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Alle radici della corsa (e dell’umanità)

In occasione della ventesima edizione della Brescia Art Marathon (BAM) si è inaugurata a Brescia, nel magnifico complesso museale di Santa Giulia, la bella mostra “Discovery Kenya – The Roots of Running” del fotografo romano Massimiliano Verdino, programmata per la primavera del 2020 e rimandata fino ad oggi a causa della pandemia.

La mostra nasce da un progetto che Verdino, fotografo e antropologo, già noto per i suoi originali reportage fotografici sugli aspetti antropologici, sociali ed estetici dello sport nel continente africano – ricordiamo a questo proposito la mostra “Polvere d’oro”, sulla Coppa d’Africa di calcio – ha portato avanti negli anni con la collaborazione del medico sportivo Gabriele Rosa, allenatore di maratoneti campioni a livello mondiale.

Le foto sono state realizzate proprio “dove tutto è iniziato”, nella Rift Valley, dove un nostro lontano antenato in un certo momento della storia del mondo si è alzato in piedi e ha cominciato a camminare, e subito dopo a correre, su due sole gambe, dando così inizio alla storia dell’uomo.

Nello stesso luogo il dott. Rosa più di venti anni fa ha aperto un centro sportivo dove giovanissimi talenti keniani hanno la possibilità di aggiungere al talento innato la tecnica, le regole, l’istruzione e l’autostima che li può portare a gareggiare ad alti livelli e a diventare anche campioni olimpici e mondiali, come è successo a Paul Tergat, Moses Tanui o Brigid Kosgei.
Proprio le ragazze sono sempre più presenti in questa realtà che offre loro la possibilità di uscire dagli schemi di una cultura che relega la donna alla vita matrimoniale, realizzarsi come donne e come atlete e anche diventare imprenditrici di se stesse più e meglio degli uomini alla fine della carriera.

Le immagini di Massimiliano Verdino illustrano tutto questo percorso senza bisogno di parole: la fatica, la disciplina, la polvere gialla sotto il sole cocente, la fierezza delle giovani atlete, ma anche la gioia della festa, che ogni anno si svolge al centro di Eldoret, a cui accorrono centinaia di giovanissimi nella prospettiva di farne parte, l’esuberanza dei bambini, delle bambine, e l’orgoglio dei genitori. La corsa, da tradizionale mezzo di locomozione diventa il mezzo per un possibile riscatto sociale.

L’allestimento della mostra è perfetto, come anche la qualità delle stampe, per ricondurci là dove tutto è iniziato.


Massimiliano Verdino
DISCOVERY KENYA – THE ROOTS OF RUNNING
Mostra fotografica
Dal 12 al 27 marzo 2022

Museo di Santa Giulia. Gallerie Laterali dell’Auditorium
via G. Piamarta 6.
Brescia

da venerdì a domenica 10-18
Ingresso gratuito


Grigori Galitsin: Foto lontano dai clamori

Non so quanti conoscano l’opera fotografica di Grigori Galitsin. A vederlo, non ha niente del fotografo glamour, sembra più un contadino uscito da un racconto di Tolstoji. Nato nel 1957 in Ucraina (URSS), si è diplomato a Leningrado studiando prima pittura e poi fotografia, iniziando a lavorare nel 1997 con una Leica donata da suo nonno che l’aveva comprata da un ufficiale tedesco. Trasferitosi a Volgograd (già Stalingrado) nel 1996, l’anno successivo vince un premio Kodak e soprattutto inizia a specializzarsi nella fotografia erotica, alimentando i primi siti web del genere: MET-ART e DOMAI e poi gestendone dal 2002 uno tutto suo, Galitsin Archives. Entra in società col suo collega norvegese Petter Hegre (anche lui dedito alla foto erotica) per litigarci nel 2004 e fondare Galitsin News, seguito nel 2006 da Nud-Art. A Volgograd lo studio era nel suo appartamento e la sua attività era ignota ai vicini, al massimo incuriositi dal suo alto tenore di vita. La maggior parte delle foto era scattata nei dintorni di Volgograd o in un albergo di Mosca. I primi guai li ebbe con l’India, dove in un “salone” aveva realizzato un servizio sul massaggio ayurvedico non gradito alle autorità indiane. Il video era stato postato su Galitsin News. Ma il peggio doveva venire: nel 2006 fu arrestato insieme alla moglie Irina (1) dalle autorità russe con l’accusa di aver violato gli articoli 133 e 242.1 del Codice penale russo (coercizione tramite ricatto per commettere atti sessuali; produzione e diffusione di materiale pornografico con minori). Il 26 ottobre Galitsin si appellò direttamente a Putin, ma ancora nel 2007 il processo non si era concluso. Nel 2009 lui e la moglie uscirono di prigione, anche se la vicenda ebbe ancora strascichi giudiziari. Nell’ottobre del 2014 lui, la moglie e i due bambini (ora sono tre) si trasferiscono in una fattoria nel distretto di Volgograd dove i risparmi erano stati investiti in un’azienda modello per l’allevamento di una rara specie di suini pelosi, i “Mangalica”, e facendo foto solo in famiglia (2). Il suo unico fotolibro in circolazione, Galitsin’s Angels, sul mercato del collezionismo viene venduto a non meno di 250 euro (3), Recentemente il nostro fotografo ha timidamente ripreso la sua attività, segno di un atteggiamento diverso del governo russo verso l’erotismo: Galitsin ha una pagina Facebook e soprattutto si finanzia attraverso il sito Patreon, che permette agli abbonati di avere foto esclusive, seguire le prove in studio e corrispondere direttamente con lui. Posso testimoniare che il Maestro risponde anche sulle domande tecniche (luci, obiettivi, etc.), cosa che non tutti i fotografi fanno. Le sue foto sono raffinatissime, ma lui resta un uomo alieno da qualsiasi mondanità.

E parliamo delle foto. Protagonista assoluto è il corpo femminile, ma non straniato come in Helmut Newton o apparentemente freddo come in Petter Hegre, né ancora falsamente verginale come in David Hamilton. L’innocenza si direbbe un optional. Sono donne giovani e spesso diverse una dall’altra (la Russia è un paese immenso), ma sempre profondamente femminili, ora immerse nella natura, ora riprese in scenografie minimaliste, con un attento uso della luce. Grande cura per i dettagli: un cappello, un fiocco, un oggetto di trovarobato. La bellezza è nella semplicità, anche se si capisce che dietro ogni foto c’è uno studio accurato, maniacale, che ora possiamo anche seguire nei video riservati al fan club.

NOTE:

  1. Irina era una sua modella, meglio nota come “Valentina”
  2.  Buffi i commenti della stampa locale: “passa dalle modelle ai maiali” . (in calce alla voce “Grigori Galitsin” su Wikipedia, in inglese.
  3. Galitsin’s Angels: From Russia with Love. Munich: Edition Reuss. 2005. ISBN 3-934020-34-8

Viaggi d’immagine

La mostra, curata dal figlio Marco Bischof, presenta 250 fotografie, in larga parte vintage, tratte dai più importanti reportage di Werner Bischof, che consentiranno di ripercorrere i lunghi viaggi che portarono l’artista svizzero negli angoli più remoti del mondo, dall’India al Giappone, dalla Corea all’Indocina fino ad arrivare a Panama, in Cile ed in Perù.

Per la prima volta, sarà esposta una selezione di 20 fotografie in bianco e nero inedite che hanno nell’Italia il suo soggetto privilegiato. In essa si coglie l’originalità dello scatto che rivela l’occhio ‘neorealista’ di Werner Bischof.

Il percorso espositivo trasporterà il visitatore nell’età dell’oro del fotogiornalismo, conducendolo sulle tracce di Werner Bischof.Sarà un itinerario che, partendo dall’Europa, appena uscita devastata dalla seconda guerra mondiale, giungerà in India dove ci si troverà di fronte a un paese attanagliato dalla povertà e dalla miseria, ma in cui si iniziano a intravvedere gli sviluppi industriali che la porteranno a essere uno delle nazioni leader del nuovo millennio. Quindi, il confronto spietato tra gli elementi della cultura tradizionale giapponese e il dramma della guerra di Corea introdurrà all’analisi del continente americano. Il viaggio di Bischof, infatti, proseguirà nelle città statunitensi, di cui coglierà lo sviluppo metropolitano, anche con una serie di fotografie a colori, e si chiuderà idealmente tra i villaggi del Perù e sulle cime andine dove trovò la morte.

Bischof, considerato uno dei migliori fotogiornalisti, non si limitò a documentare la realtà con il suo obiettivo, quanto si fermò a riflettere di fronte ai soggetti, cercando di raccontare quelle dicotomie tra sviluppo industriale e povertà, tra business e spiritualità, tra modernità e tradizione.

Non mancherà una sezione dedicata alle fotografie di paesaggio e di natura morta, realizzate in Svizzera, tra la metà degli anni trenta e quaranta del Novecento.

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WERNER BISCHOF
Fotografie 1934-1954
Dal 22 settembre 2017 al 25 febbraio 2018

Venezia
Casa dei Tre Oci
Fondamenta delle Zitelle, 43
Isola della Giudecca

Informazioni:
tel. 041/2412332 – 2414022

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L’America migrante e operaia

È prolungata fino all’11 gennaio 2015 la bellissima mostra “BUILDING A NATION” su Lewis Hine (1874-1940) in corso all’isola della Giudecca a Venezia.
Hine, il padre della fotografia sociale in America, famoso per i suoi scatti agli operai in equilibrio sulle travi dell’Empire State Building, è presente in questa imperdibile mostra, con 60 scatti originali provenienti dalla collezione della famiglia Rosemblum di New York, in cui vengono riproposti i temi cari ad Hine, anzi il tema per eccellenza caro ad Hine: il lavoro (“Men at work” era il titolo di una delle sue prime mostre).
Hine ci mostra gli operai all’opera sulle travi dei grattacieli in costruzione, ci mostra gli sguardi straniati delle famiglie di immigrati in arrivo ad Ellis Island da mezza Europa, sguardi che esprimono stupore disagio ma anche speranza, ci mostra i volti sporchi dei minatori ragazzini, ci mostra terribili immagini che preferiremmo non vedere di bambini e bambine di 4/5 anni al lavoro nei campi di cotone.
Le sue foto sorprendono per la perfezione della composizione, per l’umanità e la composta dignità che trasmettono: La Madonna dei poveri, esposta in questa mostra, madre immigrata coi suoi bambini, è la Madonna col bambino e san Giovannino di Raffaello, l’operaio alla catena di montaggio, sembra un fotogramma tratto da tempi moderni di Chaplin.
Building a Nation, perché la costruzione di una ricca nazione è sorta sugli inimmaginabili sacrifici di una varia umanità e Hine è qui a ricordarcelo, per non dimenticare e per dimostrare che la macchina fotografica può e deve diventare uno strumento di denuncia sociale e di sviluppo culturale.

Mostre Lewis Hine 15.11.2014 san pantalon carmini 3 oci bis 001 (3)******************************

LEWIS HINE
Building a nation
Dal 13 settembre 2014 all’11 gennaio 2015

Venezia (Giudecca)
Casa dei Tre Oci
Fondamenta delle Zitelle, 43

Orari:
tutti i giorni 10.00 – 18.00
chiuso martedì

Prezzi:
10,00 € intero
10,00 € ridotto speciale nonna/o con nipote
8,00 € ridotto gruppi superiori alle 15 persone, studenti fino a 26 anni, titolari di apposite convenzioni.
4,00 € ridotto scuole

Informazioni:
tel. +39 041/2412332
http://www.treoci.org

Catalogo:
Admira Edizioni
con saggi di Mario Calabresi e Nicolò Leotta

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 Mostre Lewis Hine 15.11.2014 san pantalon carmini 3 oci bis 001 (10) - CopiaMostre Lewis Hine 24446-ve

Ghirri: voce del verbo vedere

Ecco che la realtà si confonde con le nostre proiezioni, natura e artificio mescolandosi formano una complessità illeggibile, il nostro sguardo annega nell’indecifrabile o soggiace al luogo comune visivo. Acquisire la consapevolezza delle leggi che regolano la visione, ci permette di affrontare le immagini, l’immagine del mondo.

Nell’ottima mostra allestita al MAXXI l’opera fotografica di Ghirri ha, tra gli altri, il merito di guidarci in un’esperienza educativa del vedere. Che il vedere sia frutto di processi fisiologici e psicologici insieme, lo sappiamo dagli studi sulla percezione visiva (Kanitzsa, Gregory, tra gli altri) i quali con metodologie e sviluppi differenti dimostrano quanto l’atto del guardare sia un processo implicante fortemente la soggettività. Vedere è anche ricordare, è anche un fatto affettivo, e può certamente essere un atto conoscitivo.

Capire, leggere e interpretare le immagini è come leggere o ascoltare un discorso: se non ne conosciamo la lingua per noi è incomprensibile. Bisogna partire dall’alfabeto, dai singoli segni elementari, svelare le leggi che regolano i rapporti tra i vari elementi, svelarne il funzionamento, la sintassi.  L’opera fotografica di Ghirri ha questo forte intento metalinguistico.

Una delle principali leggi percettive riguarda ad esempio i rapporti che intercorrono tra figura e sfondo, in base alla quale su un campo visivo uno o più elementi che si distaccano da un insieme indeterminato assumono lo statuto di figure mentre il resto del campo arretra e diventa sfondo. Si tratta di un fatto complesso, qui troppo esemplificato ma sul quale è sorta la lunga diatriba tra astrazione e figurazione che ha attraversato il secolo scorso e forse mai risolta.

In molte immagini fotografiche di Ghirri l’indeterminatezza ci interroga su cosa sia sfondo e cosa figura in un’alternanza che l’occhio per ragioni fisiologiche e psicologiche accetta solo per un tempo brevissimo. Siamo costretti a scegliere cosa vedere, decidere priorità percettive. Il frequente ricorso dell’artista fotografo a tassellature spaziali o alle cosiddette immagini di controscambio, induce nell’osservatore una riflessione, un surplus di attenzione. Ghirri lavora sullo spaesamento dello sguardo permettendoci di accedere a un livello profondo dell’esperienza visiva.

Di una semplicità disarmante dal punto di vista tecnico le fotografie di Ghirri raggiungono un’altissima misura poetica funzionando come macchine di senso, e agiscono potentemente sulla memoria, sembrano reperti di un nostro mondo infantile, apparentemente semplici trasportano invece un carico di ambiguità.

Perché le immagini sono illusioni, il vero non più scindibile dal verosimile.

Un lavoro affascinante che ricorda nel metodo, nell’intento, quello impressionista. Ghirri fa con lo scatto fotografico quello che i pittori della luce e del colore hanno fatto con il pennello. Non a caso dall’operazione impressionista abbiamo tratto una prima grande lezione decostruttiva dell’immagine (e penso a Cezanne) che ha avuto le note conseguenze, passando per il cubismo, sull’arte contemporanea. Decostruire un’immagine è evidenziarne il meccanismo, trovare la struttura che regge “la rappresentazione”. C’è inoltre un armamentario di specchi vetri e riflessi nonché l’uso di reticoli grate e tassellature che ancora una volta, rendendo lo spazio rifratto e geometricamente rarefatto, infinito e bidimensionale, avvicina il fotografo ai pittori impressionisti. Naturalmente si tratta di suggestioni, l’opera di Ghirri presenta punti di tangenza con buona parte della riflessione artistica contemporanea (penso a Kosuth e ad alcune esperienze di Land Art) e a ritroso con le avanguardie storiche.

Nelle fotografie ospitate al Maxxi, divise in tre grandi filoni tematici, si snoda un percorso che partendo dall’osservazione di oggetti/soggetti artificiali in perfetta osmosi con il paesaggio urbano o naturale giunge alle fotografie di Paesaggi e alla sezione Architetture. Non c’è monumentalità, le cose umane e quelle naturali giacciono su un unico piano, in una loro sconcertante evidenza, nel silenzio, senza tempo.

Guardando queste immagini si avverte come un’assenza, un certo distacco dalla cosa osservata, lo sguardo è sempre un po’ in basso quasi dovesse passare attraverso un bagno purificante e ridiventare infantile. Messaggi di carta da un mondo illusorio colto sul punto di sparire per sempre, fragili come ricordi di cose appena intraviste e pronte a rituffarsi nell’oblio.

 

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Mostre Ghirri Ecco che la realtà si confonde con le nostre proiezioni webLUIGI GHIRRI: PENSARE PER IMMAGINI

Icone Paesaggi Architetture

Dal 24 aprile al 27 ottobre 2013

 

Roma

MAXXI – Museo nazionale delle arti del XXI secolo

via Guido Reni 4/a

 

Informazioni:

Tel. 06/39967350 – 3210181

Sito web

 

Orario:

11.00 – 19.00 (martedì, mercoledì, giovedì, venerdì, domenica)

11.00 – 22.00 (sabato)

lunedì chiuso

Mostre Ghirri Ecco che la realtà si confonde con le nostre proiezioni Bastia-1976

Mostre Ghirri Ecco che la realtà si confonde con le nostre proiezioni Bastia-1976