Tutti gli articoli di Luigi M. Bruno

La Migrazione dimenticata

lmb-la-migrazione-dimenticata-il-cammino-della-speranza-1Per chi ha dimenticato e per chi non sa cosa è stata l’emigrazione degli italiani negli anni ’50 (l’ultimo nostro grande esodo in cerca di lavoro dei poveri dai paesi e dalla provincia), per chi non ricorda o non può sapere la pena, la fatica, l’umiliazione dei nostri fratelli di allora, dovremmo tutti rivedere il film “La ragazza in vetrina” di Luciano Emmer del 1961, dove è descritta la terribile esperienza del lavoro in miniera per chi fuggiva dalla fame per andare a morire in fondo alle gallerie!… (E qui confesso la mia emozione nel riconoscere fra i minatori nientemeno Totò, un bel giovanottone figlio di poveri contadini, Totò che ricordo bene fuggì dal paese, io ero bambino, per andare a lavorare in miniera e che poi, ritornato, ci raccontava di questo film e della particina che aveva avuto nella storia)…. E ancora, per chi ha dimenticato chi siamo e cosa la nostra povera gente ha vissuto, dovrebbe rivedere l’odissea dei solfatari siciliani in fuga verso la Francia nel bellissimo film di Pietro Germi “Il cammino della speranza“.

Sono documenti di umanità e di verità che dovrebbero far rivedere nelle scuole, ai ragazzi che vivono attaccati ai vari tablet e smartphone, e che nemmeno alzano la testa per guardarsi intorno.

Che ne sanno dei nostri padri e fratelli di allora? Della loro pena, del loro coraggio e della loro speranza?… RICORDIAMOLI!

Luci in fondo alla notte

arte-lmb-sabrina-carletti-5118253_body_maps_01L’urlo e il silenzio, notti e fuochi improvvisi, gelo di solitudini e amoroso furore nello stringersi al nodo carnale, intimo senso e appartenenza nell’umano ritrovarsi, circondati da tenebre e penombre siderali, là dove nel cuore dell’oscurità il seme dell’uomo getta il miracolo del suo dolce e straziante esistere.

Così nella pittura di Sabrina Carletti, nella pena corporea di mani e occhi come ciechi cercarsi, così nei crepuscoli di deserte stazioni, grumi notturni di città desolate o nel loro tiepido albeggiare, vive e germoglia la sua forte matrice espressionista, il senso e la fede profonda, viscerale, del proprio vissuto come ragione e nuce di un mondo ora lontano e misterioso come remota costellazione, ora vicino e annodato fin negli umori della nostra pelle.arte-lmb-sabrina-carletti-4328215_copia_di_dis-velo

I grigi azzurrati, ferrosi, solcati da segni crudeli come ferite, così come i caldi accenti di vermigli e terre sono sapienti, consapevoli distillati di una cottura alchemica intima e oscura, là dove nel segreto del suo cercarsi l’artista fà del suo racchiuso orizzonte spazio e respiro di un cerchio più vasto, là dove la pena del proprio esistere si fà germe e concepimento d’universale comprensione.

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Arte Astratta- Arte Distratta 2

arte_astratta_distrattaA proposito della pittura astratta, ancora è in auge la logora e sciocca frase dell’ignaro spettatore; “….Ma questo saprei farlo anch’io!”.
Si deve dire che sì, nel passato e forse ancor più oggi, eserciti di mediocrissimi pseudoartisti si sono rifugiati furbescamente in un “astratto” pasticciato, sciatto e volgare, avvalorando l’antica frase di Nietsche a proposito dei falsi profeti; “…che intorbidano l’acqua del catino perché sembri più profonda…”.
Ma noi sappiamo bene che tutti i grandi astrattisti hanno avuto trascorsi figurativi di alta qualità, esperienza e maturità artistica a tutta prova.
L’astratto non è il “refugium peccatorum” degli incapaci, né il gioco aleatorio di chi ancor oggi tira a stupire l’impreparato spettatore.
Se c’è una ricerca che va nel profondo è la ricerca dell’astrazione, essa non è il puro e semplice pretesto di chi è inadeguato per la Realtà ma, al contrario, è il massimo dell’attenzione per il fenomeno, è un Realismo che va oltre la superficie illusoria delle cose, indagando fino alle ultime conseguenze moventi, connessioni e forze che sono alla radice degli eventi universali, perché sappiamo bene che in ogni frammento, pur apparentemente insignificante, si cela il senso e la ragione del Tutto.
Perché le leggi dell’Assoluto si manifestano allo stesso modo nell’infinitamente piccolo come nell’infinitamente grande.

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Dello stesso argomento:

ARTE ASTRATTA E ARTE DISTRATTA 1

DISINCANTATA RIFLESSIONE SU CERTA ARTE CONTEMPORANEA

EVOCAZIONE ED AMBIGUITÀ NELL’OPERA D’ARTE

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L’Uno e gli Altri

Si parla spesso in questo nostro occidente (apparentemente) evoluto e tollerante della “diversità” e delle problematiche, spesso drammatiche, legate al “diverso”. Ma dalle prime pagine, dagli approfonditi saggi di filosofi e sociologi, fin nei salotti più colti e avveduti, la diversità di cui si discute è principalmente quella sessuale.
Non che non abbia l’omosessualità tuttora ,anche dalle nostre parti, talvolta risvolti preoccupanti se non addirittura tragici. Ma mi sembra di poter dire che non vivendo in una società di severa repressione morale e di fanatico integralismo religioso, la diversità sessuale sia se non universalmente accettata come assolutamente “naturale”, certamente ampiamente tollerata e anche giuridicamente in via di equanime risoluzione. Fatte salve ovviamente le eccezioni, spesso drammatiche, che sono conseguenze di ambienti arretrati e di depressioni culturali che sono “sacche” di violenza e di intolleranza. Non voglio esagerare ma credo che, oggi come oggi, la diversità preoccupante e meno accettata dalla società sia altrove.
Sia nella “diversità” congenita e necessaria di chi per temperamento, per scelta culturale e di vita, e sopratutto per diversa e “alternativa” percezione della realtà, è automaticamente relegato ai margini della collettività. Poeti, artisti, filosofi, ma anche individui di non particolari talenti estetici o scientifici, semplicemente perché non si immedesimano nella massa, non volendo e non potendolo fare, si trovano a impantanarsi nelle paludi mortificanti dell’emarginazione, dell’incomprensione,se non del rifiuto intollerante che è conseguenza (individuo/società) di una reciproca incompatibilità.
Purtroppo non tutti questi individui possono elevarsi al rango di genialità magari non amate ma comunque ammirate e rispettate (Beethoven, Michelangelo, Leonardo), genialità che pur nell’eccellenza del loro indiscutibile talento hanno sofferto i drammi della diversità. Ma si deve considerare il limbo deprimente della solitudine in cui,pur nelle nostre civilissime società, il “diverso” è relegato senza alcuna gratificazione culturale. Eppure si pensi che tale individuo, malcompreso, trascurato, o addirittura ritenuto superfluo e ingombrante, rappresenta pur il sale necessario, o se preferite la goccia d’aceto o d’amaro, che porta alle necessarie riflessioni sui valori effettivi di un pur civile consesso umano. Riflessioni e considerazioni malviste e intollerabili (pensate alla fine che fa il grillo che rimprovera Pinocchio!) perché distolgono dal godimento di una apparente ma appagante sensazione di “appartenere” al proprio tempo.
Perché la “diversità” in quanto tale si pone sempre in posizione critica e di inesorabile approfondimento di fronte alle cose e ai fatti ai quali pur esso appartiene per necessità storica.
Insomma, a dirla tutta, colui che è diverso dalla massa, astenendosi dai suoi rituali e dalle sue omologazioni, si pone di conseguenza alla giusta distanza dai fenomeni sociali e umani per osservare senza esserne travolto, assurdità, contraddizioni, menzogne e superficialità.
Tale individuo naturalmente, non omologandosi e non assecondando le universali e indispensabili illusioni di chi gode del suo tempo nel flusso irresistibile dell’onda generazionale in una reciproca accettazione delle regole inderogabili dello stare insieme:(fare le stesse cose negli stessi tempi e modi), non può essere bene accetto e tanto meno amato dalla massa.
Di conseguenza nella contemporaneità esso sarà sempre necessariamente sconfitto perché i molti preponderano sempre sull’uno, anche se talvolta, nelle conseguenze di una società che si trasforma criticamente, l’opera o semplicemente l’esempio, la presenza, la qualità del “diverso” viene ripresa in considerazione e riqualificata.
Questo nei casi e nelle eccezioni di personalità particolarmente forti ed emergenti. Per il diverso “comune” (contraddizione in termini!): l’asociale, l’introverso, il barbone, lo scontento, il misantropo, non resta che rassegnarsi alla sua “diversità” senza nemmeno compensi o riconoscimenti postumi, o tuttalpiù può tentare l’inganno, per sé e per gli altri, di un “inserimento” fallace e penoso in una massa che non comprende e non ama e da cui non è amato e compreso.

Il Racconto dei Racconti

Matteo Garrone, altro talento italico della nostra ultima fortunata covata, insieme all’ormai celebrato Sorrentino, al napoletano Martone e pochi altri battaglieri “sudisti”, si lancia con “Il Racconto dei racconti” nell’Olimpo grottesco e crudele delle arcaiche fiabe seicentesche dello “Cunto delli cunti” del Basile, curioso genio di certo cupo barocchismo. E cupe, tetre, feroci fino all’orrido sono per tradizione le antiche fiabe nostre, fatte più per terrorizzare i piccini che per indurli al sonno. Orchi, mostri, draghi, antropofagi, tiranni, streghe e quant’altri ha accumulato nei secoli l’immaginario collettivo di remote civiltà annichilite dallo sgomento del delitto e della morte.
Il grande, indimenticabile, Francesco Rosi (altro uomo del sud!) col suo “C’era una volta” si era già tuffato con affetto nelle memorie della favolistica delle antiche novelle, ma l’aveva fatto con lo spirito e la grazia del geniale umorista, risparmiando come un nonno gentile gli orrori ai nipotini e gratificandoli del rassicurante:”. E vissero felici e contenti”. Garrone non ha pietà per i bimbi buoni, si rivolge agli adulti e alle loro paure nascoste. Nulla ci viene risparmiato, la galleria degli orrori è lunga e tenebrosa, ma i colori, le luci, le tenebre, cielo e terra, tutto è svelato con mano geniale, da pittore “maledetto”, curioso di anatomizzare pur i più fetidi cadaveri. Giù nella terra grassa fremono gli istinti più atroci:vanità, follia, orgoglio, i soprusi dei potenti, più sù, nell’aria di nuovo chiara e innocente di infantili aurore, si specchia come il risveglio d’un fanciullo dai suoi incubi notturni.
Le fiabe di Garrone, a dirla tutta, ci han preso e convinto nonostante a Cannes fossero in seconda fila rispetto all’attesissimo “la Giovinezza” di Sorrentino, un’opera levigatissima di sontuose citazioni filosofiche, in una specie di autocelebrazione molto compiaciuta, troppo compiaciuta di sé….

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Cinema Il racconto dei racconti locandinaIl racconto dei racconti
Tale of Tales

Un film di Matteo Garrone
Con Salma Hayek, John C. Reilly, Christian Lees, Jonah Lees, Alba Rohrwacher, Massimo Ceccherini, Laura Pizzirani, Franco Pistoni, Giselda Volodi, Giuseppina Cervizzi, Jessie Cave, Toby Jones, Bebe Cave, Guillaume Delaunay, Eric MacLennan, Nicola Sloane, Vincenzo Nemolato, Giulio Beranek, Davide Campagna, Vincent Cassel, Shirley Henderson, Hayley Carmichael, Stacy Martin, Kathryn Hunter, Ryan McParland, Kenneth Collard, Renato Scarpa
Fantasy, Ratings: Kids+13,
durata 125 min.
Italia, Francia, Gran Bretagna 2015.
01 Distribution

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