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Il Mondo chiuso della Traviata

La 50ma stagione dell’Opera Festival di Macerata, allo Sferisterio, si è inaugurata con La Traviata, alla quale seguirà Aida e Tosca. Tre personaggi femminili, seguiti sul podio da altrettante donne, com’è avvenuto per La Traviata con Speranza Scappucci.

La prima è stata La Traviata di Verdi, con la spettacolare riproposta scenografica “degli specchi” di Josef Svoboda del 1992, che il mal tempo, nonostante il ritardo di due ore della messa in scena, non è riuscito a mortificare la proposta scenica e la performance degli interpreti.

Josef Svoboda nel 1992 era convinto che La Traviata fosse un’opera da allestire in uno spazio chiuso, ma riuscì a rimanere fedele alla sua idea con l’utilizzo degli “specchi”, componendo una parete, dall’inclinazione variabile, con tante lastre di metallo per giocare con i riflessi dell’ambientazione scenografica proposta su teli stesi sul palco e quella degli interpreti, moltiplicando la loro presenza e limitandone apparentemente lo spazio di movimento.

Un escamotage scenografico che evidenzia un’umanità che agisce in un mondo chiuso, quasi come se fosse un acquario, intenta a divertirsi nel soffrire a far soffrire.

Un infinito palcoscenico ingabbiato dagli “specchi” che lo riduce a un “acquario” dove far muovere i personaggi che vengono trattati come dei burattini, mentre le scene scivolano sotto i loro piedi, nelle lavoro verdiano che marca il passaggio dall’opera dei miti e dei trionfi al melodramma intimistica.

Un ambiente chiuso in un’arena. Geniale per poter delimitare la vita della sfortunata Violetta Valery (Jessica Nuccio) grazie al tormentato Alfredo Germont (Antonio Gandìa), rimproverato, nell’Atto Secondo (scena XV), dal padre Giorgio Germont (Simone Piazzola) nell’aver cresciuto un tale figlio: Di sprezzo degno se stesso rende / Chi pur nell’ira la donna offende. / Dov’è mio figlio? più non lo vedo.

Povera Violetta, povera donna, sola / abbandonata in questo / popoloso deserto / che appellano Parigi, che alla fine lascia questa valle di lacrime con un fil di gran voce.

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L’esaltazione della dissimulazione in un Ballo

 L’Accademia di Belle Arti di Venezia celebra il Bicentenario della nascita di Giuseppe Verdi (1813-2013) con un progetto interdisciplinare incentrato sulle opere verdiane Un ballo in maschera e La traviata. L’interpretazione data dalla curatrice Ivana D’Agostino, docente di Storia del Costume e della Moda degli eventi narrati dal libretto di Un ballo in maschera, scritto da Antonio Somma sulla traccia di Eugène Scribe, ne sposta gli avvenimenti dal XVII secolo al 1910.

Questa idea nasce dalla considerazione che il benessere di Boston, location dell’opera verdiana, incrementato nell’Ottocento e Novecento, come conseguenza della colonizzazione inglese del periodo considerato dal libretto, fu tale, non ultimo, anche a seguito delle terre espropriate ai nativi americani, i pellerossa delle tribù dei Mohawk, dei Wamponoag, dei Massachuset, ridotti così a vivere nelle riserve.

Il costituirsi di una classe imprenditoriale e della finanza portò i bostoniani a confrontarsi con la cultura e l’arte europei. La casa-museo inaugurata all’inizio del Novecento di Isabella Stewart Gardner, sposata a Boston con John Lowell Gardner II, con cui condivideva l’amore per il collezionismo di opere d’arte, diventa pertanto emblema della élitaria borghesia di quegli anni, trasformandosi idealmente nel palazzo di Riccardo conte di Warwich, il cui potere e prestigio esprime attraverso una dimora di raffinato gusto europeo.

Indicatori visivi di coloro che di questa interpretazione di Un ballo in maschera sono i “personaggi chiave”, diventano il gilet e la fodera del domino di Riccardo, dipinti con cavalcate dei pellerossa tra i paesaggi del Massachuset, e la coperta indiana indossata come un mantello dalla Donna misteriosa – una figurazione speciale che impersona la figlia di un capo tribù che interviene al ballo del III atto – decorata con gli stessi fregi degli abiti di Riccardo: emblemi di chi, a seguito delle conquiste coloniali ha consolidato benessere e ricchezza sottraendolo ai nativi; e di chi, discendente da quelli, arma la mano dei sicari che uccideranno Riccardo, e il potere che rappresenta, volendo ridare voce e dignità ad un popolo usurpato. Valori universali, dunque, che hanno a che fare con la storia dell’umanità in tutti i tempi.

Al taglio progettuale dato si uniformano anche l’ideazione dei figurini e dei costumi che risentono dell’influenza dell’haute-couture francese sullo stile della ricca borghesia americana. Queste considerazioni, e l’uso attento dei colori hanno dato carattere agli otto personaggi (quattro del libretto, Riccardo, Amelia, Ulrica, Oscar, e quattro figurazioni speciali inserite nella scena del ballo, Una donna misteriosa, Una giovane ereditiera, Una giornalista di New York e La moglie di un banchiere di Boston) su cui le allieve del Biennio di Costume, di Pittura e di Grafica d’Arte hanno lavorato realizzando non solo figurini e costumi, quant’anche la pittura su stoffa ispirata ai decori secessionisti delle Wienerwerkstätte e a quelli Déco dell’Atelier Martine, trasformando i manichini per gli abiti, realizzando le parrucche ed i gioielli.

Per rendere fattiva un’operazione trasversale di questa portata si sono attivate le competenze specifiche di vari Atelier dell’Accademia e professionalità esterne all’istituzione.

L’Atelier di Scultura del prof. Giuseppe La Bruna ha preso parte al progetto modificando tutti i manichini da esposizione con l’aggiunta di teste stilizzate, braccia e mani. La presenza di un costumista, Andrea Cavalletto, ha svolto invece il compito di coordinare l’intero iter di progettazione a partire dai figurini, ai complementi dei costumi, alla scelta dei tessuti, così da garantire l’unità necessaria tra la chiave di lettura data al progetto, e l’esecuzione dei costumi, effettuata dalle allieve col supporto dell’Atelier Nicolao, la cui esperienza nell’ambito teatrale risulta indispensabile alla resa sartoriale dei manufatti.

I bozzetti scenografici e le maquette realizzati per Un ballo in maschera dalle allieve del Biennio di Scenografia, indirizzo Architettura di Scena del prof. Lorenzo Cutùli rispondono anch’essi stilisticamente nella progettazione degli spazi a questa chiave di lettura, con l’eccezione di quelli di Milica Mitrović ispirati a una Venezia visionaria.

E a Venezia che fu sede della prima rappresentazione di Traviata nel 1853 al Gran Teatro La Fenice, alla fascinazione delle sue architetture riflesse, dell’elemento acquoreo, dei suoi preziosismi orientali, delle sue tipicità ed unicità, delle sue commistioni e tangenze culturali, fanno riferimento i percorsi di creazione progettuale dell’ambientazione scenografica degli allievi del triennio e del Biennio di Scenografia dell’indirizzo Architettura di Scena coinvolti nel progetto, a cui la città lagunare ha suggerito  un primo fondamentale approccio, supportato dall’approfondimento di studio del libretto e delle sue connotazioni storiche.

Per Traviata, nei progetti proposti dagli allievi del prof. Lorenzo Cutùli, si ritrovano i colori dell’anima: il rosso della passione, il freddo della solitudine e della malattia, i toni aranciati e i verdi acidi dell’aristocrazia corrotta preda delle feste e del gioco d’azzardo, inneggianti la mercificazione del corpo femminile.

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BOZZETTI FIGURINI MAQUETTES

Personaggi e spazio scenico di Un ballo in maschera e La traviata

Dal 25 aprile al 18 maggio 2014

Venezia

Magazzino del Sale 3

Dorsoduro 264, Zattere

Mostra di figurini, costumi, bozzetti scenografici e maquettes

 

Curatore: Ivana D’Agostino

Orari apertura:

dalle 11,00 alle 18,00

chiuso il martedì

Ingresso:

libero

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