Quando un sottomarino fa acqua

Il 15 novembre 2017 il sottomarino ARA San Juan della Marina argentina perde i contatti con la base navale di Ushuaia, in Mar del Plata. Da quel momento inizia una frenetica ricerca del battello, ostacolata dalle proibitive condizioni meteo nel sud Atlantico. È una serie di false tracce, dichiarazioni contraddittorie e speranze mal riposte, finché la dura realtà emerge il 28 novembre, quando la Marina argentina rivela la causa della scomparsa del sommergibile. L’ultimo messaggio inviato dal San Juan il 15 novembre avvertiva: “Acqua è entrata dallo snorkel (la presa d’aria, ndr.) nella sala delle batterie elettriche e questo ha causato un cortocircuito e un principio di incendio. Procediamo in immersione con metà potenza. Vi terremo aggiornati”. Ma è l’Organizzazione del Trattato di proibizione totale dei test nucleari (Ctbto), integrata nel sistema dell’Onu, a riferire che due sue stazioni idroacustiche hanno rilevato “un evento impulsivo subacqueo avvenuto alle 13.51 GMT del 15 novembre” a una latitudine di -46,12 gradi e longitudine di -59,69 gradi. L’ultima localizzazione del sommergibile è la zona del Golfo San Jorge, a 268,5 miglia dalla costa argentina, 30 miglia dall’ultima posizione nota (1). Di sicuro dopo quel messaggio del 15 novembre non saprà più nulla del battello e dei 44 militari dell’equipaggio, tra cui la prima donna nella storia della Marina Argentina, Eliana Maria Krawczyk.
Questa la cronaca. Cerchiamo ora di capire cosa può essere successo, valendoci di fonti specializzate. Intanto il battello: classe TR-1700, varato in Germania nel 1983 ed entrato in servizio nel 1985 per la Marina argentina (ARA) con la sigla S-42, il San Juan era un classico battello a propulsione mista diesel /elettrica, 66 metri di lunghezza, 2116 tonnellate di dislocamento, 2264 in immersione (2). I motori diesel vengono usati normalmente in emersione, mentre quelli elettrici, non consumando aria, assicurano il movimento in immersione. Gli accumulatori vengono ricaricati dai motori diesel in modo analogo alle attuali macchine a motore ibrido.
Quel giorno il San Juan navigava sicuramente in immersione, le condizioni del mare in superficie essendo proibitive: vento oltre i 45 nodi e onde anche di 9 mt. E siccome il moto ondoso decresce con la profondità, non c’era motivo per navigare in superficie e venir sballottati come un tappo. E infatti il contatto radio è possibile solo se l’unità naviga in superficie o comunque con l’antenna oltre il pelo dell’acqua. Ma torniamo all’ultimo messaggio: “l’acqua è entrata dallo snorkel nella sala delle batterie elettriche e questo ha causato un cortocircuito e un principio di incendio. Procediamo in immersione con metà potenza”. Lo snorkel (dal ted. Schnorkel, trachea) è un lungo tubo di presa d’aria esterna collegato a una pompa, che serve sia al ricambio dell’aria che all’alimentazione dei motori diesel, che dell’aria non possono fare a meno. Navigando almeno a quota periscopica lo snorkel viene attivato, altrimenti la valvola di testa è chiusa ermeticamente. A sentire i tecnici, l’acqua può anche entrare nello snorkel, ma mai con effetti devastanti. Lo snorkel ha infatti almeno tre valvole: una in testa della canna (head valve) per prevenire l’ingresso delle ondate – è una sorta di boccaglio – e due in prossimità dello scafo resistente per resistere alla massima quota. Dopo la canna in genere c’è un sistema di raccolta per evitare che l’acqua entrata possa iniziare a scorrere lungo le condotte, sistema che dovrebbe avere delle sicurezze che fanno chiudere le valvole resistenti. La valvola di testa ha due contatti elettrici che in acqua vanno in corto e chiudono automaticamente la valvola. Se il battello scende sotto la quota di snorkel il valvolone si chiude e a bordo se ne accorgono subito: il diesel è in funzione pomperà l’aria dall’interno del battello, creando un’improvvisa depressione. Poca acqua può anche entrare se il mare è in tempesta, ma viene raccolta in un apposito pozzetto che poi viene esaurito con pompe di drenaggio. Ma se il valvolone di testa ha un difetto meccanico o elettromeccanico, allora di acqua ne entra tanta e rapidamente. Nel caso del San Juan la reazione dell’equipaggio può essere stata tardiva: il messaggio radio parlava di acqua passata dallo snorkel ed entrata nella sottobatteria di prora, provocando un principio di incendio. Non è chiaro se l’incendio si è sviluppato nel locale o sugli interruttori di sicurezza, né è chiaro se le batterie avessero perso di potenza prima ancora di andare in corto a contatto dell’acqua salata. Perché infatti risalire a quota snorkel con quel mare se non per dover ricaricare gli accumulatori coi motori diesel? Credevano quindi di aver arginato il problema, poi qualcosa è andato storto. Il vano batterie è per ovvii motivi ben isolato, quindi suggerisco l’ipotesi di una progressiva perdita di potenza o un’avaria grave alle batterie precedente alla manovra di risalita e all’ingresso dell’acqua dallo snorkel, che ha mandato tutto in corto producendo gas tossici (cloro, idrogeno). Questo può aver paralizzato la reazione dell’equipaggio: anche un’avaria al quadro di propulsione (che smista l’energia elettrica delle batterie e dei generatori) doveva comunque permettere l’emersione di emergenza (nel San Juan ad aria, a idrazina nei battelli più moderni. Si tratta di una sostanza che a contatto con l’acqua sviluppa gas e gonfia i cassoni). Non solo: ogni battello è dotato di più di un dispositivo di sicurezza capace di comunicare in caso di avarie posizione o comunque lanciare un SOS. Non c’era la boa EPIRB, che si stacca automaticamente e lancia un segnale satellitare di soccorso, ma doveva esserci almeno il trasmettitore subacqueo di emergenza, che si attiva manualmente o automaticamente e funziona a batteria anche per 10 giorni. Ma il vero problema è che il battello, ormai senza energia elettrica e/o appesantito dall’acqua entrata, quindi con le pompe di esaurimento e gli impianti per l’emersione di emergenza pressoché bloccati e un’aria interna degradata da gas, fumo e fiamme, a quel punto è andato a fondo con tutto l’equipaggio. Non esiste mai una sola causa e i nostri sommergibilisti sono addestrati in modo maniacale agli interventi di emergenza, in modo da sviluppare automatismi comportamentali. L’emersione rapida è possibile se il battello è dotato di un impianto di esaurimento rapido delle casse zavorra con funzionamento manuale e non solo elettrico, e comunque la manovra manuale è lenta, sempre che ci sia il tempo di attuarla. Sicuramente è mancata la propulsione, un grande aiuto per tornare verso la superficie, forse per i danni dell’incendio o forse per l’allagamento delle altre sottobatterie. La rotta era al limite della piattaforma continentale, ma l’implosione è avvenuta a una profondità relativamente bassa (388 mt.), causando la morte istantanea di tutto l’equipaggio fino a quel momento sopravvissuto.
Ma passiamo dunque alle batterie e alla loro presunta combustione senza fiamma. Il San Juan aveva subito tra il 2008 e il 2014 una revisione, eseguita dai cantieri argentini Cinar di Buenos Aires, un’azienda statale. Furono sbarcati e revisionati completamente o sostituiti i quattro motori diesel, il motore elettrico di propulsione e i 960 elementi delle batterie. Ma per permettere lo sbarco degli elementi di grandi dimensioni che non potevano passare dai due portelli d’imbarco esistenti a bordo, durante i lavori fu necessario tagliare letteralmente in due lo scafo del San Juan che venne poi nuovamente saldato. Come si può facilmente immaginare, visto che i sottomarini sopportano forti sollecitazioni, non sono lavori che può fare un cantiere qualsiasi, in un paese afflitto oltretutto da una lunga e devastante crisi economica e aziendale. Un’indagine del ministero della Difesa argentino ha dimostrato poi che la Marina del paese ha commesso violazioni nelle regole per l’acquisto delle batterie: i rappresentanti della Marina non avevano seguito le norme regolamentari per la riparazione del sottomarino e la sostituzione delle batterie, e l’acquisto delle batterie era stato gestito nell’interesse di alcuni fornitori. I risultati di questa indagine coincidono con i dati della Gestione generale del controllore dell’Argentina, che conferma la presenza di irregolarità. Anche i tecnici di controllo hanno scoperto che, a causa del ritardo del processo di acquisto, sono state acquistate batterie scadute. Secondo informazioni dei portali tedeschi BR Recherche e ARD-Studio Südamerika, due aziende tedesche si sarebbero accaparrate la sostituzione dei dispositivi pagando delle tangenti e installando prodotti di qualità scadente per risparmiare. In occasione di una revisione completa del “San Juan” conclusasi nel 2011, la Ferrostaal e la EnerSys-Hawker avevano ottenuto un contratto per la consegna di 964 celle per un importo di 5,1 milioni di euro. Secondo quanto indicato da alcuni politici argentini, è praticamente certo che le due aziende tedesche abbiano pagato delle tangenti per ottenere quella commessa. Un’accusa depositata nel 2010 in tal senso era finita in un insabbiamento. Riguardo alla qualità della merce consegnata, ecco il commento ufficiale: «Sussiste il sospetto che le batterie non fossero, in parte o per niente, della qualità che avrebbero dovuto essere … non sappiamo nemmeno da dove venissero, se dalla Germania o da un altro Paese». Purtroppo il prezzo l’hanno pagato i marinai.

NOTE

 

 

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