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Figures du Fou: la mostra che ci interroga sulla follia oggi

La Mostra Figures du Fou. Du Moyen Âge aux romantiques al Louvre si interroga e ci interpella sulla figura del Folle presentandocelo nell’arte e nella cultura occidentale dalla sua comparsa nel Medioevo fino ai romantici. Chi è il Folle?
Anzitutto occorre precisare che con il termine Fou si vuole intendere una varietà di significati che sottendono differenti complessità che vanno dalla malattia mentale allo stolto, dal buffone deforme al giullare.
Ma chi è il Folle e come viene rappresentato?

Ecco, dunque, la premessa da cui si sviluppa l’esposizione in un percorso cronologico dove trecento opere tra sculture, oggetti d’arte, medaglie, miniature, disegni, incisioni, tavole, arazzi (appartenenti al contesto dell’arte nordeuropea – inglese, fiamminga, tedesca e soprattutto francese) esprimono una molteplicità di immagini derivanti dalla percezione e dal ruolo assegnato al Folle dalla cultura dominante nelle varie epoche storiche.
Fu il Medioevo, a dare corpo alla figura eversiva del pazzo che affonda le sue radici nel pensiero religioso, successivamente però la sua immagine fiorì nel mondo secolare per diventare, alla fine di quel periodo, un elemento essenziale della vita sociale urbana.
Nel XIII secolo la nozione di follia era indissolubilmente legata all’amore e alla sua misura o eccesso, prima nell’ambito spirituale, poi in quello terreno. Dalle figure bizzarre, creature grottesche e ibride dei marginalia che sembrano mettere in discussione l’ordine della Creazione del mondo o sdrammatizzare l’importanza del testo che accompagnano, giungiamo alle rappresentazioni derivanti dalla tradizione biblica che fanno del pazzo un personaggio inquietante. L’ insipiens rifiuta Dio (Salmo 52: “Lo stolto disse in cuor suo: Dio non esiste”. Accanto all’insipiens però viene rappresentato anche il pazzo di Dio (la follia agli occhi degli uomini è sapienza agli occhi di Dio – S. Paolo) come San Francesco d’Assisi, che ribalta i valori attribuiti dal suo rango sociale e dalla sua famiglia di origine per avvicinarsi proprio a Lui. Nelle rappresentazioni legate all’amore terreno, invece il pazzo sembra mettere in guardia dai vizi della lussuria facendo da specchio alla follia degli uomini.
Il pazzo diviene “politicizzato” e “socializzato” nel XIV secolo. Il buffone di corte è la figura istituzionalizzata dell’inversione dei valori del potere. Il giullare è colui a cui è permesso prendersi gioco delle debolezze della corte. Viene messa in atto una nuova iconografia e riconosciamo il buffone dai suoi attributi: berretto, mantello rigato o mezzo busto, cappuccio, campanelli. Il pazzo diviene una moda di corte: viene ritratto e addirittura riportato nelle monete con la sua effige come quella di Triboulet, il giullare di René, duca d’Angiò. Applauditi e temuti a corte, vivono un quotidiano comunque segnato dalla solitudine e condannato al disprezzo della società.
Il XV secolo vide la straordinaria espansione della figura del pazzo, legata alle feste di carnevale e agli scritti di Brant ed Erasmo. Associato alla critica sociale, il pazzo funge da veicolo delle idee più sovversive. Ha un ruolo anche nei tormenti della Riforma: in questo contesto il pazzo è l’altro (cattolico o protestante). A cavallo tra Medioevo e Rinascimento, la sua figura divenne onnipresente, come dimostrano l’arte di Bosch e poi quella di Bruegel dove diventa testimone della follia degli uomini.
La figura del Folle comincia ad essere meno presente a partire dal Seicento, mentre nel Settecento, il secolo dei Lumi, «con il trionfo della ragione» tende a sparire ma le prime ondate del romanticismo, esaltando sentimenti e passioni, ispirano alcuni artisti, come Johann Heinrich Füssli, che propongono opere segnate dalla bizzarria e dalla paura. Questi artisti si affidano a riferimenti letterari o alla propria esperienza di dolore psicologico, come nel caso degli autoritratti dello scultore Messerschmitt (1736-1783).
All’alba dell’Ottocento, il Folle è «resuscitato» dalle opere di Gustave Courbet, Jan Mateyko e di Francisco Goya, con «Il cortile del manicomio» (1794) dove “il volto del folle finisce con l’identificarsi con quello dell’artista, in lotta con la sua angoscia e con la sua stessa follia”. Questa opera fu successivamente reinterpretata da Vincent Van Gogh.
Nella prima metà dell’Ottocento, con la figura del “pazzo” ci si riferisce soprattutto al malato mentale recluso in manicomio; tale visione pian piano si trasformerà: la follia non verrà considerata esclusivamente come totale irragionevolezza ma indicherà comunque figure ai margini della società come i mendicanti, i delinquenti, i dissoluti.
Chi è stato dunque il Folle? In ogni epoca il Folle è stato segno di inciampo, di ribaltamento dei valori dominanti e per questo fonte di attrazione e repulsione nel percepito comune. Il Folle, dunque, è stato destinato ad essere nella sostanza emarginato, stigmatizzato dove il rispetto della norma è il segno determinante dell’accettabilità.
Chi sarebbe il Folle oggi? Sotto la spinta della globalizzazione e dell’omologazione, forse il Folle sarebbe colui o colei che riuscisse a mantenersi individuo mantenendo la speranza di una collettività che ritorni ad essere umana.


Figures du Fou
Du Moyen Âge aux Romantiques

Dal 16 ottobre 2024 al 3 febbraio 2025

Musée du Louvre
Rue de Rivoli, Paris 1e
Parigi (Francia)

A cura di Élisabeth Antoine-König e Pierre-Yves Le Pogam


Il Surrealismo come esperienza collettiva

Dopo 22 anni dall’ultima esposizione sul Movimento Surrealista, il Centre Pompidou ritorna a proporcelo in occasione del suo centenario, ampliandone la visione, in termini geografici e contenuto, includendo artiste che sono state parte integrante del movimento d’avanguardia.
Una mostra globale, femminile e internazionale, che riunisce opere iconiche articolate in un percorso, crono-tematico che tocca i temi del sogno, inteso come esplorazione l’inconscio; delle rappresentazioni ibride o composite (come l’immagine della Chimera o l’“Ombrello e macchina da cucire” dello scrittore Isidore Ducasse), nutrimento dell‘immaginario surrealista; della foresta come teatro della magia e della meraviglia, metafora del labirinto e del viaggio iniziatico; della follia intesa come totale libertà dell’essere e potere fantasioso, usato per ritornare all’incontro con quella parte di se che la società mette a tacere.
La mostra propone, in un allestimento totalmente immersivo per il visitatore, personaggi della letteratura (come Alice di Lewis Carrol), della tradizione popolare (come la fata Melusina), e dei miti (come le chimere omeriche). Tra le opere esposte: «Il cervello del bambino» (1914) di Giorgio de Chirico, prestato dal Moderna Museet di Stoccolma, «La Grande Foresta» (1927) di Max Ernst dal Kunstmuseum di Basilea, «Il grande masturbatore» (1929) di Salvador Dalí dal Reina Sofía di Madrid e il «Cane che abbaia alla luna» (1952) di Joan Miró dal Philadelphia Museum of Art. Nel percorso si incontrano anche i lavori delle surrealiste Leonora Carrington, Remedios Varo, Ithell Colquhoun, Dora Maar, Dorothea Tanning, oltre che del giapponese Tatsuo Ikeda e del messicano Rufino Tamayo.
Il Surrealismo è quanto mai attuale, come afferma la co-curatrice della mostra Marie Sarré, insieme a Didier Ottinger, vicedirettore del museo: “È stato l’unico movimento d’avanguardia a prendere le distanze dal Modernismo in una fase molto precoce. Contro l’industrializzazione, il macchinismo e il progresso, i surrealisti intuirono che era necessario inventare un nuovo rapporto con il mondo, più in armonia con la natura e il cosmo. Il Surrealismo non può essere ridotto a un’estetica o a un formalismo: è soprattutto una filosofia, un’esperienza collettiva che non si riduce a dogmi estetici, ma si costruisce intorno a valori condivisi. Questo è anche ciò che ne garantisce l’eccezionale longevità e vitalità, poiché si arricchisce continuamente di nuovi contributi. Nacque nel 1924 come reazione alle atrocità della Prima guerra mondiale e si affermò in tutti i Paesi come reazione all’ascesa del fascismo. Anche oggi, con il riemergere dei nazionalismi, gli artisti trovano rifugio nel «meraviglioso» surrealista.”
Se dunque al Louvre troviamo l’esposizione “Figures du Fou. Du Moyen Âge aux” che ci interroga sulla figura del Folle domandandoci implicitamente chi oggi verrebbe stigmatizzato come tale, nel Centre Pompidou la rivoluzione Surrealista ci fa riflettere su quali valori può attingere la collettività nella nostra epoca postmoderna per recuperare e condividere una narrazione ricca e generativa di nuovi legami con la realtà, giacché il linguaggio comune sembra non aprirsi più alla vita.
E oggi come allora, il grido di sofferenza espresso nel testo de “I Campi Magnetici” appare un punto di partenza per una possibile rinascita.

“… A cosa servono questi grandi e fragili entusiasmi, questi sussulti di gioia inariditi? Noi no, non sappiamo altro che le stelle morte; guardiamo i volti, e sospiriamo dei piaceri… La nostra bocca è più secca delle pagine perdute; i nostri occhi si girano senza scopo, senza speranza…Tutti ridiamo, cantiamo, ma nessuno sente più battere il cuore…Quindi dobbiamo soffocare ancora per vivere questi minuti piatti, questi secoli a brandelli.” (André Breton, Philippe Soupault, Les Champs magnétiques, 1919).


Le surréalisme – Surrealismo
Dal 4 settembre 2024 al 13 gennaio 2025

Centre Pompidou
Centre National d’Art et de Culture Georges Pompidou
75191 Paris Cedex 04
Parigi

A cura di Didier Ottinger e Marie Sarré

Informazioni:
Telefono: +33 (0)1 44 78 12 33
Email: contact@contact-centrepompidou.fr


Cantico delle Creature: ottocento anni di modernità

Avvicinandosi l’ottavo centenario della composizione del Cantico delle Creature di san Francesco di Assisi, che si celebrerà nel 2025, e prendendo le mosse da questo che è il più antico manoscritto – tra i primi testi poetici in volgare italiano giunti a noi – la mostra propone un itinerario, costantemente accompagnato da una narrazione multimediale, attraverso 93 opere rare del Fondo antico della Biblioteca comunale di Assisi conservate presso il Sacro Convento.

Nel 1225, Francesco compone il celebre Cantico delle creature, inno di lode, stupore riconoscente di fronte al creato, un poema in forma di preghiera che esprime una originale visione del mondo: la fratellanza tra tutti gli esseri del creato. È un inno profondamente moderno e universale che ha attraversato indenne ottocento anni della nostra storia. La copia più antica è custodita nella Biblioteca del Sacro Convento di Assisi, è arrivata a noi in una raccolta di fascicoli del XIII secolo riguardanti san Francesco, le origini dell’Ordine dei frati Minori e santa Chiara.

Questo canto ha accompagnato la diffusione del francescanesimo e ha influenzato profondamente il sentimento religioso in modo universale.

La tradizione intellettuale francescana ha proposto una visione spirituale del creato strettamente connessa a un approccio scientifico alla realtà. Gli esseri inanimati, il mondo vegetale e animale e lo stesso uomo sono stati indagati con il rigore critico che le categorie e i metodi della scienza del tempo via via suggerivano, sempre visti però – alla luce del Cantico di Frate Sole – quali fratelli e sorelle uniti nella lode di Dio e abitatori corresponsabili della “casa comune” che è il mondo.

Non è scomparso soprattutto il riferimento ideale – divenuto in un certo senso ancor più diretto ed esplicito – al Cantico di Frate Sole. Il creato, il nostro mondo, oltre all’esigenza di essere meglio conosciuto e compreso nei suoi meccanismi, ha bisogno soprattutto di rispetto e tutela, di persone preparate e motivate, capaci di dedicarsi a tempo pieno ad un impegno culturale, sociale e politico perché la nostra “casa comune” rimanga un ambiente ospitale, per tutti.

Nella visione francescana la salvaguardia del creato rimane sempre connessa con due realtà che non si possono disgiungere: la pace e la giustizia – in linea con il messaggio che papa Francesco ha affidato alla sua enciclica Laudato sì. Lo spirito del Cantico, con la sua apertura al mondo, la considerazione della fondamentale bontà di ciò che ci circonda, la comprensione del legame fraterno con tutte le altre creature e soprattutto con tutti gli altri uomini e donne, sono oggi gli atteggiamenti che accompagnano non tanto una ricerca intellettuale rivolta alle creature, ma una scelta di farsi prossimi e condividere l’impegno per l’ecologia integrale.”

Lungo il suo percorso, cadenzato dalle diverse sezioni, la mostra racconta la profonda dimensione filosofica e spirituale che da sempre guida l’Ordine francescano e, allo stesso tempo, ne illustra l’impegno intellettuale espressosi nell’ambito della riflessione scientifica, come attestato dai numerosi trattati tramandati nei preziosi manoscritti esposti.

La mostra ci permette di toccare con mano come nei secoli vi sia stata sempre la presenza nell’Ordine francescano di una “curiosità” scientifico- filosofica intessuta di senso religioso e meraviglia; soprattutto, ci consente di comprendere come il Cantico della Creature, vero e proprio “manifesto” di un approccio empatico e fraterno nei confronti della Natura, di uomini e donne, possa, ancor oggi, trovare consonanza con le aspirazioni di tutti noi al di là della distanza cronologica e culturale con il Santo di Assisi che lo compose.


Laudato sie: Natura e Scienza
L’eredità culturale di Frate Francesco
1224 – 2024
Dal 2 ottobre al 6 gennaio 2025

Museo di Roma – Palazzo Braschi
Roma

Ingresso gratuito per i possessori di Mic Card

Il Comitato scientifico è composto dal professor fra Luciano Bertazzo OFMConv (Ordine dei frati minori conventuali), della Facoltà Teologica del Triveneto, direttore del Centro Studi Antoniani di Padova; dal professor fra Carlo Bottero OFMConv, dell’Istituto Teologico di Assisi, direttore della Biblioteca del Sacro Convento di Assisi; dal professor Stefano Brufani, dell’Università degli Studi di Perugia, presidente della Società Internazionale di Studi Francescani di Assisi; dal professor Paolo Capitanucci, dell’Istituto Teologico di Assisi; dal commendatore Stefano Acunto – Berardini, Presidente della Italian Academy Foundation, Inc. e noto sostenitore della cultura.

Promossa da Roma Capitale, Assessorato alla Cultura, Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali e organizzata dalla St. Francis Day Foudation con il Sacro Convento di Assisi, l’Italian Academy Foundation e l’Associazione Antiqua e con il patrocinio del Comune di Assisi. Sevizi museali Zetema Progetto Cultura.

Non perdete la mostra LAUDATO SIE che dopo Roma, verrà ospitata successivamente ad Assisi nelle sale del Sacro Convento il 7 aprile 2025, dove rimarrà fino al 12 ottobre 2025.


Cantico di Frate Sole

Altissimu, onnipotente, bon Signore,

Tue so’ le laude, la gloria e l’honore et onne benedizione. Ad Te solo, Altissimo, se konfane,

e nullu homo ène dignu Te mentovare.

Laudato sie, mi’ Signore, cum tutte le Tue creature, spezialmente messor lo frate Sole,

lo qual è iorno et allumini noi per lui.

Et ellu è bellu e radiante cum grande splendore: de Te, Altissimo, porta significazione.

Laudato si’, mi’ Signore, per sora Luna e le stelle: in celu l’ài formate clarite e preziose e belle.

Laudato si’, mi’ Signore, per frate Vento

e per aere e nubilo e sereno et onne tempo,

per lo quale a le Tue creature dài sustentamento.

Laudato si’, mi’ Signore, per sor’Acqua,

la quale è multo utile et humile e preziosa e casta.

Laudato si’, mi’ Signore, per frate Focu,

per lo quale ennallumini la notte:

et ello è bello e iocundo e robustoso e forte.

Laudato si’, mi’ Signore, per sora nostra matre Terra, la quale ne sustenta e governa,

e produce diversi frutti con coloriti flori et herba.

Laudato si’, mi’ Signore, per quelli ke perdonano per lo Tuo amore e sostengo infirmitate e tribulazione.

Beati quelli ke ’l sosterrano in pace, ka da Te, Altissimo, sirano incoronati.

Laudato si’, mi’ Signore, per sora nostra Morte corporale, da la quale nullu homo vivente po’ skappare:

guai a quelli ke morrano ne le peccata mortali;

beati quelli ke trovarà ne le Tue santissime voluntati,

ka la morte secunda no ’l farrà male.

Laudate e benedicete mi’ Signore e rengraziate e serviateli cum grande humilitate.

Francesco d’Assisi

Acqua benevola di vita o malevola matrigna

Il sesto Obiettivo del Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo è dedicato all’Acqua pulita e ai servizi igienico-sanitari, affinché non ci sia più una persona su tre senza servizi igienici, perché le popolazioni senza Acqua pulita e servizi igienico-sanitari sono maggiormente vulnerabili ad ammalarsi e a morire.

Nelle baraccopoli africane come in quelle sudamericane, nei campi profughi come a Gaza, i bambini giocano tra acque stagnanti e senza Acqua potabile e servizi igienici.

Si muore sia per mancanza di Acqua che per la sua eccessiva presenza, ma non tutti sono consapevoli di cosa vuol significare avere o non avere l’Acqua.

Una mostra dedicata all’Acqua come elemento di vita, ma anche come motivo di conflitto, non ad un l’utilizzo metaforico come strumento per lavare la propria immagine incrinata da qualche discutibile precedente comportamento, ma come momento di riflessione di quanto una minoritaria parte dell’umanità ha tanta acqua da potersi permettere di sprecarla e quante persone ne soffrono per sua mancanza.

L’Acqua attraverso le opere di una ventina di artisti, dal figurativo all’astratto, che hanno usato la pittura, la terracotta, la fotografia, l’assemblage, le performance e il video, per rappresentarla benevola come fonte di vita o una malevola matrigna come causa di alluvioni e conflitti.

Artisti come Carlo Ambrosoli, Elisabetta Bertulli, Gregorio Gumina e Tiziana Morganti, in un alternarsi di drammaticità e di mito, propongono l’Acqua come ostacolo per raggiungere un luogo ideale, come un’isola, per ricostruirsi una vita.

Claudia Bellocchi, il binomio DESART2 (Alessandra Degni – Simona Sarti), Ada Impallara, Giacomo La Commare e Bianca Lami, propongono una narrazione astratta, per offrire una visione di un’Acqua tumultuosa o placida, attraversata dalla luce o dalla tenebre che rasentano impressionismo.

Luigi M. Bruno, con segni fluidi, offre una lettura dell’Acqua sia di vita che di conflitto e secondo la sponda da cui si guarda, mentre l’acquerello di Alessandra Parisi, da una visuale aerea, propone un fiume che scorre tra piante, la cui tranquillità viene interrotta dalla bellicosa opera dell’uomo.

Bruno Menissale e Cosetta Mastragostino, sembrano affrontare l’apparente immobilità dell’Acqua di una laguna, il primo con plumbee atmosfere, mentre la seconda, con le cromaticità del verde, sono delle piante ad uscire dallo spazio del racconto.

Eclario Barone propone le luci e le ombre, con la cripticità dell’Acqua e si contrappone alla narrazione del fiume conteso nell’opera descrittiva di Massimo Napoli, mentre Tania Kalimerova, delicatamente, affronta la tematica della siccità.

La morbidezza della ceramica di Elizabeth Frolet dialoga a distanza con il lavoro di Daniela Passi, non tanto perché sembra scaturire da reminiscenze Dadaiste, ma per la capacità onirica di rimaneggiare e assemblare oggetti del quotidiano, come nella fluidità delle forme nel narrare.

Le fotografie di Toni Garbasso e di Graziella Reggio sono delle testimonianze immaginative dell’Acqua, la prima nel suo fluire in un’ambientazione crepuscolare, mentre la seconda è avvolta in un’atmosfera melanconica, con la nebbia che avvolge il ponte e la natura e sembra presagire alla siccità.

I video di Eleonora Del Brocco, Daria Lior-Shoshani e Chantal Spapens, passano dal documentario-reportage alla fiction, sino alla testimonianza poetica e performativa.


ACQUA
di vita – di conflitto
Dal 12 ottobre 2024 al 10 gennaio 2025

Con le opere degli artisti:

Carlo Ambrosoli, Eclario Barone, Claudia Bellocchi, Elisabetta Bertulli, Luigi M. Bruno, Eleonora Del Brocco, DESART2 (Alessandra Degni – Simona Sarti), Elizabeth Frolet, Toni Garbasso, Gregorio Gumina, Ada Impallara, Tania Kalimerova, Giacomo La Commare, Bianca Lami, Gianleonardo Latini, Cosetta Mastragostino, Bruno Menissale, Tiziana Morganti, Massimo Napoli, Alessandra Parisi, Daniela Passi, Graziella Reggio, Daria Lior-Shoshani, Chantal Spapens

Inaugurazione il 12 ottobre 2024 alle ore 10.00
Presso la Fondazione MAGIS ETS in via degli Astalli, 16 a Roma

Orario: dal lunedì al venerdì dalle 15.00 alle 17.00
Per informazioni e su appuntamento:
tel. + 39 06 69 700 32
michisanti.p@fondazionemagis.org

Nell’ambito di Arte solidale e in collaborazione con il collettivo Artisti Oltre i Confini
a cura di Gianleonardo Latini


Non chiedermi chi sono

È importante chiarire fin dall’inizio che il romanzo “Non chiedermi chi sono” non è semplicemente l’ennesima storia di donne scritta per un pubblico femminile.

Claudia Bellocchi supera tutto ciò rappresentando un universo in cui l’essere donna diventa pericolo, sottomissione e oscuri segreti.

Il romanzo inizia con la presentazione della protagonista, Frankie, una donna con tanti ricordi dolorosi, ma forte e con lo sguardo rivolto al futuro.

Tutta la storia è raccontata da lei stessa, vediamo attraverso i suoi occhi, viviamo le stesse esperienze e finiamo per subire le cicatrici che porta il corpo di Frankie.

Il lettore non si lasci ingannare: non è la storia di un’individualità, anzi, l’universo è collettivo, Frankie è la rappresentazione di tutta la possibile violenza che una donna può subire nella sua vita e in questa società.

Ma il romanzo non descrive scene cruente, anzi, lascia al lettore un sentimento di violenza consumata ma non espressa a parole. Il risultato è una storia dura, che lascia spazio a libere interpretazioni ma non rientra nella semplicità di una scena del crimine.

Frankie deve crescere in fretta, affrontare il mondo e sceglie, intraprendendo un percorso di ricerca verso un futuro migliore.

Vive nel porto, impara a difendersi e trova amici.

Ma la società si opporrà con un muro di divieti, di silenzi, di leggi che vanno rispettate per quanto assurde possano sembrare.

La poesia sarà considerata un nemico, la voce che denuncia è soppressa per il bene comune.

Nel romanzo, poi, non c’è spazio per i luoghi comuni, per l’amore e per il lieto fine.

Le uniche forze che ci permettono di andare avanti sono la complicità femminile e la trasparenza.

Si può dire che “Non chiedermi chi sono” chiede al pubblico un’adesione immediata alla sofferenza dell’abuso (nel senso più profondo del termine).

Le cicatrici di Frankie irrompono nell’immobilità del lettore e modificano le strutture preconcette: la scrittura diventa un disegno che permette di scoprire la parte nascosta e autentica di sé stessi.

La narrazione diventa un evento, un testo, un’esperienza personale cruda e dolorosa vissuta di nuovo e interpretata ancora una volta, le parole si compongono tra loro per liberare un linguaggio espressivo: un flusso di coscienza che dissolve il trauma e accoglie la liberazione della propria coscienza.

Gli eventi che Frankie deve affrontare si muovono verso una soluzione in un finale che definisce e libera.

Si può affermare che da una frammentazione senza uscita si materializza una coscienza liberatrice, lasciando Frankie sulla soglia di un’esistenza rinnovata, pronta a vivere con coraggio e libertà.

Lo scritto di Claudia Bellocchi ci permette di riflettere sull’arroganza, senza pretendere di essere onniscienti, con l’obiettivo di migliorare l’umanità ed evitare nuove forme di sopruso.

Quale potrebbe essere il messaggio? La donna deve trovare la forza per superare l’ombra della quotidianità, per accedere al nucleo del dolore e riuscire a rialzarsi.

Quest’opera, quindi, denuncia e stigmatizza il male, e consente una riflessione specifica per superare la condizione di dolore come punto di partenza di ogni azione positiva.


Amalia Michea è docente dei corsi di lingua e cultura della Dante. È stata docente di storia dell’arte e di letteratura del prestigioso Instituto del Profesorado Joaquin V. González, dell’Istituto Italiano di Cultura di Buenos Aires e dell’UCA di Buenos Aires. Laureata in Storia all’Università di Pisa, con master presso le Università di Città del Messico (UNAM) e di Varsavia. E’ saggista, pubblicista e ricercatrice.