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Rinascimento nordico

Spesso si pensa che l’Italia per l’arte antica abbia una sorte di monopolio, ciò è vero parzialmente, abbiamo una parte consistente delle opere d’arte ma queste sono numerose anche in altre nazioni.
Un luogo che conobbe una grande fioritura di pittura, scultura e architettura fu la Fiandra, una zona compresa tra l’attuale Belgio settentrionale e l’Olanda, nella metà del ‘400 sottoposta al Duca di Borgogna. Posta all’incrocio di rotte commerciali e marittime tra l’Europa Settentrionale e quella Mediterranea, sede di attive manifatture soprattutto tessili la Fiandra tra il ‘300 e il ‘500 conobbe una grande prosperità economica che portò con se una ricca committenza religiosa e laica con conseguente sviluppo delle arti e dell’artigianato del lusso.
Nel campo della pittura si affermarono grandi artisti quali Jan van Eyck, Rogier van der Weyden, Petrus Christus, Giusto di Gand. Nello stesso periodo, tra la fine del XIV e la metà del XV secolo, in Italia avveniva con Masaccio quella grande svolta che poi prese il nome di Rinascimento; acquistava consistenza il senso del volume, la definizione delle figure, il colore, la luce, la prospettiva.
Dopo di lui una miriade di artisti si affollò per oltre un secolo facendo dell’Italia la guida artistica dell’intera Europa. Diverso lo sviluppo nella Fiandra, non netta e polemica antitesi con la precedente tradizione ma evoluzione dello stile gotico fiammeggiante con quel suo colore vivo ed un analitico naturalismo. In contatto con il nuovo stile italiano, spesso con viaggi e soggiorni in Italia, con rapporti con mercanti italiani residenti e operanti nella città della Fiandra, gli artisti fiamminghi del ‘400 acquistarono larga notorietà presso corti principesche, chiese, monasteri e ricchi borghesi dipingendo quadri di arte sacra e ritratti come il famoso “ Coniugi Arnolfini “ del van Eyck.
Nella generazione successiva si presenta sulla scena artistica della Fiandra un pittore di origine tedesca di cui restano molte opere ma della cui vita poco si sa: Hans Memling. A lui è dedicata una grande mostra monografica che si tiene presso le Scuderie del Quirinale” Memling. Rinascimento fiammingo”, con esposizione di dipinti provenienti da collezioni italiane e da prestigiosi musei esteri. Il pittore nacque tra il 1435 e il 1440 in un paese della Germania e si ignora dove abbia svolto il suo apprendistato e presso quale bottega; dopo il 1460 appare a Bruxelles forse nello studio di Roger van der Weyden e dopo la morte di questi nel 1464 è citato a Bruges. Alcuni documenti dell’epoca lo descrivono come titolare di una fiorente bottega che riceveva ricche ed importanti committenze. Il suo stile presenta una visione tranquilla e contemplativa con un delicato lirismo ed una dolcezza di tratti, con volti sereni e pensosi, paesaggi chiari e netti. Dipinse trittici, tavole con soggetti religiosi e ritratti con immagini assorte in tranquilla compostezza. Morì l’11 agosto 1494 circondato da universale stima e da grande fama.
La mostra organizzata da Scuderie del Quirinale e da Arthemisia Group è la prima antologica che viene dedicata all’artista nel nostro paese, espone una cinquantina di dipinti, di cui più della del Memling, e mira a chiarire gli intensi rapporti intercorrenti tra la Fiandra ed alcuni stati italiani sia sotto l’aspetto culturale che economico.
Particolarmente vivace l’incontro tra il Memling e i mercanti italiani o i loro rappresentanti, operanti a Bruges e nelle città vicine e ne sono testimonianza i molti quadri dipinti per committenti italiani, d’altra parte sono presenti in mostra opere di pittori italiani in cui si nota l’influsso dell’artista fiammingo: c’è un trittico del Botticelli, in collezione Pallavicini, di chiara ispirazione, un quadretto di Frà Angelico, una tempera su tavola di Bernardino Luini ed un “Cristo Benedicente” del Ghirlandaio replica di uno analogo del Memling .L’influsso di quest’ultimo anche sull’arte locale si nota dal buon numero di seguaci ed imitatori, generalmente ignoti, ma conosciuti dai critici d’arte come Maestro della leggenda di Sant’Orsola, di Santa Lucia, di Santa Caterina.
L’eposizione si articola su varie sezioni che si susseguono con un interessante allestimento. Al piano terreno si apre con una serie di ritratti, di dimensioni molto contenute, contraddistinti da un tratto minuto e preciso e da grande serenità; segue la pittura religiosa articolata su dittici e soprattutto trittici, spesso smembrati e ricomposti in occasione della mostra, tra loro spicca il “Trittico Moreel” con una scena sacra contornata dal donatore con moglie e molti figli. Manca purtroppo il “Trittico di Danzica”, un dipinto di grandi dimensioni destinato ad una chiesa di Fiesole, intercettato dai pirati e finito nella città polacca dalla quale pare sia impossibile averlo in prestito.
Al piano superiore si alternano opere devozionali del Memling frammiste con quelle di suoi imitatori e seguaci fornendo una chiara nozione della pittura fiamminga della seconda metà dal XV secolo ancora in parte legata allo stile gotico. Emblematico dello stretto rapporto tra Memling e l’Italia è il “Trittico Pagnanotti” dipinto per un vescovo italiano e ricomposto per l’occasione con il pannello centrale agli Uffizi e i pannelli laterali alla National Gallery di Londra.
L’esposizione è estremamente interessante per la qualità dei dipinti e per il fatto che raramente opere d’arte fiamminghe del ‘400 sono state esposte in Italia, ed in particolare a Roma, con una scelta oculata ed un raffinato allestimento.
Alla mostra sono legate altre iniziative quali tre conferenze presso le Scuderie e sei presso il Palazzo delle Esposizioni nonché visite e laboratori per ragazzi e bambini.

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 MEMLING
Rinascimento Fiammingo
Dall’11 ottobre 2014 al 18 gennaio 2015

Mostre Rinascimento nordico 15Roma
Scuderie del Quirinale
via XXIV Maggio 16

Informazioni:
sito web

Orario:
domenica/giovedì 10/20
venerdì e sabato 10/22,30

Catalogo:
Skira

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Mostre Rinascimento nordico 11 Mostre Rinascimento nordico 10

 

 

 

La gloria dei vinti

Rendere omaggio al valore dei vinti è un concetto di grande generosità purtroppo poco tenuto in considerazione sia in passato che nel presente; c’è stata comunque qualche eccezione una delle quali riguarda un antico re, Attalo I di Pergamo. Era il sovrano di un piccolo regno dell’Asia Minore originatosi dallo sfaldamento dell’impero di Alessandro Magno e nel 240 a.C. sconfisse i Galati, una popolazione di origine celtica stanziata al centro dell’attuale Anatolia, che imperversava con sanguinose razzie nelle regioni vicine.

La vittoria ebbe grande risonanza nel mondo ellenistico ed Attalo la sfruttò commissionando due grandi opere bronzee che lo celebravano. La prima, nota come “il Grande Donario”, era costituita da una base circolare che ospitava, a detta di Plinio e Pausania, tre grandi statue, di misura superiore al vero, rappresentanti Galati sconfitti e morenti; opera dello scultore Epigonos era collocata nell’acropoli di Pergamo vicino al tempio di Atena Nikeforos (apportatrice di vittoria). L’altra, conosciuta come “il Piccolo Donario”, fu donata da Attalo ad Atene e posta sull’acropoli su una base a forma rettangolare, era insieme a altri gruppi simili rappresentanti l’Amazzonomachia, la Gigantomachia e la Medomachia; la donazione aveva sicuramente lo scopo di creare un gemellaggio tra Atene e Pergamo sia culturale che politico.

Le statue poste sulla base, di cui rimangono i resti, elevata di quasi due metri, erano circa una quarantina alte un po’ meno di un metro. Si ignora che fine abbiano fatto i due donari bronzei, si ritiene che durante il periodo imperiale siano stati portati a Roma da Nerone per la Domus Aurea e in seguito spostati da Vespasiano nel Templum Pacis dopodiché non ne abbiamo più notizie; due statue, il Galata morente ed il Galata suicida, appartenenti ad una copia  in marmo, forse di origine pergamena della seconda metà del I secolo a.C., furono rinvenute nel ‘600 nella Villa Ludovisi in una zona dove nell’antichità erano gli Horti Sallustiani precedentemente appartenuti a Giulio Cesare, forse il gruppo statuario fu un omaggio dei maggiorenti di Pergamo. Ora fanno parte la prima delle raccolte dei Musei Capitolini, la seconda di quella di Palazzo Altemps; secondo il professor Coarelli, in base a quanto descritto da Plinio, dovrebbe essere aggiunta al gruppo la statua, ora non più esistente, di una donna morta con un bambino.

Il Coarelli ha anche studiato il Piccolo Donario e ha curato una mostra, promossa dalla Soprintendenza e da Electa, che si tiene a Palazzo Altemps e che ha permesso la parziale ricostruzione del complesso artistico utilizzando statue provenienti da vari musei.

La storia moderna del Piccolo Donario inizia nel 1514 quando, da una lettera inviata da Filippo Strozzi a Lorenzo de’ Medici, nipote del Magnifico, apprendiamo che durante alcuni  scavi in un convento femminile, forse l’attuale Sant’Ambrogio della Massima, furono trovate cinque statue, di misura minore del vero, rappresentanti guerrieri morti o feriti; poco dopo ne furono trovate altre due. Conservate originariamente in Palazzo Medici, ora Madama, quattro statue passarono ai Farnese e poi ai Borbone di Napoli che le assegnarono all’attuale Museo Archeologico; altre tre finirono nella raccolta Grimani che ha costituito il nucleo del Museo Archeologico di Venezia.

Tre statue, forse pertinenti al Donario, sono conservate nei Musei Vaticani, al Louvre ed ad un museo ad Aix en Provence, questa con poca probabilità in quanto di dimensioni leggermente superiori alle altre. Dalla località del ritrovamento si può pensare che le statue ornassero il Portico di Ottavia o quello di Filippo; dato che dallo stile sembrano essere databili al II secolo d.C. potrebbero appartenere ad un grande restauro dei portici avvenuto all’epoca di Settimio Severo. La mostra curata dal Coarelli espone otto immagini di barbari  morti o feriti, una è una donna, poste in una posizione forse corrispondente all’originale unitamente ad un frammento del basamento proveniente da Atene. Nella stessa sala il gruppo del Galata suicida ed un grande sarcofago di epoca severiana che rappresenta una convulsa battaglia tra Romani e barbari; fanno parte dell’ordinario arredo museale ma sono idealmente collegati alla mostra. Il titolo di questa La Gloria dei Vinti vuole significare una concezione umana e generosa del rapporto tra vincitori e vinti; i Galati sconfitti sono ammirati e rispettati, il capo che si suicida, dopo aver ucciso la moglie, si volge con sguardo di sfida verso il vincitore mentre si immerge la spada nel petto; i due Donari mostrano solo i vinti non i vincitori che infieriscono contrariamente al grande sarcofago che presenta i barbari come selvaggi che meritano di essere distrutti senza pietà. Questa differenza di sensibilità è chiaramente visibile anche confrontando la Colonna Traiana con l’Antonina, tra le due corrono poco più di sessanta anni ma lo scenario politico e militare era molto cambiato: Traiano vincitore senza problemi può permettersi di rispettare ed ammirare il vinto Decebalo, l’impero è tranquillo, il nemico è lontano, il barbaro è ostile ma non fa paura. Marco Aurelio invece ha i barbari vicini, combatte ma non vince i Marcomanni, nell’impero c’è peste e carestia, il nemico terrorizza, mette in discussione gli equilibri faticosamente raggiunti, va annientato senza pietà e considerazione.

La mostra è una esposizione accurata del Piccolo Donario corredata da cartelli esplicativi ed esibisce anche una piccola ricostruzione del Grande Donario con le esatte posizioni delle due statue esistenti e quella probabile della terza.

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06 Mostre Piccolo Donario fotonews1LA GLORIA DEI VINTI

Pergamo, Atene, Roma

Dal 18 aprile al 7 settembre 2014

Roma

Museo Nazionale Romano – Palazzo Altemps

Orario:

da martedì a domenica dalle 9,00 alle 19,45

Curatore Filippo Coarelli

Catalogo:

Electa

Informazioni e prenotazioni:

tel. 06/39967700

tel. 06/56358003

Sito web

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