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Il Racconto dei Racconti

Matteo Garrone, altro talento italico della nostra ultima fortunata covata, insieme all’ormai celebrato Sorrentino, al napoletano Martone e pochi altri battaglieri “sudisti”, si lancia con “Il Racconto dei racconti” nell’Olimpo grottesco e crudele delle arcaiche fiabe seicentesche dello “Cunto delli cunti” del Basile, curioso genio di certo cupo barocchismo. E cupe, tetre, feroci fino all’orrido sono per tradizione le antiche fiabe nostre, fatte più per terrorizzare i piccini che per indurli al sonno. Orchi, mostri, draghi, antropofagi, tiranni, streghe e quant’altri ha accumulato nei secoli l’immaginario collettivo di remote civiltà annichilite dallo sgomento del delitto e della morte.
Il grande, indimenticabile, Francesco Rosi (altro uomo del sud!) col suo “C’era una volta” si era già tuffato con affetto nelle memorie della favolistica delle antiche novelle, ma l’aveva fatto con lo spirito e la grazia del geniale umorista, risparmiando come un nonno gentile gli orrori ai nipotini e gratificandoli del rassicurante:”. E vissero felici e contenti”. Garrone non ha pietà per i bimbi buoni, si rivolge agli adulti e alle loro paure nascoste. Nulla ci viene risparmiato, la galleria degli orrori è lunga e tenebrosa, ma i colori, le luci, le tenebre, cielo e terra, tutto è svelato con mano geniale, da pittore “maledetto”, curioso di anatomizzare pur i più fetidi cadaveri. Giù nella terra grassa fremono gli istinti più atroci:vanità, follia, orgoglio, i soprusi dei potenti, più sù, nell’aria di nuovo chiara e innocente di infantili aurore, si specchia come il risveglio d’un fanciullo dai suoi incubi notturni.
Le fiabe di Garrone, a dirla tutta, ci han preso e convinto nonostante a Cannes fossero in seconda fila rispetto all’attesissimo “la Giovinezza” di Sorrentino, un’opera levigatissima di sontuose citazioni filosofiche, in una specie di autocelebrazione molto compiaciuta, troppo compiaciuta di sé….

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Cinema Il racconto dei racconti locandinaIl racconto dei racconti
Tale of Tales

Un film di Matteo Garrone
Con Salma Hayek, John C. Reilly, Christian Lees, Jonah Lees, Alba Rohrwacher, Massimo Ceccherini, Laura Pizzirani, Franco Pistoni, Giselda Volodi, Giuseppina Cervizzi, Jessie Cave, Toby Jones, Bebe Cave, Guillaume Delaunay, Eric MacLennan, Nicola Sloane, Vincenzo Nemolato, Giulio Beranek, Davide Campagna, Vincent Cassel, Shirley Henderson, Hayley Carmichael, Stacy Martin, Kathryn Hunter, Ryan McParland, Kenneth Collard, Renato Scarpa
Fantasy, Ratings: Kids+13,
durata 125 min.
Italia, Francia, Gran Bretagna 2015.
01 Distribution

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Fury

Fare un buon film di guerra non è facile: per garantire lo spettacolo si deve spendere molto, le ricostruzioni devono essere attendibili e le battaglie realistiche. In più la guerra non è più un valore, almeno nella nostra società, quindi è difficile dare oggi un assetto ideologico accettabile a un genere di film ormai messo in discussione dal pacifismo. Da qui la tendenza a mostrare il lato brutale della guerra ed eroi rosi dal dubbio sulla loro missione. Qui in Fury l’impianto dato dal regista David Hayer è in realtà è relativamente tradizionale: siamo nel 1945 e le truppe alleate hanno ormai varcato il Reno e sono entrate in Germania, ma devono scontrarsi con la dura resistenza tedesca, che ormai difende casa propria. Qui seguiamo un plotone di carri armati Sherman della seconda Divisione corazzata americana, veterana dello sbarco in Normandia e della controffensiva delle Ardenne (che al cinema significa: Il giorno più lungo, Bastogne e Salvate il soldato Ryan) ma messa ora in seria difficoltà dai carri tedeschi Pantera e Tigre, tecnicamente superiori e tatticamente meglio utilizzati. Capo carro è il sergente Don “Wardaddy” Collier (Brad Pitt), mentre il resto dell’equipaggio è formato da veterani rozzi e induriti. Come rimpiazzo del quinto carrista arriva il giovane occhialuto Norman Allison, classica recluta da scozzonare, e infatti il confronto coi veterani è immediato. Confronto che si farà più drammatico quando riprende l’avanzata: per colpa di Allison,durante un’imboscata il carro conduttore viene distrutto e il capo plotone Parker ucciso. A quel punto il nostro sergente di ferro decide di iniziare il novizio alla realtà della guerra e lo prende sotto la sua ala. E’ un educatore discutibile, visto che lo obbliga ad uccidere un prigioniero a sangue freddo, ma la sua teoria è che i soldati tedeschi vanno ammazzati tutti. Diciamo pure che l’allievo impara subito e quasi ne gode, ma neanche il nemico fa sconti. Per fortuna anche la guerra ha i suoi intervalli: durante l’occupazione di un borgo, sergente e carrista conoscono per caso due ragazze tedesche e con una delle due – Emma – il nostro novizio ci va anche a letto. La colazione è purtroppo rovinata dalle provocazioni degli altri carristi – soldatacci induriti se non criminali – e da un bombardamento che uccide le due donne. Si riparte su ordine del duro capitano Wagoneer, stavolta per presidiare l’incrocio di una carrabile che dovrà essere poi occupata dalla fanteria. Purtroppo dopo un duro scontro con una batteria anticarro e un panzer Tigre (autentico, prelevato da un museo, ndr.), di quattro carri ne resta uno solo: il nostro, soprannominato “Fury” . Ma è solo l’inizio: una volta giunti all’incrocio, di notte, lo Sherman si pianta colpito da una mina e in più si scopre che c’è una compagnia di almeno duecento tedeschi in transito. Che fare? Non c’è tempo per riparare il cingolo e il buon senso suggerisce di abbandonare il carro e nascondersi fin quando il nemico è passato. E qui – come nel Soldato Ryan – dal realismo si passa all’assurdo. Mentre nel primo film la pattuglia attacca battaglia con tutti invece di nascondersi, qui si decide di chiudersi nel carro armato a mo’ di fortezza e di resistere fino all’arrivo dei rinforzi. Insomma, la classica missione suicida. E i tedeschi, nonostante siano dure Waffen SS, vengono decimati dal tiro del cannone e delle mitragliatrici di bordo. Ma l’assedio non può durare a lungo: le armi anticarro scalfiscono la fortezza d’acciaio e le munizioni scarseggiano. Collier sarà colpito da un cecchino e resta a bordo, mentre Allison si salverà uscendo dalla botola di sicurezza (che sfiata sotto il pavimento del carro, ndr.). Nascosto nella buca aperta dalla mina, viene scorto da un tedesco, il quale per pietà fa finta di non vederlo. I tedeschi se ne vanno, lui aspetterà poi dentro al carro il suo destino, ma per fortuna arriva la fanteria, che ha dunque trovato la strada ormai sgombra. Infatti i tedeschi si sono mortalmente accaniti su quel carro invece di procedere fino a presidiare le posizioni assegnate. Nell’ultima scena Allison guarda per l’ultima volta il suo carro dal finestrino dell’ambulanza. Una panoramica dall’alto riprende lo Sherman con attorno pile di cadaveri. Tra parentesi, l’ottima direzione della fotografia di Roman Vasyanov ha dato al film un tono cupo, tutt’altro che solare, mentre lo scenografo Andrew Menzies ha saputo creare ambienti complessi, ricordandoci che la guerra moderna è fatta di uomini, ma anche di macchine e altri prodotti industriali. In più il film alterna spazi aperti all’universo claustrofobico dei carri armati, pari solo a quello dei sommergibilisti di U-Boot 92. Eppure quei cinque carristi chiusi dentro quella scatola di acciaio che li sballotta ogni momento si sentono come a casa loro, a modo loro l’hanno persino arredata, anche se quello spazio puzza di sudore e carburante e sanno benissimo che rischiano di finire arrostiti. E siccome molte inquadrature sono riprese in soggettiva, dentro quel carro ci siamo anche noi spettatori.

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Fury
Titolo originale Fury

Un film di David Ayer
Con Brad Pitt, Shia LaBeouf, Logan Lerman, Michael Peña, Jon Bernthal, Jason Isaacs, Scott Eastwood, Jim Parrack, Brad William Henke, Jonathan Bailey, Branko Tomovic, Marek Oravec, James Henri, Laurence Spellman, Kevin Vance, Adam Ganne, Sam Allen
Azione, Ratings: Kids+16
durata 134 min.
USA 2014
Lucky Red

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La famiglia Belier

Siamo nella campagna bretone, dove una famiglia di allevatori manda avanti una fiorente azienda agricola e casearia. I coniugi Belier e il figlio adolescente sono sordi e un po’ strambi, mentre l’altra figlia Paula, una ragazzona sedicenne, è normale ed è un vero angelo: fa da interprete col linguaggio dei segni, lavora in stalla, aiuta i suoi al banco del mercato e frequenta la scuola. Lì si segna al coro non per amore della musica, ma di Gabriel, un compagno di scuola, come confida all’amica del cuore, la sveglia Mathilde. L’insegnante di canto, Thomasson, riconosce subito il talento di Paula e le propone un duetto proprio insieme a Gabriel per il saggio di fine anno. La canzone è un classico francese: “Je vais t’aimer”, di Michel Sardou, e per provarla Gabriel va anche a casa di Paula. L’insegnante ha loro consigliato di provarla abbracciati, ma lei ha le prime mestruazioni. Gabriel lo racconta a tutti e a scuola Paula viene presa in giro. Ceffone per Gabriel. Ma il vero problema è che Thomasson propone Paula per la selezione di Radio France a Parigi. Per lei è una scelta drammatica: significa abbandonare la famiglia, mentre il padre vuole persino presentarsi alle locali elezioni. Finché può glielo nasconde, ma quando è costretta a dirlo, i suoi la prendono male: andare a Parigi è un tradimento. Paula quindi rinuncia, ma proprio Gabriel la convince almeno a tornare alla scuola di canto. Il saggio di fine anno è un trionfo e i genitori di Paula, pur non sentendo la musica, vedono in diretta le emozioni che la loro figlia e Gabriel suscitano nel pubblico. La notte porta consiglio: il padre ci ripensa e Paula arriverà per tempo all’audizione, presente anche Thomasson al piano. Paula canta “Je vole”, sempre di Sardou, e viene accettata. Nella scena finale la famiglia Belier accompagnerà la figlia in partenza per Parigi.
Fare un film sui disabili non è facile e il regista sceglie la commedia, anche se i sordomuti francesi non hanno amato il film (quelli italiani non si sa), affermando che l’immagine che viene data non corrisponde alla realtà. Che dire? La famiglia Belier è in effetti un po’ stramba e certi suoi comportamenti rasentano il grottesco: sessualmente iperattivi, politicamente conservatori, impulsivi e generosi, sono comunque sicuramente simpatici e non si piangono mai addosso. La geniale soggettiva che li inquadra mentre non possono sentire il canto della figlia ma registrano le emozioni del pubblico è un vero pezzo di antologia. Paula è una adolescente che diventa donna e la famiglia le sta vicino quanto lei è vicina a questa insolita famiglia, la quale ha il coraggio di farla volare da sola. In un periodo di nubi oscure e di crisi sistemica, un film come questo ti riconcilia con la vita. E i francesi questi film li sanno fare.

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La famiglia Bélier
Titolo originale La famille Bélier

di Eric Lartigau
con Karin Viard, François Damiens, Eric Elmosnino, Louane Emera, Roxane Duran, Ilian Bergala, Luca Gelberg, Mar Sodupe, Jérôme Kircher, Stéphan Wojtowicz, Bruno Gomila, Céline Jorrion, Clémence Lassalas, Manuel Weber
Francia 2014
Commedia, Ratings: Kids+13
durata 100 min.
Bim

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Birdman, l’uomo—uccello vola su Broadway

Trionfa sui nostri schermi, come enfaticamente proclamavano i “provini” di una volta (leggi “trailers”), Birdman di Alejandro González Iñárritu, che stravince l’Oscar di miglior film dell’anno. Lo stile è molto, molto “americano”: agitato, convulso, drammatizzato agli ultrasuoni, sudato e frenetico.
È l’eterna temperatura dei drammoni teatrali di questo ancor giovane paese, da O’Neill a Tennessee Williams a Arthur Miller fino all’ultimo commediante, tutto è rigorosamente sopra le righe ed eccessivo e tutto sommato abbastanza ingenuo, come può esserlo la visione drammatica di una civiltà che vive senza mezze misure e sfumature i suoi abissi sentimentali. Da noi, in Europa, è tutt’altra storia: troppi secoli e troppa strada si è fatta per giungere ad altre raffinatezze, altre caute introspezioni; Cecov o Pirandello sarebbero impensabili nello stile Broadway! Infatti Birdman è molto “all— Broadway”: si tratta in breve delle angustie; miserie, ripicche, litigi e passioni intorno alla tormentata messa in scena di un dramma. Tranne alcuni esterni dove l’uomo—uccello torna a volare o inscena una corsa in mutande sotto la pioggia, i giochi sono tutti teatrali, chiusi nelle quinte anguste ed elettrizzate di un teatro newyorchese. Birdman è l’eroe, anzi il supereroe che ha avuto soldi e celebrità col suo costume alato, ma adesso vuole diventare attore vero e protagonista di una nuova scena, misurarsi fuori dai set hollywoodiani di serie B per dimostrare (soprattutto a sé stesso) che l’uomo vale anche senza penne da volatile.
Nel tortuoso percorso verso il sofferto successo, anzi verso la resurrezione dell’uomo—Fenice, non ci viene risparmiato proprio nulla delle tipiche maschere e dei luoghi comuni del teatro americano: l’attore impulsivo tutto genio, sesso e sregolatezza che violenta le convenzioni del teatro borghese, l’attrice fragile e frustrata, la figlia sputasentenze e incattivita dal solito padre “assente”, la moglie paziente e assennata, financo l’eterno nume—critico teatrale che dall’alto dei suoi corsivi attesi come oracoli dispensa vita o morte… Inoltre c’è la mitologia “yankee” dei supereroi e dei mostri fumettari (del resto noi abbiamo, di più antica data, Teseo e il suo Minotauro) e infine la folla isterica e plaudente alle follie dei protagonisti. Il tutto infine in salsa appunto agitata e frenetica come una maionese impazzita di andirivieni e alterchi senza riposo. Ma questa è l’America, con l’irrompere del suo genio ingenuamente corrosivo nell’attesa dell’inevitabile lieto fine e della nuova aurora in cui il protagonista dalle buie cantine e botole teatrali torna a librarsi sulle nuvole… A proposito, i superpoteri di Birdman sono realtà o sogno dell’attore? Ma forse poco importa.
A suo modo Birdman è un capolavoro, sincero fino all’eccesso, amaro e divertito coi suoi feticci e i suoi eroi immortalati dal “Web”.

Luigi M. Bruno

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Birdman

Un film di Alejandro González Iñárritu
Con Michael Keaton, Zach Galifianakis, Edward Norton, Andrea Riseborough, Amy Ryan, Emma Stone, Naomi Watts, Lindsay Duncan, Merritt Wever, Jeremy Shamos, Bill Camp, Damian Young, Natalie Gold, Joel Garland, Clark Middleton, Anna Hardwick, Dusan Dukic, Carrie Ormond, Kelly Southerland
Commedia, Ratings: Kids+13
USA 2014
durata 119 min.
20th Century Fox

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Naufraghi in città

Hae Lee Yun, regista coreano (classe 1973), nel 2009 praticamente esordisce con il suo lungometraggio “Castaway in the Moon” (Naufrago sulla luna), uno straordinario “pamphlet” o se volete una denuncia seppur ironica, tra il grottesco e il poetico, di una condizione umana contemporanea stravolta dall’escalation super tecnologizzata che ci aliena ogni giorno di più dalla sostanza e dal nodo essenziale della nostra sacrosanta umanità.
Attraverso il maldestro tentativo di suicidio del giovane protagonista che invece di annegare approda su un deserto isolotto in mezzo alla città dove resterà incredibilmente prigioniero, novello Robinson Crusoe, nonostante sia a un tiro di schioppo dalla metropoli che lo ignora, ci si spiega in termini brutali e paradossali come ognuno di noi viva perso e naufrago nel marasma di un mondo pur vicinissimo ma in realtà estraneo la condizione di una miserevole ed umiliata umanità. Così la lingua sabbiosa e la città diventano e sono per metafora e in concreto landa lunare e desolata in cui si svela totale la propria solitudine.
La favola, grottesca e crudele, ci racconta quindi che il ridicolo naufrago in mezzo ai detriti della città si spoglia ogni giorno di più dalla sua scorza di superficiale civiltà per sopravvivere riutilizzando con l’acume talvolta geniale della necessità i rifiuti che la marea gli depone ai piedi. Così l’uomo con l’essenzialità del suo necessario adattarsi riacquista le capacità elementari perdute nei meandri illusivi di una matrigna irrealtà tecnologica: ridiventa per forza cacciatore, pescatore, agricoltore, costruttore, edificando giorno per giorno una nicchia di sopravvivenza dove il poco o quasi niente ridiventa l’indispensabile.
Ma non basta; l’autore lancia un’altra geniale esca: una stralunata ragazzina, auto reclusa alla sommità di un grattacielo, circondata da ogni ben di Dio tecnologico scruta il mondo esterno pur rifiutandolo (la madre le passa i pasti sotto la porta e lei esce per le necessità corporali solo quando in casa rimane sola!).
Siamo agli estremi di una condizione addirittura comica nella sua mostruosità, ma l’assurdo si traduce poi nel poetico di una vita faticosamente riacquistata alla bellezza degli umani, imprescindibili sentimenti.
La fanciulla, anche lei “marziana” e straniera in mezzo alla città, anche lei naufraga nel suo isolotto di plastica e metallo, scopre dalla cima della sua torre col suo superteleobiettivo il buffo ometto ormai felicemente inselvatichito. È il “gancio” attraverso un singolare e improvviso innamoramento per vincere la sua paura del mondo: ha scoperto qualcun altro in mezzo alla luna, mentre lui coltiva pazientemente i suoi chicchi di grano e lei di notte fugge dalla sua prigione per lanciargli i suoi messaggi in bottiglia. Fino a quando l’incredibile naufrago, recuperato finalmente, riapproda malvolentieri sulla riva della “civiltà” e lei ritrova il coraggio per evadere definitivamente dalla sua prigione. Così Robinson e la sua leggiadra Venerdì, reduci entrambi dall’avventurosa follia di un mondo assurdo e straniante, fatalmente si incontrano e si riconoscono.
La tessitura dell’apologo, a tratti geniale, ci ammaestra e ci ammonisce pur con la leggerezza di un satirico poeta sui tratti essenziali di questa parabola curiosamente impietosa.
Un doppio naufragio stavolta a buon fine.

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Titolo Italiano
Naufrago sulla luna
Registi: Hae Lee Yun
Anno: 2009
Sceneggiatore: Hae-jun Lee
Fotografia: Kim Byung-seo
Musica: Hong-jip Kim
Nazione: Corea del Sud
Durata: 116 minuti
Produzione: KIM Moo-ryoung – Banzakbanzak Film Production
Distribuzione Internazionale: CJ Entertainment Inc.
Cast
Jung Ryeo-won
Park Yeong-seo
Yang Mi-kyung
Min Kyoung-jin
Jang Nam-yeol
Yi Sang-hun
Jang So-yeon

Trailer

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