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Mentre Munch urlava Hammershøi sussurrava

Nel 2025, due importanti mostre italiane mettono a confronto due giganti dell’arte nordica: Vilhelm Hammershøi e Edvard Munch. La prima, ospitata a Palazzo Roverella di Rovigo, è dedicata al maestro danese del silenzio e della luce. La seconda, allestita a Palazzo Bonaparte di Roma, esplora la tormentata visione interiore del celebre artista norvegese.

Dal 21 febbraio al 29 giugno 2025, la retrospettiva “Hammershøi e i pittori del silenzio” offre un’ampia panoramica sulla poetica dell’artista danese. Celebre per i suoi interni austeri, le figure solitarie e le tonalità monocrome, Hammershøi ha saputo trasformare il quotidiano in un’esperienza sospesa tra realtà e sogno. La mostra include oltre 100 opere, mettendo a confronto il suo stile con altri artisti che condivisero la sua sensibilità.

Questo evento si inserisce nel solco di altre importanti esposizioni dedicate all’artista, tra cui la memorabile mostra del 2008 alla Royal Academy of Arts di Londra. In quell’occasione, l’attenzione era focalizzata sul minimalismo emotivo e sull’uso della luce, aspetti che ritroviamo anche nella mostra di Rovigo. Tuttavia, la mostra italiana approfondisce ulteriormente il legame tra Hammershøi e altri pittori del suo tempo, offrendo un contesto più ampio alla sua produzione.

Parallelamente, dal 11 febbraio al 2 giugno 2025, la mostra “Munch. Il grido interiore” porta a Roma 100 capolavori provenienti dal Munch Museum di Oslo. L’esposizione traccia l’evoluzione del pittore norvegese, dal Simbolismo al primo Espressionismo, esplorando temi universali come la paura, l’amore, la malattia e la morte. Munch, a differenza di Hammershøi, esprime il suo tormento interiore con una tavolozza cromatica accesa e pennellate vibranti, come nel celebre “L’Urlo”.

Nonostante entrambi gli artisti appartengano al Nord Europa e abbiano vissuto lo stesso periodo storico, le loro opere e le relative esposizioni offrono esperienze molto diverse:

Hammershøi crea un mondo di silenzio e sospensione, mentre Munch esprime un’angoscia esistenziale intensa.

Hammershøi usa una palette sobria, con giochi di luce e ombra che evocano il mistero. Munch, invece, predilige colori vivaci e pennellate espressive, quasi violente.

Esperienza espositiva: A Rovigo si respira un’atmosfera meditativa, dove ogni quadro invita alla contemplazione. A Roma, la mostra di Munch offre un percorso emotivamente forte, con opere che scuotono lo spettatore.

Queste due mostre rappresentano un’opportunità unica per immergersi nell’arte nordica, esplorandone due anime opposte: da un lato, il minimalismo poetico di Hammershøi, dall’altro, la drammaticità viscerale di Munch. Per chi ha amato la retrospettiva di Hammershøi alla Royal Academy di Londra nel 2008, la mostra di Rovigo offre una nuova chiave di lettura, mentre l’esposizione su Munch a Roma si rivela un viaggio intenso nelle profondità dell’animo umano.


Vilhelm Hammershøi
Dal 21 febbraio 2025 al 29 giugno 2025

Palazzo Roverella
Rovigo

A cura di Paolo Bolpagni


Munch
Il grido interiore

Dall’11 febbraio al 2 giugno 2025

Palazzo Bonaparte
piazza Venezia, 5
Roma

A cura di Patricia G. Berman con la collaborazione scientifica di Costantino D’Orazio e del museo di Oslo

Produzione Arthemisia


Edvard Munch oltre l’iconico Urlo, IL FUOCO INTERIORE

“Non credo ad un’arte che non sia dettata dal bisogno dell’uomo di aprire il suo cuore”

“Io che conoscevo ciò che esisteva sotto la superficie lucente, non potevo unirmi a chi viveva tra le illusioni – sulla superficie lucente che rifletteva i puri colori dell’atmosfera”

“Attraverso la mia arte ho cercato di spiegare a me stesso la vita e il suo significato, ma anche aiutare gli altri a comprendere la propria” Edvard Munch (E.M.)

Dopo Milano, è finalmente a Roma la mostra dedicata a Edvard Munch (Norvegia, 1863 -1944).
Palazzo Bonaparte ospita un’ampia retrospettiva che indaga sull’universo dell’artista norvegese attraverso 100 opere prestate eccezionalmente dal Munch Museum di Oslo, tra cui una delle versioni litografiche custodite a Oslo de L’Urlo (1895).
L’esposizione presenta Munch non solo come eclettico artista (pittore, incisore e fotografo), ma anche come uomo che si racconta (attraverso lettere, note di viaggio, diari, fino ai pensieri sparsi sul suo lavoro) comunicando riflessioni, emozioni e la sua visione del mondo.
La perdita prematura della madre a soli cinque anni e della sorella, i ricoveri di un’altra sorella in una clinica psichiatrica, lo stato mentale del padre “ipereccitabile pietista religioso fino alla pazzia” (E.M.), lo conducono precocemente ad acquisire una particolare sensibilità verso ciò che lo circonda che marcherà il suo vissuto e la sua potenza espressiva.
Attraverso il suo microcosmo filtra e interpreta la sua epoca.
A partire dalla fine dell’Ottocento, infatti, la cultura europea attraversa profondi sconvolgimenti; si avverte quell’agitazione sociale in cui le norme culturali, i paradigmi scientifici e le ideologie politiche vengono messe in discussione e sono in costante mutamento.
Precoce nel cogliere alcuni aspetti della vita e di sé stesso, Munch, si esprime facendo percepire, oltre che vedere, emozioni esistenziali come la sofferenza, l’angoscia, ma anche l’amore e la rinascita. Per questo forse, la sua pittura trova affinità elettiva, nell’immaginario teatrale nordico di Ibsen e Strindberg.
Artista prolifico, Edvard Munch si esprime liberamente sperimentando fino a individuare un linguaggio proprio.
Le scene appaiono in spazi costituiti da blocchi di colore uniformi dove l’artista spesso deforma le linee prospettiche per rappresentare l’impressione, la sensazione che gli spazi trasmettono allo stato d’animo; i personaggi presentano a volte fissità negli sguardi o incompletezza nei volti per esprimere nella scena l’angoscia o il dramma. Il processo creativo sintetizza ciò che l’artista ha osservato e quello che ricorda emozionalmente. Inoltre, “luce e colori non sono accessori secondari ma esuberanti co-protagonisti di quella percezione di sé e della propria essenza interiore da rovesciare sul palcoscenico del mondo.” (E.M.)
Nella sua tavolozza, il blu è usato principalmente per le atmosfere mistiche e introspettive; il nero per i suoi significati simbolici universali che evocano la morte e la rinascita; “il giallo è la guancia dell’ inganno, infedele e astuto per natura, l’appiccicoso colore giallo” (E.M.); il bianco è usato per rappresentare la purezza e l’innocenza ma anche l’assenza di vita (come le maschere dei suoi spettri); rosso per la passione o il desiderio che diventano tentazione, seduzione e peccato; “marrone è la fermezza – che fugge la sua pace mentale – paziente e forte” (E.M.);
Incurante dello scandalo suscitato dalle sue opere per temi e tecniche utilizzate, seguendo suo fuoco interiore, crea La bambina malata (1885-86), Sul letto di morte. La febbre (1893), Malinconia (1900), Madonna (1895-1902), Vampiro (1895), Autoritratto all’inferno (1903), La morte di Marat (1907) che ora possiamo ammirare nell’esposizione romana.
Per tutta la sua carriera artistica, critici conservatori hanno denigrato le sue opere definendole incomplete o mancanti di finitura; ciò nonostante, è diventato protagonista indiscusso nella storia dell’arte moderna.
Oggi Munch è considerato un precursore dell’Espressionismo e uno dei più grandi esponenti simbolisti dell’Ottocento.


Munch
Il grido interiore

Dall’11 febbraio al 2 giugno 2025

Palazzo Bonaparte
piazza Venezia, 5
Roma

A cura di Patricia G. Berman con la collaborazione scientifica di Costantino D’Orazio e del museo di Oslo

Produzione Arthemisia