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Un marchigiano a Roma: Una mostra da visitare sul Web

Un tempo correva il detto “meglio un morto in casa che un marchigiano fuori della porta”, era l’espressione della forte avversione dei romani nei riguardi degli esattori delle tasse che Papa Sisto V, marchigiano, aveva scelto tra i suoi corregionali. Ma ormai sono passati secoli ed ora Roma festeggia un marchigiano illustre, Raffaello Sanzio, ospitando, nei suggestivi spazi delle Scuderie del Quirinale, una imponente mostra sull’artista.

Raffaello nacque ad Urbino nel 1483, figlio di Giovanni Santi pittore, scrittore, poeta, intellettuale di valore inserito nell’ambiente umanistico della corte dei Montefeltro signori di Urbino. Raffaello iniziò il suo apprendistato presso il padre, e dopo la sua morte nel 1494, il giovanissimo artista continuò a frequentare la bottega paterna e successivamente fu a lungo con il Perugino. Insieme con Evangelista di Piero di Meleto lavorò a Città di Castello decorando uno stendardo con la Santissima Trinità, passò poi a Perugia dipingendo la “Pala Colonna “ e la “Pala Oddi”; si spostò a Siena collaborando con il Pinturicchio negli affreschi della Libreria Piccolomini e a Firenze dove dipinse lo “Sposalizio della Vergine” ed ebbe i primi rapporti con la pittura di Leonardo da Vinci.

La fama raggiunta lo portò a lavorare in varie città dell’Italia Centrale finché Papa Giulio II Della Rovere lo chiamò a Roma per affrescare le Stanze dell’Appartamento Papale; contemporaneamente dipinse nel 1507 la famosa “Pala Baglioni” e il noto ritratto di Giulio II. Ebbe ottimi rapporti con il nuovo Papa Leone X Medici che gli affidò numerose commissioni e lo nominò Sovrintendente ai lavori architettonici della Basilica Vaticana e alle antichità archeologiche di Roma verso le quali Raffaello aveva un particolare interesse. Fu amico di Agostino Chigi all’epoca il più noto e ricco banchiere, mercante e imprenditore dell’intero mondo occidentale, che aveva fatto costruire dall’architetto Baldassarre Peruzzi una fastosa villa extraurbana, ora nota coma “la Farnesina” dal nome dei successivi proprietari, e Raffaello vi affrescò il “Trionfo di Galatea” e, con i suoi aiuti, la “ Loggia di Psiche”. Dipinse la “Fornarina “, forse una sua amante, e per vari committenti la “Madonna di Foligno”, la “Madonna Sistina, l’”Estasi di S. Cecilia”, la “Madonna della Seggiola”; per il Papa preparò i cartoni degli arazzi della Cappella Sistina tessuti poi nelle Fiandre e come architetto si occupò dei progetti di Villa Madama, Palazzo Braconio dell’Aquila e Palazzo Alberini. Affrescò, con i collaboratori, le Logge Vaticane e nel 1516 iniziò a dipingere la “Trasfigurazione” rimasta incompiuta.

Morì improvvisamente il 4 aprile 1520, Venerdì Santo, e come da suo desiderio fu sepolto nel Pantheon; una settimana dopo morì il suo grande amico e mecenate Agostino Chigi. La sua morte gettò nella costernazione l’intero mondo artistico ed intellettuale dell’epoca in quanto Raffaello era stimato e apprezzato dagli uomini ed adorato dalle donne che l’artista frequentava con un impegno sovente eccessivo come maliziosamente citato dalle fonti contemporanee. Il “Divino Pittore” era affabile e di buon carattere, ben diverso dallo scontroso Michelangelo, frequentava la corte pontificia e le famiglie nobili apprezzato per le sue qualità, la cultura e le buone maniere. Aveva organizzato una fiorente bottega con aiutanti di gran valore il che gli permetteva di produrre opere in gran numero e di ottima qualità; i suoi principali collaboratori furono Giovanni Penni, Perin del Vaga, Giulio Romano, Giovanni da Udine, l’incisore Marcantonio Raimondi e lo scultore Lorenzetto tutti destinati in futuro a buona fama.

La mostra è stata organizzata per ricordare i 500 anni trascorsi dalla morte dell’artista ed espone circa 200 opere delle quali 120 assegnate alla mano dell’Urbinate; i quadri sono poco più di una ventina il resto sono disegni e bozzetti, purtroppo la parte più grandiosa di quanto prodotto dalla bottega di Raffaello è costituita da affreschi per loro natura inamovibili; il resto di quanto esposto è costituito da reperti archeologici, incisioni, disegni, riproduzioni di altri artisti per far comprendere quale fosse il mondo artistico dell’epoca. La mostra è articolata in maniera singolare, si svolge in ordine cronologico al contrario partendo dalla morte di Raffaello risalendo poi fino agli esordi; anche nel titolo della mostra le date di nascita e morte sono invertite 1520-1483.

La mostra, coerentemente, si apre con la riproduzione, a grandezza reale, della tomba sovrastata dalla Madonna scolpita da Lorenzetto e prosegue esibendo un autoritratto di Raffaello sulla trentina, con una inconsueta barba, e i dipinti di due suoi grandi amici gli intellettuali umanisti Pietro Bembo e Baldassarre Castiglione; il ritratto di un altro amico, Fedra Inghirami, è al piano superiore. In una bacheca è esposta una lunga lettera, di pugno del pittore e conservata all’Archivio di Stato di Mantova, nella quale Raffaello, coadiuvato da Baldassarre Castiglione, scriveva a Papa Leone X lamentando l’incuria nella quale erano tenute le antichità romane. Il Papa accolse la proposta e Raffaello divenne il sovraintendente alla curatela delle antichità archeologiche che amava intensamente e che erano per lui fonte inesauribile di ispirazione.

Una sala espone due arazzi, tessuti nelle Fiandre, predisposti per la decorazione della Cappella Sistina ed ora nei Musei Vaticani; Raffaello ne dipinse i cartoni; i 7 rimasti sono ora in Inghilterra ed in mostra è esposta la riproduzione di uno di essi, a grandezza naturale, posta di fronte al corrispondente arazzo vaticano. Il piano superiore accoglie i visitatori con tre ritratti di donne: una sconosciuta, opera giovanile, e due notissime, la “Fornarina” e la “Velata”.

Altre sale esaminano le attività dell’Urbinate in campo architettonico con molti suoi disegni per progetti per la Basilica di San Pietro e per la Villa Madama, su una parete spicca la riproduzione della facciata del non più esistente Palazzo Braconio dell’Aquila in Borgo. In altre sale diverse Madonne tra cui quelle “della Rosa”, “dell’Impannata” e “Tempi “corredate da numerosi interessanti disegni preparatori. Con i vivaci toni rossi delle vesti spiccano i ritratti di Papa Giulio II e di Leone X; la grande tela dell’“Estasi di Santa Cecilia” è posta a confronto con un busto di Iside che condivide con la Santa la singolare acconciatura dei capelli. Le ultime sale espongono dipinti giovanili ancora legati allo stile dei pittori dell’ultimo ‘400 e prima dell’incontro con l’innovativa arte di Leonardo.

La mostra si chiude con il famosissimo autoritratto di Raffaello all’età di circa venti anni fiancheggiato dal quadro della “Dama con l’Unicorno”.e dalle immagini di due giovani nobiluomini purtroppo anonimi La mostra è piacevole, interessante, scientificamente valida, unico piccolo neo, come accade sovente, i cartellini esplicativi sono spesso poco leggibili.

Accanto all’esposizione delle opere sono previste numerose iniziative quali lezioni, incontri, conferenze, laboratori.


Raffaello.1520-1483: Una passeggiata in mostra
Una visita virtuale per superare le ristrettezze sociali imposte dalla situazione pandemica


Raffaello 1520-1483
Dal 5 marzo al 2 giugno 2020
Proroga dal 2 giugno al 30 agosto 2020

Scuderie del Quirinale
Roma


Catastrofi

Intorno alla metà degli anni ’70 del secolo scorso avevano grande successo i film che presentavano catastrofi immani da cui i protagonisti uscivano incolumi dopo incredibili vicende, ora presso le Scuderie del Quirinale viene proposta una mostra che ha per oggetto due catastrofi, più precisamente due eruzioni vulcaniche, che ebbero grandissima risonanza in epoche antiche. Il titolo è “ Pompei e Santorini. L’eternità in un giorno”; si tratta di due eventi molto distanti fra loro e ancora più distanti da noi. Pompei fu sepolta insieme ad Ercolano, Stabia, Oplontis ed altre località minori della Campania da una improvvisa eruzione del Vesuvio nell’anno 79 d.C., Santorini, isola greca appartenente all’arcipelago delle Cicladi, fu devastata da terremoti ed eruzioni in epoca imprecisata che gli archeologi collocano tra il 1600 e il 1650 a. C. in piena età del Bronzo mentre nella vicina Creta fioriva la civiltà minoica.

La mostra vuole evidenziare i tratti comuni tra i due eventi quali la improvvisa scomparsa di due città prospere, vivaci, abitate da popolazioni culturalmente avanzate e le grandi differenze dovute ad un intervallo di circa 1700 anni tra le due civiltà, i due diversi sistemi di governo, di religione, di economia. Su Pompei abbiamo molte notizie riportate da autori di epoca classica uno dei quali, Plinio il Giovane, fu addirittura testimone degli eventi e della morte a causa di vapori venefici dello zio Plinio il Vecchio. Di Santorini abbiamo scarsissime notizie per la mancanza di fonti scritte dell’epoca e gli storici procedono esaminando documentazioni presso altre civiltà contemporanee quali l’egizia e la minoica.

Ambedue i siti hanno restituito migliaia di reperti in quanto la subitaneità dell’eruzione sigillò sotto strati di cenere, lapilli e pomici edifici pubblici, abitazioni e magazzini. Scavi eseguiti a Pompei dalla metà del ‘700, purtroppo per più di un secolo con scarsi criteri scientifici, hanno fornito una notevole quantità di oggetti che ci hanno permesso di ricostruire la vita di una cittadina romana del 1° secolo d.C. abitata da una popolazione con un tenore medio-alto; numerose lapidi ci hanno restituito molti nomi di magistrati, dediche e iscrizioni funerarie nonché scritte sui muri di writers dell’epoca. Di Santorini nulla sappiamo se non in via indiretta facendo riferimento alla contemporanea civiltà della vicina Creta, mancano esempi di scrittura e quindi non sappiamo quale fosse il sistema di governo, quale la religione praticata. Si è appurato che la città principale, Akrotiri, è stata per secoli un fiorentissimo centro commerciale ove si scambiavano merci provenienti da vari siti del Mediterraneo orientale mentre fiorivano l’agricoltura e l’allevamento.

Le rovine della città furono oggetto dei primi scavi nel tardo ‘800 ma grandi interventi risalgono agli anni ’60 del ‘900 con restauri e allestimenti che rendono Santorini meta di turismo internazionale. Tra i reperti di Pompei e Santorini sono situate opere di artisti moderni e contemporanei idealmente collegate con le antiche, la mostra si apre con una grande statua prona, il “Bevitore” di Arturo Martini assai simile ai calchi in gesso dei Pompeiani morti durante l’eruzione, segue per tutto il piano terreno l’esposizione di un campionario di quanto trovato nella città vesuviana; gioielli, monete, oggetti in bronzo, un servizio da tavola in argento, statue ed una bellissima serie di affreschi parietali compresi alcuni splendidi larari, chiude la sezione Pompei un grande dipinto di Andy Warhol che rappresenta il Vesuvio in eruzione.

Al primo piano sono collocati i reperti di Santorini estremamenti interessanti in quanto meno noti ed esposti per la prima volta fuori della Grecia; una grande quantità di vasellame di svariate dimensioni e per lo più dipinto con colori vivaci e soprattutto molti affreschi parietali che rappresentano giovani e donne riprese sempre di profilo con grandi occhi e lunghi capelli neri. In uno degli affreschi giovani donne, insieme ad una scimmia blu, raccolgono erbe e le offrono ad una figura femminile che forse è una divinità, il tutto è molto simile a quanto conosciuto a Cnosso nell’isola di Creta. In un altro appaiono dei giovani nudi con un fascio di pesci; purtroppo i reperti di Santorini sono muti e ci lasciano con molti interrogativi. Terremoto ed eruzione del 1600 circa a.C. nell’isola non provocarono vittime, al contrario di Pompei dove sono stati trovati molti cadaveri ed una gran quantità di oggetti di valore, a Santorini la popolazione riuscì ad allontanarsi portando con se gli oggetti preziosi. I due siti per secoli rimasero disabitati.

Secondo alcune teorie la catastrofe dell’isola delle Cicladi sarebbe la stessa di cui parla Platone e che riguarderebbe la mitica Atlantide identificata o con Santorini distrutta o con Creta gravemente danneggiata dallo tsunami seguito all’eruzione. Le ultime due sale espongono numerose opere d’arte di artisti del 7/800 e contemporanei che fanno riferimento a vulcani ed eruzioni.

A corredo della mostra si terranno due conferenze, il 19 ottobre e il 17 novembre, alle ore 11, presso il Teatro di Roma-Teatro Nazionale ad ingresso libero, ed anche numerosi laboratori per scuole e famiglie.


Pompei e Santorini:
l’eternità in un giorno

Dal 11 ottobre 2019 al 6 gennaio 2020

Scuderie del Quirinale
Roma



Il poeta del mito

Da qualche giorno è stata aperta, nella consueta fastosa cornice, presso le Scuderie del Quirinale la mostra “Amori, Miti e Altre Storie. Ovidio” avente per oggetto l’esame, sotto svariati aspetti, dell’opera in versi del poeta latino. Publius Ovidius Naso nacque a Sulmona, nel 43 a.C., da agiata famiglia della borghesia provinciale ed in giovane età si trasferì a Roma entrando in contatto con i più raffinati circoli culturali; riuscì alfine a frequentare gli ambienti artistici gravitanti intorno alla corte imperiale di Augusto ottenendo fama e successo. Si rese molto noto per le sue opere a soggetto amoroso ed anche erotico ispirandosi ai poeti alessandrini del mondo ellenistico, scrisse Amores, Heroides, Fasti, Remedia Amoris, Metamorfosi e la celebre Ars Amatoria. Sulla cinquantina e nel pieno della sua vita artistica e sociale, nell’8 d.C., fu improvvisamente esiliato da Augusto nella remota città di Tomi, piccola colonia romana sulle coste del Mar Nero, isolata e sovente minacciata, come dice lo stesso poeta, da incursioni dei nomadi delle steppe. Lì rimase quasi dieci anni componendo Tristia ed Epistulae ex Ponto in cui lamentava la sua infelice sorte ed invocava la possibilità di un suo richiamo a Roma. Morì a Tomi nel 18 d.C..
Ignoriamo il motivo del suo esilio, Ovidio parla in un suo verso di “carmen et error” frase enigmatica che copre una vasta gamma di interpretazioni: cosa fece? cosa vide? cosa disse? cosa scrisse? ignoriamo e ignoreremo forse per sempre la ragione del duro provvedimento augusteo. Nonostante queste vicende la fama del poeta rimase vivissima per secoli superando anche una certa ostilità da parte dell’opinione pubblica cristiana per il contenuto amoroso dei suoi versi. Molti sono i manoscritti medioevali con le sue opere, i più antichi rimasti risalgono all’XI secolo testimoniando il suo successo e la sua fama che si perpetuavano nel tempo.
Il poema che è esaminato in mostra è il “Metamorphoseon” in XV libri per complessivi 12.000 versi, è un’opera epico-mitologica che rivisita circa 250 miti greci che, secondo una moda alessandrina, contengono vicende che comportano delle trasformazioni di dei, di semidei, di ninfe, di umani; tipico esempio è Dafne che per fuggire Apollo si trasforma in alloro o Giove che assume le sembianze di aquila per rapire Ganimede o di toro per fuggire con Europa: Dal punto di vista cronologico si copre il periodo che va dall’apparizione di Chaos, all’inizio del mondo, alla glorificazione di Cesare che vola in cielo per raggiungere gli dei e prendere posto tra loro.
In mostra sono esposte circa 250 opere provenienti da musei e collezioni italiani e stranieri; sono del genere più diverso, quadri del 5/600 ed affreschi pompeiani, sculture antiche e barocche, cammei e vasi etruschi ed apuli, preziosi oggetti di trucco femminile ed infine numerosi codici finemente miniati attestanti la fortuna e la fama della poesia di Ovidio.
La mostra si articola attraverso una serie di ambienti che seguono un preciso programma: si entra in una sala con un padiglione contenente un ritratto rinascimentale del poeta, alle pareti una installazione, che può anche risultare incongrua, con versi ovidiani scritti con il neon, segue un ambiente suddiviso con, da una parte, le divinità amate da Ovidio capitanate da una splendida Venere Callipigia che esibisce un ben tornito lato B, dall’altra statue di Augusto e ritratti della famiglia imperiale. Segue una serie di sale, al piano terreno, in cui i curatori hanno esposto le opere che si riferiscono a miti in cui Ovidio parla in maniera irriverente delle divinità ufficiali dell’Olimpo Romano che invece Augusto, nella sua riorganizzazione dello stato, aveva di nuovo innalzato sugli altari in maniera solenne.
Si inizia con Marte e Venere sorpresi ed incatenati dal geloso marito Vulcano, con Dafne che si trasforma in albero per sfuggire ad Apollo, con Diana che fa morire Atteone che l’ha vista mentre si bagnava, con Apollo che scortica il vinto Marsia, con Diana ed Apollo che uccidono a colpi di freccia i quattordici figli dell’orgogliosa Niobe, con Giove che, preso da frenesia amorosa, trasformato in aquila rapisce Ganimede ed in toro la giovane Europa. Al piano superiore il programma è diverso, sono esaminati miti che hanno esiti tragici ed in alcuni casi esiti fausti; sono miti di morte Piramo e Tisbe, Ermafrodito e Salmacide, Narciso ed Eco, Ippolito e Meleagro, Icaro e Fetonte
Hanno esiti favorevoli i miti di Arianna e Proserpina che si trasformano in dee e dell’efebo Ganimede che ascende all’Olimpo e diviene coppiere degli dei.
Una mostra molto interessante per l’abbondanza e la varietà delle opere esposte e che si visita con grande piacere.

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Ovidio
Amori, Miti ed altre storie
Dal 17 ottobre 2018 al 20 gennaio 2018

Scuderie del Quirinale
Roma

Orario:
da domenica a giovedì 10/20
venerdì e sabato 10/23

Catalogo:
Arte’M/ Erma di bretschneider

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Rinascimento nordico

Spesso si pensa che l’Italia per l’arte antica abbia una sorte di monopolio, ciò è vero parzialmente, abbiamo una parte consistente delle opere d’arte ma queste sono numerose anche in altre nazioni.
Un luogo che conobbe una grande fioritura di pittura, scultura e architettura fu la Fiandra, una zona compresa tra l’attuale Belgio settentrionale e l’Olanda, nella metà del ‘400 sottoposta al Duca di Borgogna. Posta all’incrocio di rotte commerciali e marittime tra l’Europa Settentrionale e quella Mediterranea, sede di attive manifatture soprattutto tessili la Fiandra tra il ‘300 e il ‘500 conobbe una grande prosperità economica che portò con se una ricca committenza religiosa e laica con conseguente sviluppo delle arti e dell’artigianato del lusso.
Nel campo della pittura si affermarono grandi artisti quali Jan van Eyck, Rogier van der Weyden, Petrus Christus, Giusto di Gand. Nello stesso periodo, tra la fine del XIV e la metà del XV secolo, in Italia avveniva con Masaccio quella grande svolta che poi prese il nome di Rinascimento; acquistava consistenza il senso del volume, la definizione delle figure, il colore, la luce, la prospettiva.
Dopo di lui una miriade di artisti si affollò per oltre un secolo facendo dell’Italia la guida artistica dell’intera Europa. Diverso lo sviluppo nella Fiandra, non netta e polemica antitesi con la precedente tradizione ma evoluzione dello stile gotico fiammeggiante con quel suo colore vivo ed un analitico naturalismo. In contatto con il nuovo stile italiano, spesso con viaggi e soggiorni in Italia, con rapporti con mercanti italiani residenti e operanti nella città della Fiandra, gli artisti fiamminghi del ‘400 acquistarono larga notorietà presso corti principesche, chiese, monasteri e ricchi borghesi dipingendo quadri di arte sacra e ritratti come il famoso “ Coniugi Arnolfini “ del van Eyck.
Nella generazione successiva si presenta sulla scena artistica della Fiandra un pittore di origine tedesca di cui restano molte opere ma della cui vita poco si sa: Hans Memling. A lui è dedicata una grande mostra monografica che si tiene presso le Scuderie del Quirinale” Memling. Rinascimento fiammingo”, con esposizione di dipinti provenienti da collezioni italiane e da prestigiosi musei esteri. Il pittore nacque tra il 1435 e il 1440 in un paese della Germania e si ignora dove abbia svolto il suo apprendistato e presso quale bottega; dopo il 1460 appare a Bruxelles forse nello studio di Roger van der Weyden e dopo la morte di questi nel 1464 è citato a Bruges. Alcuni documenti dell’epoca lo descrivono come titolare di una fiorente bottega che riceveva ricche ed importanti committenze. Il suo stile presenta una visione tranquilla e contemplativa con un delicato lirismo ed una dolcezza di tratti, con volti sereni e pensosi, paesaggi chiari e netti. Dipinse trittici, tavole con soggetti religiosi e ritratti con immagini assorte in tranquilla compostezza. Morì l’11 agosto 1494 circondato da universale stima e da grande fama.
La mostra organizzata da Scuderie del Quirinale e da Arthemisia Group è la prima antologica che viene dedicata all’artista nel nostro paese, espone una cinquantina di dipinti, di cui più della del Memling, e mira a chiarire gli intensi rapporti intercorrenti tra la Fiandra ed alcuni stati italiani sia sotto l’aspetto culturale che economico.
Particolarmente vivace l’incontro tra il Memling e i mercanti italiani o i loro rappresentanti, operanti a Bruges e nelle città vicine e ne sono testimonianza i molti quadri dipinti per committenti italiani, d’altra parte sono presenti in mostra opere di pittori italiani in cui si nota l’influsso dell’artista fiammingo: c’è un trittico del Botticelli, in collezione Pallavicini, di chiara ispirazione, un quadretto di Frà Angelico, una tempera su tavola di Bernardino Luini ed un “Cristo Benedicente” del Ghirlandaio replica di uno analogo del Memling .L’influsso di quest’ultimo anche sull’arte locale si nota dal buon numero di seguaci ed imitatori, generalmente ignoti, ma conosciuti dai critici d’arte come Maestro della leggenda di Sant’Orsola, di Santa Lucia, di Santa Caterina.
L’eposizione si articola su varie sezioni che si susseguono con un interessante allestimento. Al piano terreno si apre con una serie di ritratti, di dimensioni molto contenute, contraddistinti da un tratto minuto e preciso e da grande serenità; segue la pittura religiosa articolata su dittici e soprattutto trittici, spesso smembrati e ricomposti in occasione della mostra, tra loro spicca il “Trittico Moreel” con una scena sacra contornata dal donatore con moglie e molti figli. Manca purtroppo il “Trittico di Danzica”, un dipinto di grandi dimensioni destinato ad una chiesa di Fiesole, intercettato dai pirati e finito nella città polacca dalla quale pare sia impossibile averlo in prestito.
Al piano superiore si alternano opere devozionali del Memling frammiste con quelle di suoi imitatori e seguaci fornendo una chiara nozione della pittura fiamminga della seconda metà dal XV secolo ancora in parte legata allo stile gotico. Emblematico dello stretto rapporto tra Memling e l’Italia è il “Trittico Pagnanotti” dipinto per un vescovo italiano e ricomposto per l’occasione con il pannello centrale agli Uffizi e i pannelli laterali alla National Gallery di Londra.
L’esposizione è estremamente interessante per la qualità dei dipinti e per il fatto che raramente opere d’arte fiamminghe del ‘400 sono state esposte in Italia, ed in particolare a Roma, con una scelta oculata ed un raffinato allestimento.
Alla mostra sono legate altre iniziative quali tre conferenze presso le Scuderie e sei presso il Palazzo delle Esposizioni nonché visite e laboratori per ragazzi e bambini.

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 MEMLING
Rinascimento Fiammingo
Dall’11 ottobre 2014 al 18 gennaio 2015

Mostre Rinascimento nordico 15Roma
Scuderie del Quirinale
via XXIV Maggio 16

Informazioni:
sito web

Orario:
domenica/giovedì 10/20
venerdì e sabato 10/22,30

Catalogo:
Skira

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Mostre Rinascimento nordico 11 Mostre Rinascimento nordico 10

 

 

 

Una sofferenza nell’allegria di vivere

“L’angoscia e il dolore. Il piacere e la morte non sono nient’altro che un processo per esistere.„ Con queste poche parole Frida Kahlo sintetizza la sua visione della vita, raffigurandola nella sua arte e nel suo impegno politico.

Un impegno verso la vita e l’umanità che l’artista messicana ha perseguito in meno di cinquant’anni di vita e che vengono ora ben rappresentato nella mostra e messo a confronto con l’opera dei suoi contemporanei.

Una mostra che non si limita a presentare la produzione artistica di Frida Kahlo nella sua evoluzione, dagli esordi ancora debitori della Nuova Oggettività e del Realismo magico alla riproposizione dell’arte folklorica e ancestrale, dai riflessi del realismo americano degli anni venti e trenta (Edward Hopper, Charles Sheeler, Georgia O’Keefe) alle componenti ideologico-politiche ispirate dal muralismo messicano (Rivera, Orozco), ma approfondisce il tema dell’autorappresentazione.

L’autoritratto prevale nell’esposizione sia in rispetto del peso numerico che per il significato assume nella produzione complessiva dell’artista, sia – e soprattutto – per lo specialissimo significato che esso ha rappresentato nella trasmissione dei valori iconografici, psicologici e culturali propri del “mito Frida”.

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Frida Kahlo
Dal 20 marzo al 31 agosto 2014

Roma
Scuderie del Quirinale

Orario:
domenica – giovedì dalle 10.00 alle 20.00
venerdì e sabato dalle 10.00 alle 22.30
non si effettua chiusura settimanale
la biglietteria chiude un’ora prima

Ingresso:
intero € 12,00 ‐ ridotto € 9,50

Informazioni:
tel. 06/39967500
Sito web

Catalogo:
Electa

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