Tutti gli articoli di Roberto Cristini

Un volto antico, per una musica moderna

Una musica trasgressiva e stimolante, quella di Kirk, che traeva la sua fonte di ispirazione dal ricco patrimonio musicale e dal folklore afroamericano: dal blues (del quale era un grande interprete e un prolifico compositore), alla church music, al soul.

Il tempo ha la straordinaria capacità di lasciare intatta dietro di sé, una quantità di ricordi e di sensazioni che possono affiorare improvvisamente, e inaspettatamente, a distanza di anni, per dar vita a rinnovati stimoli e a percezioni concernenti una sfera della realtà mai dimenticata; crepitante sotto le ceneri della storia minore in esilio temporaneo nel subconscio collettivo. L’eredità del passato, alla stregua di un fantasma jamesiano, vaga irrequieta alla ricerca della sua identità dissolta ma immanente, altrimenti incorruttibile. “La carne è sepolta – fa dire William Goyen a un personaggio protagonista della novella: Raccontami la storia della povera Pezzie – ma abbiamo ancora il fantasma. La tomba della povera Pezzie contiene soltanto metà della storia … l’altra resta ancora da dire”.

Faccio mia questa citazione al preciso scopo di presentare il “fantasma” di un musicista di jazz, conosciuto soprattutto fra la ristretta cerchia degli appassionati: mi riferisco a “Rahsaan” Roland Kirk.

Nato a Columbus, Ohio, nel 1936, Kirk ebbe una infanzia di vicissitudini: rimase infatti cieco all’età di due anni, e questa tragica esperienza segnò per sempre la sua vita. Dedicatosi fin da giovanissimo agli studi musicali, Kirk iniziò a suonare in piccole formazioni locali da lui stesso capeggiate e in seguito nelle allora famose Territory Bands. Lo scoprì a Chicago, quasi per caso, il noto critico musicale Joachim Berendt, sul finire degli anni ’50, quando il nostro suonava tre sassofoni contemporaneamente per le strade del South Side: allora per un pubblico costituito in gran parte da passanti frettolosi, bambini incuriositi, prostitute e lenoni occupati al gioco d’azzardo. Sempre Berendt ebbe il merito di proporlo all’attenzione della ribalta europea, dove ben presto Kirk si guadagnò la stima dei colleghi musicisti e della critica che, sulle prime, lo accolse favorevolmente per la veemente carica espressiva che lo caratterizzava, e per l’esuberanza della sua musica viscerale e swingante che ben sapeva coniugare la lezione del bop all’avanguardia. Una musica trasgressiva e stimolante, quella di Kirk, che traeva la sua fonte di ispirazione dal ricco patrimonio musicale e dal folklore afroamericano: dal blues (del quale era un grande interprete e un prolifico compositore), alla church music, al soul.

Il polistrumentismo, l’aspetto scenico e teatrale, sono elementi caratteristici e inconfondibili della sua musica; concepiti forse inconsciamente al fine di mitigare quasi per incanto l’impietosa barriera della cecità.

Grazie alla tecnica della respirazione circolare, che gli consentiva una emissione continua di fiato, Kirk era in grado di suonare più strumenti simultaneamente e di ingaggiare delle estenuanti chases con sé stesso.

Possedeva, oltre agli strumenti canonici, una collezione di aerofoni e idiofoni davvero impressionante, fra cui spiccavano per singolarità: il manzello, una sorta di sassofono soprano in si bemolle, dalla campana più lunga e lievemente incurvata, lo stritch, simile al sassofono contralto ma modificato nella tastiera. Strumenti antichi e di origine spagnola che aveva scovati presso il negozio di un rigattiere. A questi si aggiungevano una serie di flauti e fischietti e di strumenti assemblati bizzarramente da lui stesso ideati: il “Surolophone”, una specie di trombone giocattolo con l’imboccatura del sassofono, le “Black MisteryPipes”, strumenti a fiato in bambù forniti di una campana metallica, e ancora carion dall’intenso potere evocativo, come la sua “evil box”, annoniche e un piccolo registratore completo di nastri preregistrati che gli consentivano, nel corso dello spettacolo, di duettare e di dialogare con personaggi e musicisti del passato.

Quando questo eclettico one-man-band entrava in scena, accompagnato da una selva di strumenti appesi al collo e altri nella campana del sassofono, si poteva assistere a uno spettacolo nello spettacolo; ma il tutto mai a discapito della buona musica che sapeva elargire al pubblico con classe e generosità. Per la sua innata predisposizione alla teatralità, fu spesso accusato di eccessivo istrionismo fine a sé stesso, di essere, in poche parole, un bonario intrattenitore circense. Niente di più falso. Basti ascoltare, con attenzione, la grande messe di incisioni pubblicate nel corso di circa un ventennio di attività e che rivelano, pur con qualche comprensibile flessione creativa e obiettive cadute di gusto, un artista completo e originale, difficilmente classificabile; anticipatore tra l’altro di alcune tendenze musicali del jazz contemporaneo, e non solo (vedi New Age e World Music), ma soprattutto, che attende ancora oggi di essere studiato seriamente.

(1 continua)

da EcoTipo – L’Evasione Possibile

Jazz: Non solo in Note

Il jazz, vissuto come emblema chiarissimo di protesta sociale e politica, oggetto e desiderio di trasgressione, emerge dalla trama del film di R.S. Leonard, Swing Kids, Giovani Ribelli. Nella Germania tormentata dal diffuso spirito di intolleranza, un gruppo di giovani studenti, al grido di “Swing Heil”, preferisce la bandiera del jazz americano a quella sinistra della svastica.

Un tema, questo, di grande attualità, che trova una puntuale conferma anche nel saggio illuminante dovuto alla penna del noto critico e musicista americano Mike Zwerin, intitolato Musica Degenerata, tradotto ora. in italiano per i tipi della casa editrice Edt. L’autore ripercorre le tappe fondamentali che hanno fatto seguito al fiorire e poi alla rapida diffusione della musica sincopata del Terzo Reich, durante gli anni di piombo del Nazismo, quando ogni espressione artistica non in sintonia con i canoni estetici del regime totalitario, veniva brutalmente bandita.

La carica protestataria e dirompente, connaturale a questo idioma, risolta in chiave allegorica fa da sfondo ai racconti di Josef Skvorecky (Il sax basso, Adelphi, attualmente in corso di ristampa). Diversa per intensità ma ugualmente avvolgente la tematica sulla “jazzità” presente nel romanzo della scrittrice afroamericana Toni Morrison: Jazz, edito da Sperling & Kupfer – Frassinelli. A metà strada fra il saggio e il romanzo si colloca, infine, il libro dell’inglese Geoff Dyei: Natura morta con custodia di sax, Instat Libri.

Ricognizione appassionante, svolta con fraseggio agile e discorsivo, attraverso le vicende artistiche e umane, gli aneddoti, relativi agli uomini del jazz, ma non solo.

Per coloro che amano l’immagine fotografica e pittorica del jazz, segnaliamo, infine, California Cool, edito da CoHins&Brown.

da EcoTipo – L’Evasione Possibile
del settembre 1993

Le Mille e una Notte italiane

Una piccola mostra per due grandi artisti, Cambellotti e Zecchin, riuniti idealmente nella rivisitazione figurativa di una celebre raccolta di novelle orientali: Le Mille e una Notte, fiabe evocative, esotiche che alimenteranno non poco il mito dell’Oriente misterioso. Una testimonianza letteraria di larga popolarità, il cui influsso sull’immaginario popolare e sui costumi sociali sarà determinante nella definizione antropologica ed epocale del secolo XX.

Di Vittorio Zecchin, artista muranese, di forte impronta klimtiana, vengono qui presentati sei dei dodici pannelli originali, dipinti nel 1914 per la della sala da pranzo dell’Hotel Terminus a Venezia e oggi di proprietà della Galleria d’Arte Moderna di Ca’Pesaro; oltre a una serie di vasi in vetro soffiato, che l’artista realizzò per la ditta muranese Cappellin & Co.

Per quanto concerne l’opera di Duilio Cambellotti, protagonista della stagione modernista italiana, sono presenti venti piccole tempere, di raffinata eleganza, conservate presso l’archivio dell’artista ed eseguite tra il 1912 e il 1913. Esse andranno ad arricchire l’apparato iconografico del libro Le mille e una notte, nella versione pubblicata in due volumi (Collana Biblioteca dei Ragazzi), dall’Istituto Editoriale Italiano di Milano nel 1914.

Arricchisce l’esposizione una selezione accurata di pubblicazioni della celebre raccolta di fiabe, tra le quali spicca la prima edizione in lingua francese di Antoine Galland.

A completamento dell’allestimento assai sobrio, sono disseminate lungo il percorso testimonianze  della cultura orientale dal forte potere evocativo:due mattonelle di produzione iranica databili tra il XVIII e il XIX secolo, raffiguranti cavalieri, dame e rigogliosi giardini. Non poteva mancare in questa cornice l’immancabile lucerna a olio, che ha il suo naturale riscontro nella “lampada”della novella dove il protagonista è proprio lui: Aladino.

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06 Mostre Mille e una Notte italiane 864393fd3754a32fa88b426b81e58ed1a3464cVITTORIO ZECCHIN, DUILIO CAMBELLOTTI

e le Mille e una Notte

Fino al 3 marzo 2014

Roma

Museo Boncompagni Ludovisi per le Arti Decorative

via Boncompagni, 18

Ingresso libero

Informazioni:

Tel. 06/32298328

Sito web

Orario:

martedì – domenica, 8.30 – 19.30

(ingresso fino alle 19.00)

chiuso il lunedì

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 06 Mostre Mille e una Notte italiane 5663

 

L’onirica antropologia

Nella splendida cornice della biblioteca romana è di scena una mostra davvero interessante che coinvolge lo spettatore come poche, oltre i limiti ambigui del sensibile; in quella sfera sospesa tra il reale e l’onirico. Terra di tutti e di nessuno. Protagonista un artista collaudato come Gianluigi Mattia. La sua vecchia militanza artistica si rinnova in questa esposizione, offrendo pause di riflessione e, soprattutto, tesa a favorire nello spettatore il cammino a ritroso nel tempo, in una cronistoria dove antropologia, scienza, psicanalisi sono divulgate attraverso il segno sicuro di matrice ancora espressionistica, nella bellissima serie delle Maddalene erratiche ed erranti: “divinamente sadomasochiste, tremendamente soffuse nel loro urlo”.

Perché in Mattia, nel suo “modus operandi” polivalente e polimaterico, possiamo rintracciare e ripercorrere le tappe salienti degli “ismi” novecentisti; racchiusi in una felice sintesi di suggestioni letterarie e artistiche assai originali e personalissime.

Il proprio vissuto si riflette come in uno specchio nel foglio o nella tridimensionalità delle sculture polimateriche che tutto assorbono.

I personaggi rappresentati, tangibili ed esuberanti o evanescenti e dilavati, sono gli eroi maggiori  di un mondo epico e regale. Essi interpretano in chiave pirandelliana il modo di sentire e di essere dell’artista: sciamano e demiurgo, che tutto osserva e annota nel suo personale diario di intimità recondite.

Rilevo il lui una particolarità assente in tanta arte contemporanea: l’universalità e il diacronismo nel fare storia con le immagini. Un modo di raccontare, sentire e raffigurare da affabulatore. Le sue citazioni rappresentano il fulcro centrale dell’essere, il suo DNA. L’esteriorità figurale che osserviamo è cruda cronaca odierna senza orpelli o edonismi superflui. Scorre, graffia e lascia cicatrici evidenti nelle nostre coscienze.

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06 Mostre Gianluigi MattiaANTROPOLOGIA DEL PENSIERO ERRATICO

Gianluigi Mattia

Sino al 17 febbraio 2014

Biblioteca di Archeologia e Storia dell’Arte

Sala della Crociera

via del Collegio Romano 27

Orario:

lunedì 14.00 – 19.00

mercoledì 9.30 – 17.00

giovedì 9.30 – 13.30

Ingresso:

gratuito

Informazioni:

tel. 06/69770053

http://www.gianluigimattia.com/

http://www.archeologica.librari.beniculturali.it/

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La ritualità dell’immagine

Il Giappone è in mostra con 125 fotografie originali realizzate fra il 1860 e i primi anni del Novecento, realizzate dai grandi interpreti europei e giapponesi, finemente ritoccate e dipinte a mano dagli stessi artisti che realizzavano le stampe dei maestri dell’arte giapponese: come Hiroshige e Utamaro. Gli scatti, come dicevamo, sono opera in gran parte di fotografi europei e giapponesi che intendevano rispondere, innanzitutto, al bisogno irresistibile dei viaggiatori occidentali di portare con sé album- souvenir; il ricordo di un paese che appariva straordinario agli occhi dell’immaginario collettivo dell’Occidente.

Documento di carattere storico e antropologico e di armonica quotidianità, dove l’esotismo si coniuga con l’arte fotografica ed il pittoricismo. Il percorso si dipana attraverso itinerari tematici: il contesto paesaggistico, in cui si muovono uomini e donne impegnati nelle loro attività domestiche e cerimoniali. L’universo del sacro, scandito dal tempo del rito e della festa; la dimensione idealizzata, segreta ed edonistica, nei modelli di sublime bellezza femminile asiatica; la quale si imporrà come una sorta di cliché destinato a durare nel tempo.

Chiudono la mostra due sezioni dedicate agli eroi per eccellenza della cultura giapponese: sàmurai, kendoka, lottatori di sumo tatuati e gli attori del teatro Kabuchi.

 

Di diverso carattere l’esposizione dedicata a Kubrick segnatamente ai cinque anni cruciali per la sua formazione, fra il 1946 e il 1950 periodo nel corso del quale la sua fotografia risulta essere la radice di quello che diventerà di lì a poco il suo cinema.

La mostra, assai vasta, presenta ben 160 fotografie. È stata realizzata in collaborazione con il Museo reale del Belgio che l’ha ospitata nella scorsa primavera. Si tratta di scatti straordinari, stampati per l’occasione dai negativi originali conservati al Museum of the City of New York.

La città natale è il primo grande soggetto della sua straordinaria capacità di visione. New York la protagonista assoluta degli scatti. Un viaggio in itinere lungo le strade di Manhattan frequentate da una curiosa umanità colta nell’attimo fuggente del proprio vissuto quotidiano. Mickey, il ragazzino che in città lustra le scarpe, i nuovi gladiatori, i protagonisti del mondo del pugilato, duro e violento dai profondi risvolti umani. E ancora, la borghesia sofisticata all’inaugurazione di una mostra, le atmosfere silenti della “Subway”. Un grande affresco popolare, realistico e, a volte, contrassegnato da un tragico lirismo.

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 Genova

Palazzo Ducale

Dall’1 maggio al 25 agosto 2013

http://www.palazzoducale.genova.it/

 

Mostre Genova Geìshe Samurai e Kubrick Geishe e samuraiGeìshe e Samurai

Esotismo e fotografia nel Giappone dell’Ottocento

Tel. 010/542285

http://www.giapponegenova.it/

 

Mostre Genova Geìshe Samurai e Kubrick Stanley Kubrick fotografo logoStanley Kubrick fotografo

Tel. 010/5574065

http://www.mostrakubrick.it