principali metropoli.

Così i paesi emergenti come quelli raccolti sotto l’acronimo dei Brics (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica) cominciano ad accusare il fiatone, magari per far posto al Mint (Messico, Indonesia, Nigeria e Turchia), dopo anni di grandi conquiste e risultati sui mercati per una galoppata del Pil, che si sta trasformando in trotto, sempre superiore al blando passo dell’Occidente per aver focalizzato il loro impegno sull’industrializzazione e sulla conquista di fonti energetiche permettendo grandi guadagni per le minoranze, senza preoccuparsi di realizzare i cambiamenti sociali necessari a rendere stabili le singole economie.

L’Argentina aveva impostato la sua rinascita su una forma di autarchia che teoricamente avrebbe dovuto dare dei benefici a tutti se i profitti fossero stati reinvestiti nell’economia argentina e non in fughe valutarie, mostrando una scelta fragile e obbligando la presidentessa Kirchner, certamente non aiutata dai recenti risultati elettorali delle politiche parziali, a svalutare il peso e allentare le restrizioni in vigore da oltre due anni sugli acquisti di valuta estera, passando da un fittizio cambio alla pari con il dollaro negli anni ’90 agli attuali 8 pesos per un biglietto verde. Uno choc per la maggioranza degli argentini che già prima doveva essere attenta al bilancio famigliare per  scelte economiche influenzate dal panico e da calcoli elettorali.

Una svalutazione quella argentina che doveva essere effettuata prima che fosse risultata impopolare in occasione delle elezioni. Prima e con oculatezza, senza ricorrere a espedienti demagogici come quelli di un sostegno ai giovani dai 18 ai 24 anni senza lavoro o con un lavoro “ufficioso” o quello di sperperare il denaro pubblico per facilitare il pagamento delle bollette elettriche e del gas in modo indiscriminato.

Ricchi che godono delle stesse agevolazioni dei poveri, mentre quelli del ceto medio guardano in alto e fanno gli scongiuri per non cadere nel baratro degli indigenti e all’orizzonte appare lo spettro del default a Buenos Aires.

La Turchia delle grandi opere e dei bassi salari si è andata a scontrare con il dinamismo della Magistratura e della Polizia nell’indagare su una serie di azioni corruttive che vedono coinvolti i familiari di alcuni esponenti di primo piano del governo Erdogan.

Erdogan, al pari della Kirchner e di altri capi di stato, non ha niente di meglio che gridare al complotto, ma la verità è che i governanti si fanno imbambolare da palliativi d’immediato effetto, mancando di lungimiranza per realizzare una solida struttura sociale che sollevi dalle difficoltà la maggioranza della popolazione e non punti sullo sfrenato consumo delle minoranze facoltose per propagandare un benessere diffuso.

Due paesi quelli dell’Argentina e della Turchia che non hanno un gran peso nello scacchiere economico internazionale, ma sono capaci, come ogni granellino di sabbia, di creare dei problemi nell’ingranaggio.

Gli argentini come i turchi e tutta l’umanità dei paesi emergenti, emersi o sottomessi, non possono confidare nei capricci delle ricche minoranze o sperare di vincere la lotteria per uscire dal quotidiano conteggio delle entrate e delle uscite del bilancio familiare.

Quella della lotteria è una soluzione presa in considerazione dal Portogallo per combattere la frode fiscale, favorendo l’utilizzo degli scontrini, validi solo con il codice fiscale dell’acquirente, come ricevute delle giocate. Il Portogallo è stato preceduto dalla Cina, dal Brasile, nello stato di San Paolo, dall’Argentina e da Taiwan.

Non si disquisisce sull’incremento del Pil agganciato alla crescita per sognare migliori condizioni di vita della maggioranza dei cittadini, ma si deve puntare sulla ridistribuzione della ricchezza con scelte stabili che non prevedano repentine svalutazioni per dare spazio alle esportazioni che arricchiscono le classi privilegiate ma per far lavorare i molti, rivalutando la moneta e acquistando a prezzi vantaggiosi le materie prime necessarie alla produzione.

Non può essere così semplice ridurre tutto a un teorema focalizzato su salari bassi e maggior produttività, perché il fine ultimo della merce è essere comprata, non solo messa in vendita e il 10% dei ricchi non potranno comprare tutto quello che si produce.

Sembra che la felicità di alcuni dipenda dall’infelicità di molti in un susseguirsi di sali e scendi tellurici, ma chi attualmente ha in un mondo globalizzato la forza di giocare ai rialzi e ai successivi ribassi delle quotazioni valutarie e finanziarie senza far infuriare le altre nazioni?

Forse sarebbe opportuno ripensare non solo a un riordino bancario finanziario, ma soprattutto come e cosa offrire ad ogni costo sullo sterminato scaffale del consumo e poi come smaltirlo quando si scopre obsoleto.

La situazione non è circoscritta solo all’Argentina e alla Turchia, ma anche alla Spagna che nei riguardi del paese latinoamericano si trova esposta con le sue banche, alla Russia che accusa l’indebolimento del rublo e alla Samsung, in Corea del Sud, che si trova in difficoltà rispetto alla concorrenza multi produttiva dell’Apple, Lenovo e Huawei; solo per citare i casi più evidenti. Ma anche la Grecia e il Portogallo che avevano tirato un respiro di sollievo rivivono gli equilibrismi dei loro titoli di Stato, come anche l’Italia che ha visto lo spread superare quota 200 per poi stabilizzarsi al di sotto.

Probabilmente sono solo “rimbalzi tecnici”, come amano stigmatizzare i broker davanti alle periodiche cadute in borsa, o sono i segni premonitori di ulteriori cambiamenti nello scacchiere internazionale, che mescolano interessi “privati” a quelli delle speculazioni e dei contratti commerciali ad ogni costo, a quelli pubblici, alla guerra al terrorismo ed ai cambiamenti climatici, mescolando fino all’eccesso, trasformando le insalate in passati di verdura dove ogni ingrediente è indistinguibile dall’altro.

L’etica esce nuovamente sconfitta dalle tante morali dove il fare affari non guarda in faccia all’interlocutore con il quale stipularli e i freddi rapporti di numeri e statistiche non tengono conto dei disagi sociali. Una situazione paragonabile a quella pre-Primavere arabe, dove diplomatici e politici non si erano accorti di quanto stava bollendo nel pentolone dello scontento per poi correre ai ripari in ordine sparso, facilitando involuzioni e caos separatisti.

La finanza islamica, presente da decenni nella City londinese, propone i Sukuk, nel nome riecheggia la musicalità del mercato arabo conosciuto come Suk, un titolo ligio ai principi islamici, eticamente apprezzabile nell’escludere investimenti di natura speculativa come i derivati, ma accettando le attività immobiliari. Bandendo i commodity futures o gli investimenti nei settori come la pornografia, il tabacco, la carne di maiale, le bevande alcoliche e gli armamenti, i Sukuk sono dei bond “halal” a tutti gli effetti.

La storia dei Sukuk, strumenti finanziari dalle radici antiche, può essere ripercorsa nel libro Bond islamici alla conquista dei mercati (2012) di Federica Miglietta.

Ma l’etica potrebbe dimostrarsi il tallone di Achille delle banche islamiche con la loro scelta di ridurre al minimo le riserve liquide, apparendo come dei soggetti a maggior rischio rispetto alle altre banche, dimostrando che le buone intenzioni non pagano.

Il Mondo si sta aprendo a un multipolarismo, come viene prospettato nel dossier dell’Ispi (Istituto per gli Studi di Politica Internazionale), che ridimensionerà il ruolo statunitense e di tutto l’Occidente con sviluppi difficilmente prevedibili dove uno dei fattori variabili è proprio il sistema finanziario.

 

02 OlO Da un emisfero all'altro traballa la valuta Argentina la moneta ai minimi storici l'ombra della crisi02 OlO Da un emisfero all'altro traballa la valuta Argentina la moneta ai minimi storici l'ombra della crisi Mint

La coerenza dell’umanità

”Fratelli e sorelle buonasera, voi sapete che il dovere del conclave era di dare un vescovo a Roma e sembra che i miei fratelli cardinali sono andati a prenderlo alla fine del mondo, ma siamo qui”: queste le prime parole di presentazione di Papa Francesco alla folla dei fedeli che dopo l”Habemus Papam lo acclamava in piazza San Pietro.

Il nuovo Papa Francesco viene dall’altra parte del mondo: dal continente Latinoamericano, esattamente da Buenos Aires, dove è nato e ha vissuto gran parte della sua vita. Gesuita argentino anche se di origini italiane, Padre Jose Mario Bergoglio ha scelto di chiamarsi Francesco evocando la figura San Francesco di Assisi nella quale riconosce attitudini intimamente vicine alla sua sensibilità.

Così si esprime ai giornalisti spiegando la scelta del nome:” .. E’ per me l’uomo della povertà, l’uomo della pace, l’uomo che ama e custodisce il creato; ….. E’ l’uomo che ci dà questo spirito di pace, l’uomo povero … Ah, come vorrei una Chiesa povera e per i poveri! .. Vi voglio tanto bene, vi ringrazio per tutto quello che avete fatto…..”

Mentre l’Europa osserva con curioso stupore il suo disattendere il protocollo, l’America Latina lo accoglie con gioia e speranza: riconosce in Padre Jose Mario Bergoglio, nell’autenticità e spontaneità del suo agire, lo stile di un uomo di chiesa, ed ora è già stato nominato il “Papa Humilde” (Papa umile).

Padre Jose Mario Bergoglio è conosciuto in patria per la sua semplicità e naturalezza: lo hanno incontrato girare per la sua diocesi anche in metropolitana e con gli autobus. Ha rinunciato ai privilegi della curia scegliendo di abitare in un appartamento e di prepararsi la cena da solo commentando: «La mia gente è povera e io sono uno di loro».

Jose Mario Bergoglio, continua a vivere e a sentire nella stessa maniera soprattutto ora, nella grande avventura spirituale del Papato.

Nel Giovedì Santo per la cerimonia della lavanda dei piedi ha scelto il carcere minorile di Casal del Marmo; del resto, Padre Jose Mario Bergoglio arcivescovo di Buenos Aires, era solito celebrarla in un carcere, in un ospedale o in una casa di accoglienza per poveri o emarginati.

“Come prete e come vescovo devo essere al vostro servizio” ha detto “Ma è un dovere che mi viene dal cuore: lo amo. Amo questo e amo farlo perché il Signore così mi ha insegnato. Ma anche voi, aiutateci: aiutateci sempre. L’un l’altro. E così, aiutandoci, ci faremo del bene…..”

Davanti ai Capi di Stato e di Governo, alle Delegazioni ufficiali (132 le delegazioni straniere presenti sul sagrato della Basilica vaticana) di tanti Paesi del mondo e al Corpo Diplomatico, durante la cerimonia d’insediamento, Padre Jorge Mario Bergoglio ha ribadito la loro responsabilità degli uomini al potere nei confronti del prossimo: “..il vero potere è il servizio..” e soprattutto quello rivolto ai poveri.

Tra i presidenti, in prima fila Cristina Fernández Kirchner alla quale ha concesso la prima udienza privata, nonostante le relazioni difficili durante il suo ministero a Buenos Aires, con la delegazione argentina, Dilma Rouseff (Brasile), Sebastián Piñera (Cile), Rafael Correa (Ecuador), Enrique Peña Nieto (Méssico).

“Lottare contro la povertà sia materiale, sia spirituale; edificare la pace e costruire ponti”. Questo l’impulso che Papa Francesco vuole dare alla Chiesa.

Ma per costruire i ponti ovviamente si deve incontrare l’altro qualunque sia la sua confessione religiosa o il suo stato, uscire dalla propria “autoreferenzialità”, dal “narcisismo teologico”, per andare verso le periferie “esistenziali” oltre che quelle geografiche.

“Siamo molto contenti della scelta di Papa Francesco. Per la prima volta è stato eletto un pontefice Latinoamericano e questo porterà la Chiesa ad uscire fuori dal suo Eurocentrismo. La sua elezione rappresenta anche una sfida. Ci sono molte cose da fare per il mondo e non solo per l’Argentina…” ha affermato dopo il colloquio personale avuto con Papa Francesco, Adolfo Maria Pérez Esquivel argentino  premio Nobel per la Pace (1980).

“Relativamente al tema dei diritti umani Papa Francesco ha sostenuto che è importante arrivare alla verità e alla giustizia sui reati commessi in Argentina, ma che non c’è da considerare solo l’omicidio perpetuato nella dittatura; i diritti umani devono essere intesi in una maniera integrale e quindi includere la lotta contro  “la povertà , la tutela dell’ambiente e della vita delle persone…. Quello che più preoccupa il Papa è “la povertà, la fame, l’emarginazione nel mondo.

E’ proprio in questi valori del messaggio papale che i Paesi del continente Sudamericano si sono riconosciuti. La ricerca di una vera democrazia che combatta le disuguaglianze, la possibilità di unificazione Sud Americana nel comune intento di combattere la povertà o il consolidamento e l’estensione della rivoluzione bolivariana hanno ricevuto nuovo entusiasmo per l’avvento di una Chiesa rinnovata, grazie alla nuova “onda spirituale” di Papa Francesco.

La Giornata Mondiale della Gioventù è alle porte: a luglio Papa Francesco è atteso in Brasile, l’emozione coinvolge tutto il Sud America e già i paesi confinanti, Venezuela e Colombia, sono pronti ad accoglierlo nel suo primo viaggio come pontefice nel suo continente “alla fine del Mondo”.

NICARAGUA PAPA

 

Scatole di ricordi

Scatole di ricordi che riportano alla luce le storie taciute di coloro che dovettero migrare e non ebbero la forza di raccontare e di coloro che non ebbero la fortuna di sopravvivere per poter raccontare. Il ricordo vivo o rimosso del nostro passato si presentifica nel nostro vissuto, nella vita familiare e sociale, o nella dimensione territoriale. Come un carico sulle spalle portiamo la nostra storia, i nostri legami, le nostre consegne. Migrando, l’individuo porta con se, dentro la sua memoria emotiva, la speranza di una vita migliore ma anche le frustrazioni e i traumi vissuti nel passato. Tutto ciò è ancora più accentuato quando si parla di diaspora, di esilio – pena massima per i Greci, equivalente per la civiltà contemporanea, alla condanna a morte. Nella diaspora la pena del migrare rivive e la morte è come addormentata, anestetizzata per la nostalgia interminabile della terra d’origine.

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Idee Migranti

LA DIASPORA: LE SCATOLE DEI RICORDI

di Salomón Adrian Levy Memún

Dal 29 gennaio al 4 marzo 2013

Roma

Museo Nazionale Preistorico Etnografico

“Luigi Pigorini”

Installazione – Soppalco Oceania