Archivi tag: Gianleonardo Latini

Bruna Esposito: Un’Arte Sostenibile

Dal 13 maggio al 31 luglio 2025, il giardino dell’Ospitale Santa Francesca Romana a Trastevere ospita Altri Venti – Scirocco, installazione ambientale dell’artista Bruna Esposito, prodotta da Studio Stefania Miscetti. L’opera, concepita nel 2020, è parte di una più ampia serie intitolata Altri Venti, un ciclo poetico e politico dedicato alle brezze del sud. Dopo Ostro – oggi nella collezione del Centro per l’Arte Contemporanea Luigi Pecci – arriva Scirocco, vento caldo e umido che da sud-est attraversa il Mediterraneo, portando con sé memorie, mutamenti, stratificazioni culturali.

In un angolo del giardino dell’Ospitale, all’ombra di una pianta di alloro, si erge un gazebo costruito con materiali naturali – bambù, corde, sementi, terra – animato dal movimento di un’elica navale e da un ventilatore alimentato ad energia fotovoltaica. In questa architettura leggera, l’aria, la luce e il tempo si intrecciano dando forma a uno spazio accogliente, in cui l’ecologia non è solo tema ma pratica. L’opera è un invito alla sosta e all’ascolto, alla contemplazione e alla connessione: con l’ambiente, con gli altri, con le radici del vivere sostenibile.

Una poetica ecologica radicata nella pratica

Il lavoro di Bruna Esposito affronta da decenni le urgenze ambientali con una prospettiva etica e sensibile. Dalle Biotoilets pubbliche degli anni ’80, fino a Venti di rivolta o rivolta dei venti (2009), la sua ricerca ha anticipato questioni oggi al centro del dibattito culturale e sociale: il riciclo, l’autosufficienza energetica, il valore della semplicità e il rispetto delle risorse. Scirocco si inserisce perfettamente in questo percorso, come gesto concreto e simbolico di resistenza al consumismo energetico, in particolare contro l’abuso di dispositivi energivori come i condizionatori. Non a caso, l’artista propone un’alternativa: aria in movimento generata dal sole, in un contesto collettivo di quiete e ascolto.

Un’arte che incontra la transizione ecologica dei Musei Vaticani

L’installazione di Bruna Esposito trova eco e riscontro in un altro scenario romano di crescente attenzione ecologica: quello dei Musei Vaticani. Negli ultimi anni, la Santa Sede ha compiuto passi importanti verso la sostenibilità ambientale, ispirandosi alla Laudato si’, l’enciclica di Papa Francesco sull’ecologia integrale. Oltre a investimenti in energie rinnovabili e progetti di efficientamento energetico, i Musei Vaticani hanno avviato una riflessione sul ruolo dell’arte come veicolo di coscienza ambientale.

In questo contesto, Scirocco e il suo linguaggio ibrido – che fonde arte, tecnologia e sensibilità ecologica – offrono un modello virtuoso: non un oggetto da contemplare passivamente, ma un dispositivo esperienziale che educa, accoglie e trasforma. Così come il Vaticano immagina un museo che sia laboratorio di sostenibilità e non solo luogo di conservazione, l’opera di Esposito dà corpo a un’utopia concreta, dove il passato e la tradizione si intrecciano con l’innovazione e l’urgenza del presente.

Un’arte relazionale, un luogo di comunità

Scirocco è anche un’azione di prossimità: accorcia le distanze tra arte e vita quotidiana, proponendo soluzioni semplici e replicabili, capaci di migliorare il benessere collettivo senza impattare negativamente sull’ambiente. È un gesto essenziale, come l’ombra di un albero o il soffio del vento: naturale, necessario, condiviso. Durante i mesi dell’esposizione, il giardino dell’Ospitale diventa teatro di incontri e riflessioni sull’ecologia, offrendo uno spazio attivo di dialogo tra pubblico, artisti, studiosi e cittadini.

In un’epoca in cui la crisi climatica interroga ogni ambito del sapere e della pratica umana, l’arte può e deve essere parte della risposta. Con Altri Venti – Scirocco, Bruna Esposito ci ricorda che anche un gesto leggero, se guidato dalla consapevolezza, può cambiare la direzione del vento.

Artisti al Buio

Nel cuore di Roma, tra il Campidoglio e piazza Margana, apre le porte in una nuova sede espositiva Aleandri Arte Moderna, ora in via d’Aracoeli 7, e lo fa con un progetto espositivo potente e visionario:
“PRENDERE AL BUIO PER RIPORTARE AL BUIO”, una mostra immaginata da Enzo Cucchi e formalizzata da Mario Finazzi.

L’inaugurazione di questo spazio non è solo un gesto architettonico, ma un’affermazione di intenti: una galleria che si propone come luogo di ricerca, di dialogo tra artisti, materiali e tempi diversi, distante dalle logiche del mercato e vicina a quelle della cultura viva.

Al centro della mostra, l’inedita e monumentale scultura di Enzo Cucchi, Paese mio: un’opera che attraversa l’oscurità dell’inconscio e dell’immaginazione, per approdare alla materia antica del bucchero, tecnica ceramica etrusca che trasforma l’argilla in nero profondo. Questa scultura è più di un oggetto: è architettura mentale, spazio chiuso e molteplice che accoglie e genera pensieri, opere, artisti, archivi, in una dimensione sospesa oltre il tempo.

In dialogo con l’opera di Cucchi, Massimo Luccioli, maestro della ceramica e custode della sapienza del bucchero, presenta una serie di archetipi – bacili, conche, coppe – battuti e modellati come se provenissero direttamente dal mondo delle idee, forme primigenie plasmate con gesto rituale e sapienza antica.

Tra le tante suggestive grafiche, anche su fogli recuperati, non si può fare a meno di notare la forma libera che Enzo Cucchi ha disteso sul pavimento e gli arcaici vasi di Massimo Luccioli, entrambi in bucchero. In questo dialogo silenzioso tra scultura e ceramica, si avverte la forza ancestrale di una materia che non è solo supporto, ma linguaggio e memoria. La forma che Cucchi lascia fluire sul pavimento non è una semplice presenza fisica: è una traccia mentale, un gesto di apertura verso l’indefinito, quasi una ferita nella superficie dello spazio. I vasi di Luccioli, al contrario, si ergono come presenze sacre e silenziose, solide e immutabili, a custodire un tempo che non passa. Entrambi gli artisti, attraverso il nero profondo del bucchero, evocano un’origine comune, un legame arcaico tra forma, gesto e pensiero, restituendo alla materia il suo potere mitopoietico, capace di fondere il buio dell’origine con la luce della creazione.

I disegni di Andrea Salvino, realizzati di recente, ci riportano immagini della cultura di massa filtrate attraverso una sensibilità che ne scardina la familiarità: sono “immagini familiari, ma non come lo erano un tempo”, come osserva il curatore. Il segno diventa così strumento di evocazione, distorsione, riflessione.

Un’altra voce potente è quella di Nori De’ Nobili, presente con opere su carta, talvolta realizzate su supporti sperimentali, provenienti dal Museo Nori De’ Nobili di Ripe a Trecastelli. La sua ricerca pittorica, intima e visionaria, resta uno dei vertici meno riconosciuti ma più intensi della pittura italiana del Novecento.

Chiude il percorso un’incursione nella memoria collettiva di Roma, attraverso i materiali dell’Archivio della Litografia Bulla, autentico giacimento della storia visiva della città. Le tracce quasi bicentenarie di quest’eccellenza litografica aprono scorci imprevisti su una pratica artigianale divenuta patrimonio culturale.

Con questa mostra, Aleandri Arte Moderna riafferma il proprio ruolo come galleria di ricerca e di sperimentazione, capace di generare progetti articolati e profondamente connessi con il tessuto culturale del presente. Un’apertura che è anche un nuovo inizio, all’insegna della profondità, dell’oscurità generativa e del ritorno alla materia.

Gianna Parisse: Il bianco e nero della Terra

Nel cuore di un bianco e nero denso, che non concede distrazioni, ma costringe lo sguardo a farsi intimo e profondo, Gianna Parisse espone la sua ultima ricerca visiva nella mostra Brevemente risplendiamo sulla terra. Il titolo, ispirato al romanzo di Ocean Vuong, diventa chiave poetica di lettura per un progetto che unisce memoria, natura e sguardo contemporaneo.

Fulcro dell’esposizione è un nucleo di fotografie di grande formato e immagini proiettate, tratte dall’archivio Mundus, una lunga e personale indagine dell’artista sui luoghi di Amatrice dopo il terremoto del 2016. In queste opere, Parisse esplora le rovine non come segno della fine, ma come spazio del possibile: lì dove gli oggetti familiari, le pietre, i rami spogli e gli utensili antichi perdono i contorni, riemerge una nuova tensione esistenziale.

Lo strumento prediletto per questa raccolta è lo scanner, attraverso cui l’artista riesce a catturare non solo le forme, ma le atmosfere stesse: l’impressione fuggevole di una realtà che sembra galleggiare in un abisso di luce. I soggetti si stagliano su fondi neutri, quasi abbacinanti, generando un effetto tridimensionale che restituisce corpo e assenza allo stesso tempo. Le immagini appaiono così sospese, come presenze aeree che conservano la traccia di un’esistenza passata, fragile e persistente.

In questo paesaggio rarefatto e onirico, dove la nebbia si fa materia e la luce diventa custode della memoria, Parisse compone una sinfonia visiva in tre tempi: vegetale, minerale, oggettuale. I rami di un meleto, le pietre segnate dal tempo, le stoviglie sopravvissute al disastro si trasformano in elementi archetipici di un racconto che va oltre la cronaca per farsi meditazione sull’effimero.

Le opere della mostra raccontano una Terra ferita, ma non rassegnata: emergono come visioni che testimoniano la volontà di resistenza e la ricerca di un contatto tra natura e umanità. In esse, l’ordinarietà diventa sublime, e la fragilità delle cose si trasforma in punto di forza tra il dolore e la bellezza, tra l’abisso e l’infinito.

Brevemente risplendiamo sulla terra è, in definitiva, un viaggio nella soglia tra ciò che è stato e ciò che ancora resiste. Un inno silenzioso alla presenza, alla luce che sopravvive nella materia, e alla possibilità, sempre viva, di vedere il mondo con occhi nuovi.


Gianna Parisse
Brevemente risplendiamo sulla terra
Dal 10 aprile al 31 maggio 2025

Galleria Heimat
vicolo del Cinque, 24

Orari
martedì – sabato 11-19

Ingresso: libero

Informazioni :
tel. 06/86834763

A cura di Nicoletta Provenzano


Papa Francesco e i social del presenzialismo: la lezione ignorata

Alla scomparsa di Papa Francesco, mentre il mondo cattolico e non solo si stringeva in un sincero cordoglio, non sono mancati gli omaggi sui social: gesti a volte autentici, ma spesso caratterizzati da una smania di visibilità che strideva dolorosamente con l’umiltà e il messaggio del Pontefice.

Dopo le benevoli frasi di rito – e anche quelle meno benevole, senza ipocrisie, degli esagitati reazionari – sulla scomparsa di una figura che ha segnato la vita di molti, restava evidente quanto Bergoglio avesse inciso profondamente nella Chiesa e nella società civile.

I giorni seguenti sono diventati l’occasione per l’inevitabile elenco di ciò che Papa Francesco ha fatto e di ciò che, secondo alcuni, avrebbe potuto o dovuto fare. Tra le critiche più ricorrenti, non è mancato il riferimento al tema femminile, senza però riconoscere che proprio durante il suo pontificato si è registrata una svolta significativa: per la prima volta, diverse donne sono state chiamate a ricoprire incarichi di governo all’interno della Città del Vaticano, segnando un cambiamento storico pur in una realtà complessa e tradizionalmente maschile.

Tuttavia, come ha osservato una sociologa, il Papa guida “un transatlantico che non può cambiare rapidamente rotta”: una perfetta fotografia di un’istituzione imponente, refrattaria ai mutamenti repentini, dove persino un leader aperto e dinamico deve confrontarsi con inerzie secolari.

Mentre la Chiesa si interrogava sul futuro, il mondo della rete ha dato il peggio di sé: smartphone in mano, l’importante era esserci, postare, taggare. L’attenzione si è presto spostata su chi ha scelto il palcoscenico social per “presenziare” a questo momento storico, trasformando un evento di raccoglimento in una vetrina personale.

In questo teatrino del “mi si nota di più se vado o se non vado?”, sembra che l’insegnamento di Papa Francesco sia stato completamente ignorato. Il Pontefice aveva più volte ammonito contro la “coca-colizzazione” della cultura e della spiritualità, contro quella superficialità effimera che svuota l’umano di significato. Nel suo recente discorso alla Pontificia Università Gregoriana, aveva chiesto con forza di umanizzare il sapere, di coltivare un’istruzione inclusiva, capace di rispettare le differenze e guidata dalla dignità della persona.

Eppure, nella settimana del suo ultimo saluto, il culto dell’apparenza ha prevalso: foto, video, selfie, post a uso e consumo di like e visualizzazioni. È lo stesso spirito contro cui il Papa si era scagliato a Lampedusa, nella sua profetica omelia contro la “globalizzazione dell’indifferenza”. Di fronte alla tragedia dei migranti, Francesco aveva denunciato come la cultura del benessere ci abbia resi incapaci di piangere, prigionieri di “bolle di sapone” dorate, indifferenti al dolore del mondo.

Anche tra i politici e i rappresentanti delle istituzioni si è visto il contrasto tra chi ha scelto la discrezione e chi, invece, non ha resistito alla tentazione del selfie o dell’apparizione.

Il funerale di Papa Francesco sarebbe dovuto essere un momento di raccoglimento e di riflessione su quella “cultura della cura” che tanto aveva a cuore. Invece, per molti, si è trasformato in un’occasione di esibizione. Un triste spettacolo che evidenzia quanto ancora sia attuale – e inascoltato – l’invito di Francesco a riscoprire il senso della fraternità e della responsabilità reciproca.

“Non dimenticate il senso dell’umorismo”, aveva esortato il Papa, citando Thomas More. Ma di fronte a certe scene, più che sorridere, viene da chiedersi dove, e quando, abbiamo perso la bussola.

Oliviero Rainaldi: Un Viaggio Pittorico alle Origine

Noto per la potenza evocativa delle sue sculture, Oliviero Rainaldi inaugura una nuova stagione espressiva con la mostra Seconda Madre, dove si confronta per la prima volta in modo organico con il linguaggio pittorico. Una serie di lavori su tela realizzati interamente in bianco e nero compone un universo visivo essenziale, rigoroso, che resta fedele alla sinteticità formale che ha sempre contraddistinto la sua opera plastica.
Il cuore tematico della mostra è l’origine: la maternità come archetipo, forza pulsante e generativa che prende forma attraverso il corpo, trasformato in simbolo. Il bianco e il nero diventano codice visivo, eco di una memoria condivisa e personale, spazio della riflessione e della rivelazione. In questa polarità cromatica si consuma un atto pittorico intimo e solenne, quasi rituale, dove la superficie si fa pelle, e il gesto pittorico diventa atto conoscitivo.
“Un invito, un abbraccio, una mutazione. Tre atti essenziali della vita che emergono con forza in questa nuova serie di dipinti” osserva il critico Arnaldo Colasanti. “Con Seconda Madre, Rainaldi costruisce un universo sospeso tra luce e mistero, dove la pittura diventa al tempo stesso celebrazione e inquietudine.”
Le immagini presentate nella mostra non descrivono, non narrano: custodiscono. Ogni tela è una soglia, un varco che mette in dialogo cielo e terra, materia e spirito. Le figure, rarefatte e insieme potenti, evocano la nascita non solo come evento biologico ma come stato esistenziale, tensione permanente tra il trattenere e il lasciar andare, tra la madre reale e quella mitica, archetipica.
La pittura di Rainaldi non si limita a rappresentare: suggerisce, invoca. Fasce, panneggi, forme avvolgenti si presentano come tracce di un linguaggio antico, un’iconografia che richiama la scultura funeraria della Magna Grecia, ma anche le stratificazioni simboliche del teatro contemporaneo più radicale. La materia pittorica, quasi sacra, sembra voler proteggere un segreto: l’origine della vita, e con essa, il mistero della trasformazione.
Con Seconda Madre, Oliviero Rainaldi ci invita in un percorso di visione e ascolto profondo, in cui il silenzio del bianco e del nero diventa spazio fertile per l’immaginazione, la memoria, il mito.


Oliviero Rainaldi
Seconda Madre
Sino al 23 maggio 2025

La Nuova Pesa
via del Corso, 530
Roma

Dal lunedì al venerdì
10:00 – 13:30 / 16:00 -19:30

Info:
Tel. – 06 3610892