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Torniamo a Galileo

I Longobardi? Per i Leghisti non erano mica barbari, anzi hanno fondato l’Italia e hanno introdotto nuova linfa nella decadente Romanità centralizzata e  hanno pure combattuto i perversi Bizantini. Nel frattempo su FaceBook  discuto con un gruppo di Trentini convinti di essere stati invasi dall’esercito italiano nel 15-18, impresa che evidentemente non era riuscita ai Cacciatori delle Alpi di Garibaldi nel Risorgimento. Oppure leggo le tecniche di ri-creazione della storia della Macedonia del Nord da parte del locale partito di governo, sedicente erede di Alessandro Magno e della civiltà greca intera. Peccato che gli attuali macedoni parlino bulgaro e non greco e che la Macedonia storica neanche coincida con quella attuale (1). Ognuno la storia ormai se la ricuce come crede secondo la propria ideologia ma nessuno risponde a tono, a parte Pascal Bruckner (2), quindi non mi sorprende da parte afroamericana la volontà di obliterare la storia romana e le lingue classiche che ne hanno diffuso la civiltà (o, come direbbero gli inglesi, the cultural heritage). Civiltà fatta però non solo di legioni, conquiste e soprusi, ma anche di Diritto Romano, cultura superiore, architettura e urbanistica, pensiero laico, amministrazione, letteratura. In fondo si accetta di esser governati per secoli dagli altri solo se si ottengono benefici concreti o ideali, e nell’Impero Romano anche un provinciale poteva diventare generale, funzionario o Imperatore. Questo lo scrivo per rimandare al mittente i sensi di colpa dell’uomo bianco ed evitare di coprirsi ancora una volta il capo di cenere davanti a chi pensa di affrontare la storia partendo da premesse morali. Lo storicismo si basa sui documenti, non su una presunta etica, e i documenti devono essere attendibili quanto completi, ma mai censurati da una minoranza, non importa se al potere o all’opposizione, Oggi il paradosso è che a far da sponda alla censura è addirittura la stessa classe dirigente, patologicamente inadeguata a gestire una società complessa, inclusiva a parole ma esclusiva di fatto. E l’esclusione passa anche attraverso la parola, parola negata non alle minoranze, ma alla maggioranza stessa dei parlanti.

Vedo anche che nelle università americane e inglesi stanno riducendo il numero di cattedre destinate agli studi umanistici e alle lingue e letterature classiche. Questo non è però sempre dovuto alle critiche delle minoranze radicali organizzate, ma anche al costo di un corso universitario di livello: 30.000 euro circa all’anno. Onestamente, se avessi un figlio da mandare all’università, oggi non spenderei una cifra simile se non fossi sicuro di vederla ben investita, sperando cioè in una posizione sociale adeguata alla spesa sostenuta. Dopo aver fatto il classico mi iscrissi a Lettere laureandomi in filologia romanza, ma parliamo del 1975 e già le cattedre scolastiche e universitarie non garantivano i livelli di occupazione di una laurea in economia aziendale, per cui il declino delle facoltà umanistiche si deve essenzialmente alla loro scarsa capacità di assicurare posizioni qualificate e ben pagate, specie in una società dove la cultura non conta molto se non nelle sovraintendenze e nelle carriere universitarie. Insegnanti, storici dell’arte, bibliotecari, giornalisti, lavoratori dell’editoria e funzionari di museo sono mal pagati e non hanno il prestigio sociale che meritano, quindi non trovo tanto strano che chi vuol metter su famiglia o fare i soldi scelga una facoltà di economia. Che poi le aziende americane preferiscano gli analisti informatici dotati anche di cultura umanistica fa  piacere, ma questo non toglie che chi aveva studiato latino e greco e letteratura ha dovuto in quel caso completare la sua formazione scientifica con robusti studi di matematica e informatica. Personalmente difendo il greco e il latino e soprattutto quello che descrivono: una civiltà che si è sviluppata nel tempo e nello spazio, un’esperienza completa e come tale piena di luci e ombre, ma da cui è nata comunque la nostra identità. Questa identità è inutile negarla, è più onesto accettarla nella sua complessità. E soprattutto senza facili schemi di tipo morale: l’etica è una cosa, il moralismo è ben altro. Piuttosto, dividere studi classici e studi scientifici è il retaggio di un’impostazione novecentesca forse ancora funzionale, ma che deve tener conto da un lato dell’estensione di scienza e tecnologia negli ultimi cinquant’anni (ma questo vale anche per gli studi storici, a scuola fermi alla guerra del 15-18), ma anche del nuovo rapporto fra umanesimo e scienza, che passa inevitabilmente per la filosofia. Ridefinire di continuo l’Universo in base alle nuove scoperte scientifiche (come Galileo) o accettare l’idea dell’esistenza di Infiniti Mondi (come Giordano Bruno) sono processi mentali che presuppongono un’ampiezza di vedute che va ben oltre la pura esperienza fisica, sia pur basata sul metodo sperimentale galileiano. Galileo è inoltre uno stupendo divulgatore scientifico e la sua prosa si differenzia molto dal barocco egemone ai suoi tempi.


NOTE

  1. In più, neanche è chiara la parentela fra il greco classico e l’antico macedone.
  • Un coupable presque parfait. La construction du bouc émissaire blanc, 2020. ora tradotto in italiano dall’editore Guanda: Un colpevole quasi perfetto. La costruzione del capro espiatorio bianco.

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